DI TYLER DURDEN
zerohedge.com
“Se inizierà la corsa agli sportelli sarà la fine del sistema bancario più insolvente d’Europa”.
Nel 2013 scrivemmo un articolo intitolato “Europe’s EUR 500 Billion Ticking NPL Time Bomb” [“La bomba ad orologeria dei 500 miliardi di NPL in Europa” n.d.t.] in cui mostravamo in modo semplice perchè il più grande pericolo per la banche europee fossero i prestiti cattivi, non-performanti [“Non-performing loans” o NPL, n.d.t].
Dicemmo anche che “il problema europeo dei prestiti non-performanti è una questione di tale portata che girano sempre più dicerie sul fatto che la BCE possa prendere questa spazzatura sul proprio bilancio, dato che i politici si rendono conto che i cattivi debiti e gli NPL riducono la capacità delle banche di fare prestiti, danneggiando il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. I cattivi debiti consumano capitale e rendono le banche più avverse al rischio, specialmente rispetto ai prestiti verso soggetti a rischio come le piccole e medie imprese. Con l’Italia (13.4% di NPL) che segue la stessa fosca traiettoria dei cattivi prestiti spagnoli, la situazione sta vivendo una rapida escalation (con una media di un aumento del 2.5% all’anno)”.
La conclusione era altrettanto semplice:
“La morale della favola è che in fondo è tutto semplicemente un problema di cattivo debito, e maggiore è il cattivo debito maggiori diventano i rischi di passività anche per i depositi”. Come rispondemmo allora: “la vera domanda per l’Europa è: quanta tolleranza c’è alle passività nei vari paesi europei prima che anche i depositi debbano essere tagliati? Con i debiti non-performanti nei paesi periferici che arrivano nel 2012 a un totale di 720 miliardi in tutta l’area euro, di cui 500 miliardi stipati nelle banche della periferia”.
Oggi, tre anni dopo, la bomba sembra sul punto di esplodere (o potrebbe già essere esplosa in silenzio), e non potrebbe essere espresso in modo più chiaro di come fatto in un articolo del Wall Street Journal che si concentra sul sistema bancario insolvente italiano, e accusa, chi altri se no, le centinaia di miliardi di NPL nei bilanci delle banche di essere il colpevole della prossima crisi europea.
Davvero niente di nuovo, a parte un buon riepilogo della situazione da Comma 22 in cui si trova l’Italia. Dall’articolo del WSJ “Bad Debt Piled in Italian Banks Looms as Next Crisis” [“Il cattivo debito impilato nella banche italiane incombe come la prossima crisi” n.d.t.]:
Il voto britannico per lasciare la UE ha dato luogo a fosche previsioni per l’economia del Regno Unito. Il danno al resto d’Europa potrebbe essere più immediato e potenzialmente più serio. In nessun posto il rischio è più pesantemente concentrato che nel settore bancario italiano. In Italia, il 17% dei prestiti è guasto. Questo è pari a quasi 10 volte il livello USA dove persino nei momenti peggiori della crisi finanziaria del 2008-2009 era solo il 5%. Tra tutte le banche commerciali dell’eurozona quelle italiane totalizzano quasi la metà del totale dei cattivi prestiti.
Anni di criteri di prestito indulgenti hanno lasciato le banche italiane impreparate per il momento in cui il crollo economico ha fatto crescere le bancarotte alcuni anni fa. In una delle maggiori banche, Banca Monte dei Paschi di Siena SpA, i cattivi presiti erano così tanti che è servito un team di 700 persone per affrontarli creando una nuova unità per gestirli. Diverse settimane fa la banca ha messo in vendita l’unità dei cattivi-crediti, sperando che un partner straniero avrebbe accelerato il processo di liquidazione.
Il voto britannico per lasciare l’Unione Europea ha fatto concentrare le pressioni sulle banche europee in generale, e su quelle italiane in particolare. Secondo alcuni banchieri mette a rischio la vendita di Monte dei Paschi e crea nuova incertezza in un momento in cui i prestatori stanno combattendo con tassi di interesse bassissimi o persino negativi e una crescita economica apatica.
