LA STRAGE DI VERONA: GESTO INCONSULTO? LA VERITÀ È ALTRA

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Un filo rosso sangue lega la strage di Verona di febbraio 2005 alla banda della Uno bianca ed a molti delitti recenti. Il quadro che emerge da tutto l’assieme è coerente e decisamente inquietante.

I due giovani poliziotti freddati a Verona durante un servizio di pattugliamento non potevano immaginare che dentro quell’auto, in una fredda notte di febbraio 2005, oltre al corpo di una povera giovane ucraina ci fosse un “terminator”, una spietata macchina addestrata per uccidere.
Già si parla di “gesto inconsulto”, di mostro, di squilibri maniacali…
Quello che ha compiuto Arrigoni (a parte il suo curriculum) non è niente di tutto ciò, ma la reazione di uno che stava facendo un “lavoro”. Un “lavoro” molto sporco che, probabilmente, aveva imparato a fare in Somalia: uccidere per terrorizzare. La reazione di chi solo ammazzando due pericolosi testimoni può pensare di farla franca. Perché dopo avrebbero pensato a coprirlo “loro” i suoi committenti; come da copione.

Queste affermazioni certamente “impegnative” o forse pesanti non sono il frutto di qualche banale dietrologismo, come molti lettori sicuramente penseranno.
Sono il frutto di una attenta analisi ormai decennale (partita da una contro-inchiesta fatta in Romagna sui delitti della UNO BIANCA), di fatti ed eventi classificati come “criminali” che si saldano invece a quest’ultimo episodio.
Il primo collegamento immediato è con quanto successe al Pilastro nei primi anni ‘90 (dove tre carabinieri ausiliari vennero trucidati dalla banda della “UNO BIANCA” perché giunti nel posto sbagliato nel momento sbagliato); e l’omicidio di Bilancia di due guardie giurate dopo aver sparato a una ragazza nigeriana.

La banda della UNO BIANCA era composta da poliziotti legati ai servizi segreti militari. Si macchiò di decine di omicidi e ferimenti contro obiettivi apparentemente diversi fra loro: tabaccai, cassieri, impiegati, benzinai, passanti e testimoni; inoltre zingari e immigrati senza neanche il pretesto di finte rapine per pochi spiccioli.
Il periodo più intenso del gruppo si colloca nella delicata fase di transizione dalla prima alla seconda repubblica (ma già dalla fine degli anni ’80 era attiva “la banda delle coop” che, probabilmente integrata da altri ignoti elementi, operava sempre in Emilia Romagna e nel nord delle Marche seminando il terrore nei super mercati coop).

Siamo in un momento di scontri senza esclusione di colpi fra apparati e servizi segreti legati alla vecchia classe politica (attaccata anche sul fronte giudiziario con tangentopoli) e quelli legati ai poteri sovra-nazionali che spingono l’acceleratore delle “riforme” , accompagnate dalle dichiarazioni e dai gesti simbolici e plateali di Kossiga (il picconatore che durante una cerimonia della massoneria anglosassone di rito scozzese pianta simbolicamente, in un castello della Scozia, una quercia dicendo: “Speriamo cresca bene”).
Flaminio Piccoli, vecchio esponente democristiano, denuncia i piani di poteri “occulti” per distruggere la prima repubblica e in una intervista dirà: “Per imporre il turbocapitalismo faranno scorrere fiumi di sangue”.

La scoperta e l’arresto della banda della UNO BIANCA, che agiva indisturbata da anni lasciando tracce e indizi simili a quelle di un elefante dentro un negozio di cristalleria, avviene probabilmente negli ultimi strascichi di questo scontro fra vecchi e nuovi poteri (ricordiamo il furto “simbolico” di una UNO Bianca dentro la sede del SISDE a Roma).

Ma la scia di sangue e di crimini particolarmente efferati non si ferma. Siamo di fronte ad una nuova strategia del terrore che si adegua e si attualizza alla nuova fase che si è aperta in Italia dopo la sconfitta del movimento operaio nelle sue forme più “rigide” e la ristrutturazione sociale e produttiva del paese.

Se togliamo gli ultimi bagliori delle stragi di Firenze e Milano, lo stragismo bombarolo si colloca storicamente nel conflitto di classe sorto negli anni ’70. Conflitto che rappresenta forse la punta più avanzata nel contesto europeo che fa dell’Italia una “anomalia” nel mondo occidentale (dopo il riflusso del ’68) e soprattutto l’anello debole della catena imperialista euro-atlantica.

