DI IGNACIO RAMONET
globalresearch.ca
PARIGI, Ott (IPS) I giorni di tranquillità sociale sono solo un ricordo. Lo sciopero generale del 29 settembre, contro la riforma del lavoro del governo Zapatero, segna l’inizio di quello che si preannuncia essere un periodo di scompiglio sociale.
Il governo ha deciso di presentare al Congresso, entro la fine dell’anno, un disegno legge che alzerebbe l’età minima pensionabile da 65 a 67 anni, e porterebbe gli anni di contributi minimi da 15 a 20.
Insieme alla riforma del lavoro, e al decreto dello scorso maggio, che ha abbassato le retribuzioni degli impiegati statali, congelato le pensioni, e tagliato la spesa pubblica, questo disegno legge ha suscitato la reazione delle organizzazioni dei lavoratori e di una consistente percentuale di lavoratori salariati.Zapatero ha affermato che la sua decisione è irrevocabile: “Il giorno successivo allo sciopero generale, continueremo a muoverci verso le stessa direzione”, ha affermato il 1 settembre a Tokyo. Ciò ha spinto le unioni a programmare nuove proteste.
Con la sua intransigenza, il leader spagnolo sta seguendo la scia degli altri governi europei: in Francia, malgrado le recenti proteste di massa contro la riforma pensionistica, il presidente Sarkozy ha ribadito che non modificherà la legge; in Grecia, sei scioperi generali contro le misure austere non hanno avuto alcun effetto sul primo ministro Yorgos Papandreu.
Basandosi sul principio che in democrazia la politica si fa in parlamento, e non per strada, questi leader hanno ignorato il malcontento di una grossa fetta della popolazione, obbligata a prender parte a scioperi e proteste in strada per far sentire la loro voce. [i]
Ma la reazione dei leader è un errore: loro pensano che la legittimità elettorale batta le altre forme di legittimità, soprattutto la democrazia sociale [ii]. In realtà, la loro inflessibilità potrebbe solo alimentare il malcontento, incoraggiando la gente a rifiutare un’eventuale fase di dialogo e a ricorrere allo scontro frontale.
Sin dallo scorso maggio e dall’annuncio di uno spietato piano di riforma, è in continuo aumento il disgusto di una grande percentuale della popolazione spagnola [iii].
I quasi 5 milioni di disoccupati, precari, giovani senza lavoro, donne lavoratrici, dipendenti statali di basso livello, e tutte le loro famiglie sono d’accordo sul fatto che il governo li stia sacrificando.
Allo stesso tempo, attraverso il fondo per il salvataggio delle banche, il governo ha trasferito 90 miliardi di euro alle banche e alle istituzioni di risparmio (responsabili della bolla immobiliare).
Non ha pensato di aumentare le imposte alle fasce di reddito più alte, a imporre delle tasse sulle grandi vincite, a tagliare i costi per la difesa (che ammontano a 8 miliardi di euro all’anno), la chiesa cattolica (6 miliardi di euro) e persino la famiglia reale (almeno 9 milioni di euro).
La cosa ripugnante per i cittadini è la certezza che il governo abbia adottato tali misure repressive contro i lavoratori salariati, non tanto per decisione propria, quanto per andare incontro agli ordini dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, e alle pressioni dei mercati finanziari, che, minacciando di non investire in Spagna, hanno richiesto salari più bassi e riduzione del tenore di vita.
Zapatero stesso l’ha dichiarato, rivolgendosi a un gruppo di investitori giapponesi: ”Stiamo lavorando sulle riforme che interessano gli investitori internazionali [iv],” ha ammesso, e ha ripetuto ai manager delle maggiori banche commerciali e dei fondi di investimento statunitensi che le riforme mirano a “far apprezzare agli investitori e ai mercati la mia determinazione nel rendere la Spagna competitiva a livello economico [v].
“ La riforma del lavoro non ha niente a che vedere col taglio del deficit pubblico o la riduzione delle spese di bilancio, che sono i requisiti base per i mercati finanziari. Ma poiché il governo non può svalutare la moneta per stimolare le esportazioni, ha deciso di abbassare i salari per dare una spinta alla competitività.
La cosa peggiore è che queste misure non hanno alcuna garanzia di successo. I dati sull’impiego da agosto mostrano che il 93,4% dei nuovi contratti sono a tempo determinato. In altre parole, il mercato del lavoro resta altamente precario. L’unica differenza è che alle imprese costerà meno mandar via i dipendenti.
Dopo la crisi degli anni ’90, ci sono voluti tre anni prima che la disoccupazione ritornasse ai livelli europei, e questo in un periodo di crescita, quando la Spagna riceveva l’aiuto dell’UE. Oggi, con questa riforma e con la debole crescita che ci sarà ancora per molto tempo, l’occupazione in Spagna, secondo l’economista statunitense Carmen Reinhart, non raggiungerà i livelli del 2007 prima del 2017 [vi].
Quindi, perso l’appoggio degli elettori, questo governo probabilmente perderà potere e passerà la guida del paese all’opposizione conservatrice e populista. In generale, è quello che succede quando i partiti di sinistra dimenticano i loro valori, optando per politiche vergognosamente di destra, come è accaduto in Germania, in Regno Unito e, di recente, in Svezia.
Ignacio Ramonet è un frequente collaboratore di Global Research
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=21444
14.10.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STEFANIA MICUCCI
Note
[i] In democrazia, a causa della generalità e universalità, non sempre è possibile esprimere particolare sensibilità.
[ii] vedere Pierre Rosenvallon, “Le pouvoir contre l’interet general”, Le Monde, Paris, 21 September 2010.
[iii] Secondo un recente sondaggio condotto dal Centro de Investigaciones Sociologicas (CIS), il partito al potere, il PSOE, ha perso il 3,1% dei supporti. Solo il 2,5% degli intervistati ha dichiarato che la situazione economica è positiva, in opposizione al 22,6% che la definisce normale e al 74,4% che la considera negativa o molto negativa.
[iv] El Pais, Madrid, September 1, 2010
[v] Ibid, September 21, 2010
[vi] Ibid, September 12, 2010.