LA RIVOLUZIONE E' LONTANA. LONTANISSIMA

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DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com

Rispetto a solo qualche anno addietro gli italiani sono in condizioni economiche e sociali assai peggiori. Non solo: rispetto alle aspettative che si potevano supporre solo una generazione fa, ora il futuro è, senza possibilità di errore, sicuramente più nero. In qualche caso con delle certezze che si possono indicare come “definitive”. Ne abbiamo parlato spesso nel corso degli ultimi quattro anni ed è inutile tornarvici sopra. Basti un fattore, su tutti, a titolo di esempio: le generazioni che si affacciano nel mondo del lavoro in questo momento, così come anche quelle che non vi sono dentro da molto tempo, sicuramente non avranno una pensione decente. Probabilmente non ne avranno affatto. Ogni due anni, ormai, i governi del nostro paese intervengono sulle modalità per accedere alla pensione, e anche senza arrivare al caso terribile degli esodati, lo spostamento continuo dell’età pensionabile e le modifiche di accumulo (per chi, naturalmente, ha un lavoro che gli consente di versare dei contributi) puntano dritti all’unica possibilità rimasta in mano a uno Stato che non ha più denaro e che sa che non ne avrà affatto, per le pensioni, nel prossimo futuro: fare in modo, il più possibile, di non doverne erogare. A brevissimo, per chiudere con questo discorso che è solo emblematicamente introduttivo, si arriverà al punto del blocco totale, visto che la generazione dei baby boomers, grossomodo i finti “rivoluzionari” del ’68, che tutto hanno fatto fuorché rivoluzionare alcunché, e anzi si sono battuti semplicemente per prendere il posto dei loro predecessori lasciandoci in eredità la società che poi è sfociata in quello che abbiamo davanti agli occhi (un bel lavoro, non c’è che dire) arriveranno all’età pensionabile. E si tratta di un numero impressionante, per lo Stato italiano, che ovviamente non potrà farvi fronte. A quel punto, presto, ne vedremo delle nuove. E definitive.

Ma questo, come dicevamo, è solo un esempio. Il punto principale è che la situazione è cambiata in peggio e che per il prossimo futuro, complice la cornice speculativa internazionale di cui l’Italia è succube economicamente e politicamente, sarà sicuramente ancora peggiore. Gli elementi di scontento e di rabbia, per cercare di cambiare la situazione, ci sarebbero insomma tutti. Ancora di più, e forse soprattutto, ci sarebbero ormai tutti gli elementi per aver capito definitivamente che la classe politica del nostro paese – tutta – ha ampiamente dimostrato nella migliore delle ipotesi di non avere la capacità per cambiare la situazione, visto che sino a ora ha contribuito solo a peggiorarla ulteriormente, e nella peggiore delle ipotesi, che purtroppo è quella più probabile, non ha la minima intenzione di mettersi a combattere in alcun modo per cambiarla visto che sino a ora dalla situazione ha avuto solo da guadagnarne. Non è esercizio di presunzione pensare che al momento aspiri solo a mantenere lo statu quo onde continuare a beneficiare delle rendite di posizione attuali il più possibile. Cosa che troviamo anche – o forse non è un caso – in larga parte della cittadinanza.

Gli ingredienti per una rivoluzione in teoria ci sono tutti. Eppure non accade nulla. O comunque molto poco.

Se si eccettuano vacui cortei di protesta, sempre ben irregimentati e composti, dimostrazioni locali e specifiche, una pletora di movimenti e movimentini sparuti, separati e con l’indubbia difficoltà di passare dalla teoria (quando la hanno) all’azione, la situazione è quella di un placido traghettamento verso il baratro senza che le masse si stiano scaldando troppo. Naturalmente ci sono tante persone, molte più di quanto non si creda, che invece di puntare (o di sperare) in una rivoluzione, preso atto dello stato delle cose si sono date quanto meno alla ribellione, alla sedizione, operando soprattutto nel proprio quotidiano una serie di scelte che non solo in termini di idee ma proprio dal punto di vista pratico rappresentano gli unici elementi (il che non è confortante) di reazione alla situazione attuale. Naturalmente, queste, possono puntare al massimo a una imperfetta salvezza personale, certamente non a un cambiamento della situazione generale.