Paradossalmente se lo stragismo bombarolo è una strategia controrivoluzionaria, tesa a colpire ed arrestare i movimenti sociali di classe, il nuovo terrorismo dei “serial killers”, o dei “terminators”, si colloca in una strategia “rivoluzionaria” del capitale che deve necessariamente colpire e disgregare nel più profondo il conservatorismo e le riluttanze, formali ed informali, della società italiana alla modernizzazione dopo la caduta del blocco socialista dei paesi dell’Est e della crisi irreversibile dei modelli socialdemocratici del Nord Europa.

Esorcizzato il “pericolo comunista” e messi nell’angolino i movimenti antagonisti resta il problema di disgregare e cancellare tutti quegli elementi di “arretratezza” che costituiscono un ostacolo al pieno sviluppo di un capitalismo moderno, efficiente, decisionista, capace di stare al passo con la competizione globale in formazione.
La società italiana non è preparata a questi cambiamenti radicali che devono avvenire in tempi rapidi perché la globalizzazione imperialista non aspetta nessuno né tollera ritardatari. Occorre dunque colpirla nelle sue “cattive” abitudini comportamentali:
il provincialismo, l’assistenzialismo, la socialità, e persino la famiglia e le tradizioni religiose, quando diventano ostacolo alla “rivoluzione culturale” del capitale. Occorre disgregare il “comunitarismo” conservatore – dirà Luttwak (consigliere speciale della Casa Bianca e attento “osservatore” dell’Italia).

È in questo contesto che appare la figura del “serial killer”, del “mostro”.
Tanti eventi criminali, spesso di una ferocia inaudita, come se si trattasse di azioni coordinate fra loro.
Li accomuna uno spropositato uso della violenza, spesso la mancanza di un movente plausibile e, soprattutto, l’indignazione popolare che riescono a scatenare. Come i delitti della UNO BIANCA.

Menzionarli tutti sarebbe impossibile: ricordiamo “Manolo lo slavo”, ergastolano che riesce a fuggire misteriosamente dal carcere di Rimini e si mette a terrorizzare le campagne del Nord Italia vestito con pantaloni mimetici e anfibi.
Usa una 357 Magnum per compiere rapine balorde presso case isolate di agricoltori “terminando” le sue vittime: 9 morti ammazzati. Una volta catturato confesserà in una intervista di essere uscito dal carcere “Grazie a quelli della UNO BIANCA”.

Poi c’è il “killer” delle pensionate in Puglia, quello dei taxisti in Toscana che usa strangolare le sue vittime con un laccio alla “commandos”; ancora quello delle prostitute a Modena che vede indagato, che strana coincidenza, un altro ex-parà.
Delle conoscenze del “mostro” Bilancia in ambienti legati ad apparati statali si ha la conferma quando un detenuto, passato per il carcere di Rimini, viene a sapere molte cose in merito. Volerà, “suicida” giù dalla finestra della Questura di La Spezia…

Nel frattempo qualche disgraziato, vuoi per essere immigrato, “terrone”, o per aver avuto qualche precedente per reati sessuali finisce in “graticola” grazie a ben collaudati depistaggi e impianti accusatori ridicoli (vedere la vicenda dei catanesi del Pilastro su cui il settimanale “Avvenimenti” fece una bella contro-inchiesta).

E che dire del lagunare-assaltatore della Val di Susa (magari qualche compagno di Torino potrebbe verificare). Circa 3 anni fa questo tizio, descritto da amici e parenti come un uomo mite e gentile (come il suo collega di Verona), un giorno, forse preso dal rimorso, si presenta dai giudici di Torino confessando di aver compiuto numerosi omicidi rimasti insoluti, in finte rapine per conto del SISMI. Partono le prime verifiche e si comincia a capire che il soggetto non è un mitomane. Verrà trovato morto “suicidato” con un colpo alla testa nel bagno del tribunale di Torino durante un’udienza…

E perché non ricordare il recente “una bomber” che fabbrica ordignetti in Veneto? Chi ha un minimo bagaglio conoscitivo sa che la preparazione o la manipolazione di esplosivi è qualcosa di estremamente delicato e pericoloso. Solo chi ha frequentato corsi di “alta specializzazione” può preparare ordigni di questo tipo. Dove avrà imparato queste tecniche il nostro amico? In quale base NATO o in quali “missioni di pace”?

Le vicende di Cogne e di Omar ed Erika sono allo stesso tempo le più devastanti e “spettacolari”: leggete attentamente dall’inizio di questi tragici fatti fino ad oggi nei maggiori quotidiani ed in particolare “Il Resto del Carlino” (stranamente sempre attento a particolari che lasciano aperte altre ipotesi senza, ovviamente, tirare mai conclusioni) e vi accorgerete di inchieste zeppe di incongruenze, sparizioni di prove, depistaggi, confessioni degli imputati contraddittorie.

