Las Vegas è stata una false flag ad uso interno: privatizzare la sicurezza contro i troppi Paddock

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DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

Ormai la notizia è passata in cavalleria, quasi non se ne parla più: motivo in più per dubitare della versione ufficiale. Parliamoci chiaro: la sparatoria di Las Vegas, la peggior strage con armi da fuoco della storia USA, è stata un’enorme false flag di stile hollywoodiano ma, rispetto al passato, per la prima volta è stata unicamente ad uso interno, per questo sta spiazzando tutte le narrative cronachistiche fuori dagli States. Non la capiamo e continuiamo ad arrovellarci attorno al profilo di Stephen Paddock, il tranquillo pensionato – milionario e con il vizio del gioco d’azzardo -, mentre a viverla da dentro le mura dell’Impero, tutto appare più chiaro. Mettiamo in fila qualche numero e dato, a mente fredda. Le cronache ci hanno parlato di un evento, il concerto country, che si teneva giusto dall’altra parte della strada rispetto al Mandalay Bay Hotel, il covo di Paddock.


In realtà, parliamo di 390 yards di lontananza, quattro campi da football. Il totale di morti e feriti, ad oggi, è di 573: della strage, nell’epoca di social network e smartphone, abbiamo sempre e solo le stesse immagini di panico e fuga. Tutte, però, quasi posate. Pensateci: 573 corpi sono tanti da occultare a oltre 20mila persone coinvolte, quasi certamente tutte dotate di devices in grado di fare fotografie e video. Abbiamo a che fare con il festival della discrezione e della privacy, forse? Quel numero, poi, rappresenta l’ammontare minimo di militari presenti in un battaglione: e volete dirmi che un sessantenne, senza preparazione militare, è riuscito a mettere fuori combattimento in pochi minuti quel numero di persone da solo? Oltretutto con armi modificate in modo tale da rischiare di fondersi, quando in modalità di tiro automatica?

Parliamo di un uomo che in vita sua aveva avuto a che fare con lo sparare solo attraverso la sua licenza in Alaska e che, di colpo, fa una strage sparando dal 32mo piano, quindi una posizione che necessità anche di ausili ottici e addestramento, alla distanza di quattro campi di football, colpendo 573 persone in pochi minuti: ci credete? E infatti anche lo sceriffo Lombardo, una sorta di Rosco P. Coltrane di “Hazzard” che sovrintende le indagini, ieri ha parlato per la prima volta di un aiuto di cui Paddock avrebbe potuto beneficiare, ovviamente non specificando niente altro: c’è il fatto, però, dei riscontri video che parlano di spari e lampi di luce dal quarto piano dell’hotel. C’è il condizionamento delle stanze, che prevede che le finestre non possano essere aperte, se non dal personale o rompendole.

Di più stando a documenti del Nevada Prescription Monitoring Program, il 21 giugno a Paddock furono prescritte 50 pastiglie di diazepam da 10 milligrammi dal dottor Stephen Winkler, una benzodiazepina (Valium, per capirci) che in determinati soggetti può causare atteggiamento aggressivo. Paddock acquistò il farmaco senza utilizzare la copertura dell’assicurazione sanitaria a un Walgreens di Reno, in Nevada, il giorno stesso: era diventato dipendente, nel frattempo? Forse era un soggetto non adatto a quel tipo di cura? Aveva associato alle benzodiazepine, ad esempio, alcool? E poi, il Mandalay Bay Hotel è un casinò: quindi, anche soltanto per la legge USA, è obbligato ad avere telecamere a circuito chiuso ovunque. Come mai non c’è un singolo filmato di Paddock, ad esempio mentre trasporta qualcosa come 23 tra fucili e mitragliatori in dieci valige, oltre alle munizioni, nella stanza d’albergo? Oltretutto, Paddock è arrivato in hotel giovedì della settimana scorsa, tre giorni prima della strage: nessuno ha notato niente o si è insospettito fra il personale dell’albergo per quel bagaglio esorbitante? Nessuno è entrato in camera per pulire o rifare i letti? Nel qual caso, dove avrebbe nascosto Paddok 23 armi di quelle dimensioni, occultandole alla vista di terzi?

E veniamo ora a ciò che forse conta maggiormente: il numero di armi e il loro simbolismo. Quella santabarbara non serviva alla strage, serviva a legarla senza ombra di dubbio al tema della detenzione di armi negli USA, questione che è confermata dal patetico reiterare di rivendicazioni dell’Isis rispetto allo status di Paddock, l’ultima delle quali lo vorrebbe convertito e miliziano da sei mesi. Nessuno ci crede ma proprio per questo è importante reiterarla, al fine che la pista dello psicopatico con accesso troppo facile a mitra e fucili passi per perbene in tutti gli strati della popolazione, a New York come nella cittadini dello Utah. Ci sono tre cose che devono farci riflettere. Primo, ieri la National  Rifle Association (NRA), la maggiore lobby delle armi da fuoco degli Stati Uniti d’America, ha dichiarato che i “bump stock”, dispositivi che permettono ai fucili semiautomatici di funzionare come quelli completamente automatici richiedono una regolazione più severa e ha invitato i legislatori a stabilire se i dispositivi rispettino la legge federale.