C’è dunque da chiedersi perché non vi siano ancora dei reali moti rivoluzionari.

Beninteso, anche nel resto del mondo occidentale è così. Se si fa eccezione ad alcune, e solo alcune, realtà della Primavera Araba, in tutto il resto del mondo europeo o statunitense i vari eventi ascrivibili ai movimenti degli Indignatos e di Occupy Wall Street sono, al momento, ancorché simbolici, ancora allo stato dimostrativo. Di presenza e testimonianza.

E paradossalmente gli atti più cruenti di cui si abbia notizia avvengono proprio nel nostro Paese, come quelli relativi al Movimento No-Tav o, bisogna pure che qualcuno lo rilevi nella giusta ottica, che non è certamente “politically correct”, con i recenti fatti di cronaca relativi alle sedi di Equitalia. Ma per ora nulla di più.

A nostro avviso gli elementi per cui non si è arrivati ancora a un punto di vera rottura, cioè di passaggio da una fase dimostrativa e simbolica a una pratica, sono diversi.

Intanto si sta ancora bene. O, per dirla brutalmente, la maggioranza degli italiani non si muore affatto di fame. Si può disquisire sul fatto che – e vi sono molti casi – piuttosto si stringa la cinghia sul cibo pur di permettersi un altro elettrodomestico. Oppure si rinunci a spese sanitarie per riuscire a pagarsi, a rate, almeno una settimana di ferie all’anno. Ma insomma, salvo i casi – pur in drastico aumento – ove veramente si è finiti sotto la soglia della povertà, gli italiani, pur senza possibilità di risparmiare, pur dovendo ricorrere ancora al credito, continuano a spendere tutto ciò che hanno come se questa fosse solo una crisi passeggera. E sperando in un miglioramento che in realtà non è affatto all’orizzonte. 

Il che innesca ovviamente una seconda riflessione conseguente: i più non hanno capito realmente la situazione. Complici i media, complici i megafoni di una classe politica che ha tutto l’interesse a tenere mascherato il reale stato delle cose, e complice, ovviamente, una ignoranza e noncuranza diffusa in merito a ciò che accade e ai veri strumenti informativi e culturali per poterlo capire (ad esempio, non si rinuncia a una pizza la sera ma si fa tranquillamente a meno di comperare dei supporti per informarsi e formarsi) è ancora evidente che nessuno crede, o vuole credere, a cosa sta accadendo. Anche se si tratta non di cose imminenti, ma del tutto immanenti, non c’è ancora la percezione, figuriamoci la convinzione, del fatto che questo ciclo economico-esistenziale sia arrivato alla fine. Dunque, se non si è presa coscienza dello stato delle cose, è evidente che a tutto si pensi fuorché a come fare per cambiare la situazione. Al più ci si rifugia nella (inutile) speranza che ciò che ci raccontano Monti, i politici e i media embedded sia vero, e che la crisi, pur dura, sia comunque sulla strada della risoluzione. Malgrado questi sacrifici pesino, si pensa, torneremo in ogni caso a vedere “la luce”.

Altra cosa, fondamentale: esiste, malgrado tutto, la fascinazione verso la politica attuale o, ancora peggio, verso alcune sue nuove espressioni, come il Movimento 5 Stelle di Grillo, che purtroppo, nonostante le intenzioni, rappresentano un elemento di fatto depotenziante. Da una parte c’è larga fetta del paese che, vedrete, accorrerà ancora alle urne, appena vi si sarà chiamati, per dare il voto a una parte o all’altra che, anche cambiando nome e alleanze, è pur sempre la stessa che ci ha portato alla situazione attuale. Dunque, pur avendo la prova provata della sua totale inefficacia, quando non peggio, rispetto alle domande che la crisi sistemica ci porge, oltre la metà dei cittadini italiani tornerà a dargli il voto. Come nulla fosse accaduto per decenni e decenni. Dall’altro lato, fenomeni come quello di Grillo, dicevamo, sortiscono il risultato di far accorrere alle urne, a legittimare ancora, di fatto, lo stato delle cose, anche quelli che dovrebbero aver capito da un pezzo che il nostro sistema politico non funziona. Pur animati dalle migliori intenzioni (tutte da verificare, naturalmente) e malgrado il fatto che queste intenzioni siano in modo manifesto insufficienti per poter aspirare a condurre un paese (manca del tutto una idea monetaria, una idea geopolitica, una idea economica, tra le altre) gli esponenti del Movimento 5 Stelle prenderanno dei voti. Parecchi anche, sortendo l’effetto opposto a quello che sarebbe necessario: invece di far aumentare l’astensione, invece di far aumentare l’indignazione, faranno credere agli elettori che gli accorderanno preferenza, che ora sono se non altro rappresentati in Parlamento. E una volta che ci si sentirà rappresentati, ovviamente, l’effetto secondario sarà quello di aspettare ancora. Una legislatura? Due? Tre? Vogliamo dire un’altra decina d’anni? Insomma attesa e rimozione totale di qualsivoglia tentazione rivoluzionaria da parte di chi lo avrà votato, mentre la storia andrà avanti senza cambiare corso. Perché pur cambiando alcune persone, all’interno di questo meccanismo, il meccanismo continuerà ad andare avanti. Cosa che, invece, rappresenta il primo obiettivo da abbattere. 

