La situazione umanitaria dei palestinesi

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Inviato dall’utente Tre
“Dal 21 giugno al 6 settembre 2002 la cittadina di Nablus è rimasta sotto
coprifuoco per 1.797 ore, Tulkarem per 1486”. Sempre l’anno scorso i
palestinesi dei Territori occupati “hanno potuto utilizzare 70 litri di
acqua a testa al giorno contro i 350 litri dei coloni ebrei”. E ancora: “In
Cisgiordania nel 1999 sono state costruite 44 nuove colonie, nel 2001 altre
34 e 14 approvate dal governo israeliano. A Gaza 6.429 coloni israeliani
usano il 45 per cento della terra, mentre un milione di palestinesi si deve
accontentare del rimanente 55 per cento”.
Così si legge nel dettagliato rapporto che il sociologo e saggista svizzero
Jean Ziegler, autore di una serie di libri di successo (“La Svizzera lava
più bianco”, “La fame nel mondo spiegata a mio figlio”, ecc.) ha stilato in
qualità di Relatore Speciale per il diritto all’alimentazione dell’Alto
Commissariato Onu per i diritti umani, dopo la sua visita, avvenuta dal 3 al
12 luglio scorsi, nei Territori occupati da Israele. La relazione che
descrive le condizioni del popolo palestinese e pubblicata integralmente
(www.liberazione.it) qualche giorno fa, è impressionante.

A causa delle durissime misure militari imposte dallo stato israeliano di
occupazione dall’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000 il popolo
palestinese è sull’orlo di una crisi umanitaria.

Il resoconto, dopo una breve introduzione in cui il suo estensore esprime
“simpatia e compassione per tutte le persone uccise o ferite” di entrambi
gli schieramenti, inizia denunciando il rapido peggioramento del tasso di
malnutrizione dove addirittura i casi riscontrati “a Gaza sono ormai
equivalenti a quelli riscontrati nei paesi dell’Africa sub-sahariana, una
situazione che ha dell’assurdo se si pensa che la Palestina, in precedenza,
aveva un’economia caratterizzata da reddito medio”.

E qui il relatore elenca una serie sconcertante di numeri e di percentuali:
“Oltre il 22% dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre attualmente di
malnutrizione (il 9,3% è affetto da malnutrizione acuta e il 13,2% da
malnutrizione cronica), contro il 7,6% del 2000 (quando l’1,4% soffriva di
malnutrizione acuta e il 6,2% di malnutrizione cronica), secondo dati del
Centro di ricerche statistiche palestinese. Circa il 15,6% dei bambini al di
sotto dei 5 anni è affetto da un’anemia acuta che in molti casi produrrà
ripercussioni permanenti sul futuro sviluppo fisico e mentale. Il consumo di
generi alimentari è sceso di oltre il 30% pro capite. Si lamenta una diffusa
scarsità di generi alimentari, specialmente proteici. Oltre la metà delle
famiglie palestinesi mangia ormai solo una volta al giorno²”. Ziegler
riferisce inoltre che molti palestinesi da lui incontrati “hanno affermato
di cercare di sopravvivere consumando solo pane e thè”.

Le cause della gravissima crisi alimentare a cui sono sottoposti i
palestinesi nei Territori occupati è dovuta al blocco degli aiuti umanitari,
alle restrizioni alla circolazione, agli espropri, alle confische di terre e
di pozzi di irrigazione che contribuiscono in questo modo, al collasso
dell’agricoltura.

Nella Striscia di Gaza, il sociologo svizzero ha assistito “alla totale
devastazione di infrastrutture agricole e all’abbattimento di centinaia di
uliveti e agrumeti a Beit Hanoun, poco dopo un’incursione dell’esercito”.
Una politica ispirata dalla strategia dei “bantustan” termine che
storicamente fa riferimento alle aree separate destinate ad ospitare la
popolazione di colore nel Sudafrica dell’apartheid.

“Un noto commentatore israeliano, Akiv Eldar” -riporta Ziegler- “ha scritto
che il Primo Ministro Sharon avrebbe fatto uso esplicito del concetto di
bantustan quando ha spiegato diffusamente che il modello dei bantustan
rappresenta la soluzione più adatta al conflitto. L’utilizzo dei bantustan
escluderebbe di fatto i palestinesi dall’accesso alle proprie risorse
territoriali ed idriche, offrirebbe ad Israele riserve di manodopera a basso
prezzo, priverebbe il futuro Stato palestinese di confini coerenti e
impedirebbe la costruzione di una nazione palestinese dotata di sovranità
reale e capacità di garantire al suo popolo il diritto all’alimentazione”.

Anche la grave carenza d’acqua è riconducibile al blocco dei Territori.
Molti villaggi palestinesi dipendono completamente dalle distribuzioni
esterne che “durante i blocchi avvengono saltuariamente”. Ziegler scrive ad
esempio che: “Il villaggio di Beit Furik, situato a 10 km a sud-est di
Nablus, non ha ricevuto rifornimenti idrici per almeno nove giorni
consecutivi, in quanto i carri armati erano disposti intorno al villaggio”.
Inoltre: “Un’indagine dell’Associazione Idrologi Palestinesi ha rivelato che
24 villaggi su 27 esaminati dallo studio sono state vittima di carenze
idriche per via dei coprifuoco e del blocco dei Territori”. Sempre secondo
il Centro d’Informazione Nazionale Palestinese (Pnic), -annota Ziegler-
“negli ultimi tre anni le forze di occupazione hanno sradicato e
distrutto circa 2,5 milioni di ulivi, e oltre un milione tra agrumeti e
alberi da frutta. Oltre a ciò, 806 pozzi e 296 magazzini sono stati
distrutti, e 2.000 strade, tra arterie principali e secondarie, sono state
cinte di filo spinato e migliaia sono state cosparse di montagne di
spazzatura. L’Associazione Idrologi Palestinesi registra che, tra il giugno
2002 e il febbraio 2003, 42 camion per il trasporto di cisterne d’acqua sono
state parzialmente o totalmente distrutte, e 9.118 cisterne palestinesi per
l’approvvigionamento idrico sono state smantellate. La Banca Mondiale stima
i danni all’agricoltura intorno ai $217 milioni, nonché danni alle
infrastrutture idriche per un valore di circa $140 milioni”.