Contro ogni aspettativa e per la prima volta, i 59 morti in Nevada, la peggior strage della storia americana, ha mosso l’associazione più inamovibile degli Stati Uniti, anche se per un piccolo e limitatissimo passo. Vero? No ma nella gente deve passare il messaggio che gli armaioli non sono cinici venditori di morte e, di fronte all’orrore conradiano di quanto avvenuto, sanno riflettere e mettere da parte il business. Secondo, in completo contrasto con il messaggio mediatico, la paura irrazionale e di massa del pazzo della porta accanto generata dalla sparatoria di Las Vegas, almeno nel breve termine, garantirà un turbo alla vendita di armi, poiché il riflesso pavloviano è quello di armarsi di più per sentirsi più al sicuro (come se avere in casa un arsenale potesse scongiurare l’evento irrazionale determinato da un pazzo). Terzo, la polizia di Las Vegas ci ha messo 72 minuti a intervenire nella stanza di Stephen Paddock, riuscendo a prenderne il controllo quando era tutto finito e lui si era suicidato.

Cosa ci dice questo? Che in un mondo con troppe armi – sulla cui regolamentazione però parleremo dopo, come ha detto chiaramente Donald Trump – e troppi potenziali Paddock in giro, la sicurezza standard non basta: forse, un pensierino alla security privata potrebbe fare al caso di un’America sull’orlo di una crisi di nervi. E, infatti, subito dopo l’accaduto, i casinò e gli hotel di Las Vegas sono subito corsi ai ripari. Come riportava Bloomberg, lunedì – subito dopo la strage – i clienti e fornitori del Wynn Resort di Las Vegas hanno dovuto attendere parecchi minuti per entrare o uscire dalla struttura. Il motivo? Lunghe code da passare a causa dei controlli posti in essere da contractors privati.


E cosa ha dichiarato a Bloomberg un ex agente speciale dell’FBI e oggi direttore della Sands Corp’s Venetian di Las Vegas, David Sheperd? “Hotel e casinò della città devono pensare a un approccio più olistico della situazione sicurezza ora, mettendo in conto sparatorie da varie parti, compresi i tetti. Dobbiamo cominciare a pensare come il Secret Service, partendo dai palazzi più alti. La domanda è, quanto dovremo spingerci in là con questo approccio?”. Il più possibile, se la situazione viene valutata con l’occhio del sempre crescente business della sicurezza privata e dei contractors. Nelle Filippine, ad esempio, i casinò hanno dispiegamenti di sicurezza privata enormi, i quali controllano tutti i tipi di bagaglio che i clienti portano con sé, dopo l’attacco al Resort World di Manila dello scorso giugno (anche in quel caso, con un attentatore dal profilo particolare e una dinamica curiosa).


E come pensate che una multinazionale MGM, proprietaria del Mandalay Bay, potrà ricostruirsi una credibilità di sicurezza dopo l’accaduto – a fronte di rischi di perdita di entroiti e downgrade da parte degli analisti, come già denunciato da Rachael Rothman del Susquehanna Financial Group -, se non tramutando le proprie strutture in fortezza potenzialmente inattaccabili? Investimenti miliardi in uomini, equipaggiamento, strutture, armi. Fruttuoso come un’esportazione della democrazia ma molto meno dispendioso a livello di vite umane e ricaschi politici: tanto più che, sul medio-lungo periodo, i Paesi da invadere e bombardare finiranno. Non vi pare strano che un guerrafondaio come il generale Mattis, capo del Pentagono, abbia smentito l’approccio belligerante di Donald Trump sull’Iran e che ieri il presidente sia invece tornato alla carica con la violazione dell’accordo sul nucleare da parte di Teheran? Gioco delle parti, come quello della NRA sulle armi.

Infine, l’aspetto sociologico della questione. Ecco un brano di un articolo del Washington Post di martedì: “In tutta l’America, uomini bianchi, alcuni giovani, alcuni di mezza età, stanno tramutandosi in lupi. Sempre, dopo che hanno commesso atti di terrore, si scopre che queste persone non erano affatto uomini. Erano belve, mostri senza cervello la cui malvagità era astratta, fredda e terribile”. Di più, la CNN all’interno del programma “How America has silently accepted the Rage of White Men” ha dichiarato in maniera tranciante che “le sparatorie di massa sono un problema degli uomini bianchi”.


Magari gli stessi che protestano contro l’abbattimento delle statue del Generale Lee. O contro la volontà dei Democratici di limitare proprio il Secondo Emendamento. O contro il politicamente corretto. O contro l’aborto. O contro il gender. O le femministe. Il tutto in un Paese pieno di armi e che vede, proprio in questi mesi, il governo federale in piena attività del programma 1033, quello che prevede la distribuzione dell’armamento militare in eccedenza alle varie polizie statali:



come vedete, il programma è in aumento di volume. Armata – sempre di più – la polizia, armata la Guardia Nazionale, armato l’esercito e armati i vari Paddock: e se questi ultimi diventassero patriottici soldati del grande programma di appalto della sicurezza interna ai privati, invece che paranoici a piede libero? Tutti sarebbero più felici. Non vi pare sospetto che, a cose fatte, sia emersa la volontà do Paddock di colpire il Loolapaloosa Tour a Chicago questa estate, dove casualmente era presente tra il pubblico la figlia maggiore di Barack Obama, strenuo oppositore della libertà di possesso delle armi e lacrimevole astante ad ogni post-strage di massa? L’America ha un problema di gestione del dissenso interno da risolvere e Las Vegas è stata il casus belli che serviva. Poi, ci sarà tempo anche per l’Iran. E la Russia. Casualmente, la Corea del Nord non è più un problema così urgente…

 

Mauro Bottarelli

FONTE: https://www.rischiocalcolato.it/2017/10/las-vegas-stata-false-flag-ad-uso-interno-privatizzare-la-sicurezza-troppi-paddock.html

07.10.2017

 

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