Cosa hanno in comune questi due delitti? Molto: innanzitutto l’apparizione del reparto dei RIS con le loro investigazioni “scientifiche” (prova del DNA etc.); poi i genitori che ammazzano i figli e i figli che ammazzano i genitori nella maniera più sanguinaria e feroce: a colpi di decine di coltellate e con lo spappolamento del cranio. Tutto questo non in una grande metropoli, dove farebbe meno clamore, ma nella provincia italiana, nella piccola comunità montana dove tutto è sempre più tranquillo e non succede mai niente di eclatante.
L‘immaginario collettivo è colpito e turbato profondamente.
Ci penseranno i macellai dell’informazione a rendere tutto più macabro e “terroristico”: “non si può essere sicuri neanche fra le mura domestiche con la propria famiglia”.
L’effetto è equivalente a quello di una strage in una stazione a ferragosto o durante le vacanze di Natale.

Del resto non è forse accertato che il “mostro di Rostov” in Russia negli anni ’80 era coperto da settori del KGB che stavano preparando la transizione a partire dallo scardinamento dei principi socialisti che garantivano sicurezza e protezione assoluta ai bambini? Occorreva qualcosa di forte, di traumatico per preparare i russi a quello che sarebbe venuto più tardi. Qualcosa che i russi non avevano mai visto: un “mostro” con la tessera del PCUS che divorava bambine…

Lo scopo è sempre lo stesso: condizionare e manipolare costantemente l’“opinione pubblica” attraverso crimini particolarmente efferati.
Se guardiamo tutto quello che è successo in questi ultimi 15 anni nel nostro paese ci si renderà conto dei cambiamenti radicali avvenuti in un lasso di tempo relativamente breve (rispetto ai 45 anni precedenti).
Il terrorismo di stato, nelle sue varie forme ed espressioni, accompagna e guida questi cambiamenti.

Rispetto a questa situazione assistiamo ad una completa paralisi e incapacità dei più disparati settori di movimento nel riprendere in mano i fili della contro-informazione e della contro-inchiesta. È un chiaro segno dei tempi di crisi che l’antagonismo di classe vive oggi in Italia. La crisi ideologica della sinistra rivoluzionaria genera anche l’incapacità di interpretare i fenomeni e sottovalutarli.

Spesso non vediamo questi fatti grandi come una trave nell’occhio e inseguiamo invece piccole mosche. Un conto è parlare di strategia terrorista dello stato, un conto fare controinformazione su una banda di teppistelli di quartiere con simpatie naziste.
Occorre ripristinare il vecchio metodo della controinformazione e della contro-inchiesta.
Occorre che nei vari ambiti di movimento ci siano soggetti che si prendano cura della raccolta di informazioni, di analizzarle e catalogarle. Quella sana abitudine che vari gruppi della sinistra extraparlamentare avevano durante la strategia delle bombe (anche se il clima evidentemente non è più lo stesso).
Certo, c’è una netta recrudescenza dell’aspetto repressivo. Sono tornati a selezionare i militanti più scomodi o pericolosi, si ritorna all’uso dei reati associativi (vedi il 270 bis), si ripristinano le provocazioni fasciste per irretire le realtà antagoniste dentro la spirale della guerra per bande.

Ma spesso le strategie che non si vedono sono le più pericolose perché i movimenti non riescono a leggerle e a riconoscerle e, soprattutto a collocarle in questa nuova fase dove si stanno realizzando molti degli obiettivi che il grande capitale voleva raggiungere anche attraverso l’uso di queste forme “anomale” di terrorismo.
Speriamo che qualcuno raccolga questo tentativo di stimolare da parte nostra la discussione e un interesse maggiore rispetto a questi fenomeni che rientrano a pieno titolo dentro la così detta strategia della CONTRORIVOLUZIONE.

“…I terroristi sono fra noi”
(Antonio Mantella , maresciallo dei carabinieri “suicidato” nella strage della caserma di Bagnara di Romagna il 16 Novembre 1988)

“Siamo in tanti”
(Roberto Savi, poliziotto killer della Uno Bianca, dopo l’arresto di Dicembre 1994)

“Per imporre il turbo-capitalismo faranno scorrere fiumi di sangue”
(Flaminio Piccoli, esponente nazionale della DC nel periodo di “Tangentopoli”)

Alcuni compagni romagnoli (promotori della contro-inchiesta sui delitti della UNO BIANCA negli anni ’90)

24.02.2005

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