DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
“Ogni tanto, nelle dolci ore del mattino, capita che, per rispetto della mia tarda età, invece di precipitarmi giù dal letto per mettermi subito al lavoro, io rubi al vortice degli impegni quotidiani un po’ d’ozio e mi dedichi a un gioco che richiede una concentrazione pari a quella necessaria a risolvere un dilemma scacchistico: la decifrazione della politica italiana. Di giorno in giorno cresce in me l’ammirazione per l’abilità dei politici che, fingendosi drammaticamente impegnati a lottare per la “res publica” tessono in realtà tutta una trama di lotte per il potere che non ha nulla a che fare con il bene dello stato o del popolo, ma serve ad accrescere proporzionalmente la partecipazione dei singoli partiti alla spartizione del bene pubblico”.
Chi è? Il solito intellettuale italiano mai contento di nulla, dedito alla critica facile, astiosa, preconcetta? Un girotondino o un “grillino” campione dell’antipolitica? Un nemico giurato della democrazia rappresentativa? No, è Gregor von Rezzori (“Sulle mie tracce”), famoso scrittore tedesco di origine rumena, noto da noi per alcuni romanzi e saggi (fra cui “Memorie di un antisemita”, “Sulla scogliera”, “Va ermellino a Cernopon”) che visse in Italia, fra Milano e la Toscana, l’ultima parte della sua vita avventurosa e scrisse queste annotazioni nella seconda metà degli anni Novanta.
Nella foto: Gregor von Rezzori
Un giudizio quindi non di parte, il suo, distaccato, cui è lecito dar credito, che fotografa lucidamente che cos’è davvero, nella sostanza, la politica italiana di ieri e di oggi. E che ci dice, con l’ironia che può permettersi chi ne è fuori, qual è il vero problema della democrazia italiana: i partiti; che, contemplati in un solo articolo della Costituzione (“i cittadini possono organizzarsi in partiti per concorrere a formare la volontà nazionale”), hanno finito per occuparli tutti.
La partitocrazia italiana ha origini lontane. Nasce col Cln. Finita la guerra i partiti che, dai comunisti ai monarchici, avevano partecipato alla Resistenza contribuendo alla liberazione del Paese sia pur in un ruolo marginale (perché l’Italia l’hanno liberata gli angloamericani) cominciarono a spartirsi ciò che, presenti ancora gli Alleati nell’Italia sconfitta, si potevano spartire, cioè le istituzioni minori: prefetture, questure, sindaci, comuni. Quindi, costituitasi l’Italia repubblicana, passarono alle istituzioni maggiori: presidenza della Repubblica, presidenza del Consiglio, presidenze delle Camere, Parlamento. Il problema divenne evidente e pubblico a cavallo degli anni Sessanta con le denunce di Giuseppe Maranini e dello stesso presidente del Senato Cesare Merzagora. Denunce che non ebbero effetto alcuno perché i partiti dilagarono per ogni dove: nelle aziende di Stato, in quelle del parastato, nelle Spa comunali, negli Ospedali, nelle Ussl poi Asl, nei Porti, negli Acquedotti, nelle Terme, nei Teatri, nei Conservatori, nelle Mostre. Di questa occupazione arbitraria la Rai-Tv, dove nemmeno un usciere sfugge al manuale Cencelli, è l’esempio più clamoroso. Si è arrivati addirittura allo scambio di figurine fatto non più sottobanco, vergognandosene un poco, ma “en plein air”: tu mi dai un giudice della Corte Costituzionale e io ti ricambio con la presidenza della Commissione di vigilanza Rai.
Si parla tanto in questi mesi di riforme: riforma della Giustizia, riforma federalista, riforme costituzionali. Ma la riforma più urgente, primaria, essenziale perché quella italiana diventi una vera democrazia e non resti, come invece è, un sistema di oligarchie, arbitrarie, prepotenti, onnipotenti, clientelari e intimamente mafiose, sarebbe la riforma dei partiti, la drastica riduzione della loro onnipresenza.
Ma in una democrazia rappresentativa solo i partiti, occupando il Parlamento, cioè il potere legislativo, possono riformare i partiti. Perciò questa riforma non si farà mai. A meno che i cittadini non perdano definitivamente la pazienza.
Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 02/01/2009