Ziegler dedica anche un capitolo intero al “muro dell’aphartied”, come viene
ormai definito il muro difensivo “costituito da una barriera elettrificata,
a tratti sotto forma di recinto, a tratti in muratura per un’altezza di 8
metri”, che lo Stato ebraico sta costruendo (24 ore su 24), una palese “violazione dell’obbligo di rispettare il diritto all’alimentazione perché
non è collocato sul confine tra Israele e Territori precedente alla guerra
del 1967, ma all’interno della Cisgiordania, annettendo de facto migliaia di
ettari di terreno fertile palestinese all’interno dello Stato di Israele”, e
che andrà a privare migliaia di palestinesi dei propri campi agricoli e
delle proprie risorse idriche. Infatti, “secondo
l’organizzazione-israeliana per i diritti umani Btselem” -annota Ziegler
nella relazione – “36 comunità (per un totale di 72.000 palestinesi) sono
state separate dalle loro aziende agricole e dai loro pozzi ad ovest della
barriera. Diciannove comunità (per un totale di 128.500 persone) sono state
quasi completamente imprigionate dall’andamento irregolare del muro, tra cui
40.000 persone che si sono trovate intrappolate a Qualqilya, circondate in
ogni direzione da una muraglia alta 8 metri, con un’unica strada disponibile
controllata da un posto di blocco israeliano”. E prosegue: “La prima fase
della costruzione del muro difensivo prevede la confisca di 2.875 acri di
terra al solo scopo di spianarla: si tratta di alcune delle terre più
fertili di tutti i Territori. Il Muro ha comportato anche l’annessione della
maggior parte delle falde acquifere (che compongono il 51% delle risorse
idriche della Cisgiordania) all’interno di Israele”. Un muro concepito per
tagliare in due la Cisgiordania e che escluderà “qualsiasi opzione
ragionevole per la risoluzione del conflitto nei prossimi anni”.
Costringendo i palestinesi “a subire una forma di neo-colonialismo e ciò
ovviamente provocherà delle insurrezioni persino peggiori di quelle
attuali”.

L’accurata e impietosa relazione di Ziegler ha naturalmente scatenato un
vespaio di polemiche e di proteste.

Israele che ha subito definito il rapporto “molto politicizzato”, attraverso
il suo capo delegazione a Ginevra, Yaakov Levy, ha chiesto, al presidente
della Commissione per i diritti dell’uomo (Cdh) dell’Onu, Najat al-Hajjaji,
di adottare misure contro il sociologo svizzero. Nella sua lettera di
protesta, del 18 settembre scorso ed indirizzata al presidente del Cdh, la
delegazione israeliana ha lamentato che ampi stralci del rapporto sono stati
divulgati prima che lo Stato interessato ne avesse preso conoscenza, in
violazione delle norme dell’Onu. “Ziegler – come ha dichiarato il capo
delegazione israeliano al settimanale L’Espresso – ha steso un rapporto
totalmente politico, ha tradito il suo mandato che è preciso e limitato. Si
è occupato di insediamenti, Convenzione di Ginevra, muro di sicurezza,
futuro dell’area, road map. Tutte questioni che non hanno nulla a che vedere
con il diritto al cibo e all’acqua”.

A fine mese, l’ufficio della Cdh dovrà prendere una decisione
sull’atteggiamento da adottare nei confronti di Jean Ziegler, che nega il
fatto.

Rimane comunque forte la condanna dell’opinione pubblica
internazionale, Stati Uniti a parte naturalmente, sull’incessante e
criminoso operato dello Stato ebraico.

In questo senso, ultime in ordine di
tempo sono state le dichiarazioni del premio Nobel della letteratura Josè
Saramago. Durissime le sue parole: “Il popolo ebreo ormai non merita più
simpatia per le sofferenze che ha passato. Gli ebrei stanno applicando ai
palestinesi gli stessi delitti, gli stessi abusi di cui sono stati vittime
-come si legge sull’edizione on line de “Il Mattino” – vivere alle spalle
dell’Olocausto pretendendo che si perdoni tutto ciò che fanno nel nome di
quello che soffrirono mi pare un poco abusivo”. Per lo scrittore portoghese,
la decisione del governo israeliano di costruire un muro di separazione coi
palestinesi “ci obbliga a ricordare i ghetti in cui gli stessi ebrei erano
costretti a vivere”. “Israele sta facendo perdere il capitale di simpatia,
di ammirazione e di rispetto che il popolo ebreo meritava per le sofferenze
che ha passato. Già non sono degni di questo capitale. In Medio Oriente -ha
concluso – è in corso una guerra completamente sproporzionata tra uno dei
più poderosi eserciti del mondo ed un gruppo di gente che si è deciso di
chiamare terroristi, che hanno bombe, che si suicidano, che tirano pietre”.

(20 ottobre 2003)

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