Fascinazione, questa di Grillo, e soprattutto ora dopo le elezioni Amministrative appena passate, nella quale cadono in molti e cade, peraltro, anche il “nostro” Alessio Mannino, argomentando il tutto, beninteso, nel suo articolo di questo numero del mensile, al quale come è doveroso e utile giornalisticamente diamo ovviamente spazio. La nostra posizione personale, così come quella di Fini, invece, in tal senso è diversa ed è nota.

C’è inoltre il fatto, molto più ampio e profondo da analizzare, che non esiste più, in maniera assoluta, il benché minimo spirito di comunità. Sia essa nazionale ma anche locale, figuriamoci a livello continentale. Chi è che dovrebbe fare la rivoluzione, in Italia? E a favore di chi? Ci sarebbero ancora madri che, pur controvoglia, manderebbero in battaglia i propri figli per una azione che possa avere effetti per una comunità, un Paese, una nazione, una cittadinanza che nella realtà delle cose esiste solo, e neanche più tanto, quando si disputa una partita di calcio della nazionale?

E quali sarebbero poi queste forze giovani, questi ragazzi tanto attenti alla realtà, tanto impavidi e pronti a battersi insieme per qualcosa che, a quanto pare, la maggioranza non sa neanche cosa sia?

Ma manca, soprattutto, una idea cardine attorno alla quale unirsi e, fatalmente, un leader che possa incarnarla, portarla avanti e cercare di attrarre forze. Oggi non si può intervenire in un ambito senza avere una idea generale, una dottrina politica complessiva, olistica, del mondo. Dei rapporti tra Stati e forze geopolitiche. Nella (mal) gestione dell’esistente si è persa di vista la necessità di studiare e applicarsi a teorie generali. È da queste, poi, che dovrebbero discendere le norme per la gestione dell’esistente, e non viceversa.

Insomma la Politica non c’è. Non c’è una idea pricinpale. Soprattutto, non si è presa coscienza di chi sia il Nemico Principale (di questo parlaremo presto). E se non si ha idea di chi sia il nemico, non si ha idea della direzione da prendere, è ovvio che nessuna rivoluzione potrà nascere: contro chi?; a favore di cosa? Quasi nessuno – salvo poche e fumose intuizioni – lo sa. E ancora meno possono immaginare che c’è chi, invece, ha messo bene a fuoco il tutto.

A questo punto, stanti così le cose, chi dovrebbe mai farla questa rivoluzione?

Durante una riunione di redazione, qui al Ribelle, poco tempo fa è uscita questa frase: “Più ti rendi conto di chi sono gli italiani oggi e meno ti viene voglia di difenderli. Il punto è che, per quanto ci riguarda, ancora pensiamo che in ogni caso sia ancora più utile combattere contro gli altri, contro i banksters e gli speculatori, contro il pensiero unico e la finanza”. E dunque andiamo avanti. Ma sperare in una rivoluzione, o tentare di organizzarla, come ancora molti, ingenuamente pur comprensibilmente, ci scrivono e ci esortano spesso, a ben vedere, oggi, è veramente pura utopia.

Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com/
20.05.2012

Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle”

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