La Brexit ha fatto preoccupare molti dirigenti sull’eventualità che le banche centrali possano tenere i tassi di interesse bassi per ancora più tempo nel tentativo di controbilanciare la scarsa crescita nell’eurozona e in Gran Bretagna. La azioni delle banche europee sono crollate dopo il voto, e quelle italiane sono state colpite in modo particolare. I titoli del Monte dei Paschi sono scesi di un terzo dal referendum del 23 Giugno. Secondo gli analisti tutto ciò minaccia di innescare una crisi di fiducia nelle banche italiane. Sebbene l’Italia abbia una sola banca, UniCredit, classificata come significativa da un punto di vista globale secondo le regole bancarie internazionali, alcuni analisti affermano che gli stress peggiorati dalla Brexit potrebbero minacciare la stabilità dell’Italia e potenzialmente persino della UE.
“La Brexit potrebbe generare una crisi bancaria conclamata in Italia”, ha detto Lorenzo Codogno, ex direttore generale del Tesoro. “Il rischio di una disgregazione dell’eurozona sarà evidente a meno che le preoccupazioni dovute alla Brexit non verranno immediatamente affrontate”.
Un veloce ripasso del perchè subito dopo la Brexit le banche italiane si sono agitate per chiedere all’Europa un permesso speciale per un bail-out (anziché bail-in) [cioè salvataggio dall’esterno, con fondi pubblici, anziché dall’interno con i soldi di azionisti, obbligazionisti e correntisti. N.d.t] delle banche locali dal momento che qualunque altra opzione darebbe probabilmente inizio a una caotica corsa agli sportelli.
Secondo dirigenti di banca italiani, quando la crisi finanziaria di fine 2008 colpì le banche italiane tesero a passare sopra ai prestiti che non venivano ripagati, nella speranza che un miglioramento economico si sarebbe fatto carico del problema. Le difficoltà delle banche italiane hanno dato inizio al primo vero test del modello adottato dalla UE due anni fa per gestire le sofferenze bancarie. Il governo italiano ha chiesto alla UE il permesso di iniettare 40 miliardi di euro nel suo sistema bancario per stabilizzare il sistema.
Per fare ciò sarebbe necessario aggirare la regola anti-bailout che l’unione ha adottato nel 2014 per costringere proprietari, azionisti, obbligazionisti e anche alcuni dei correntisti a pagare il prezzo prima dei contribuenti.
Roma sostiene che aggirare la regola sarebbe un piccolo prezzo da pagare per costruire una barriera contro un possibile contagio bancario dovuto alla Brexit. I partner dell’Italia, guidati dalla Germania, respingono l’idea, lasciando Roma esposta alla possibilità di una crisi bancaria.
…Specialmente se l’uomo che era a capo delle banche italiane nel 2008, Mario Draghi, dovesse essere identificato come l’uomo chiave responsabile dell’insolvenza del sistema finanziario italiano. Eppure, a oggi la Merkel si è dichiarata contraria a un vero e proprio bail-out, sapendo che “aggirare le regole dell’Europa” vorrebbe dire far finire nello scarico altri soldi dei contribuenti tedeschi.
E mentre aspettiamo la fine di questa telenovela che ha visto la scorsa notte delle dure parole di frustrazione del primo ministro italiano Renzi verso Draghi, ecco alcuni numeri:
Quando la BCE ha iniziato a supervisionare le maggiori banche europee nel 2014 la situazione si è fatta più dura. I banchieri dicono che il nuovo supervisore ha applicato criteri più rigidi di quanto fatto dalla Banca d’Italia per dichiarare dei prestiti a rischio. In Aprile, ha costretto una banca a intraprendere delle maggiori svalutazioni dei cattivi prestiti cattivi prima di concederle il permesso di unirsi a un’altra banca. Il risultato è che i prestiti danneggiati nelle banche italiane ora superano i 360 miliardi di euro, quattro volte il livello del 2008, e continuano a crescere.
I tentativi delle banche di scaricare alcuni dei cattivi prestiti sono miseramente falliti, con banche e possibili investitori su valutazioni molto distanti tra loro. Le banche hanno svalutato i prestiti non-performanti di circa il 44% del loro valore nominale, ma gli investitori ritengono che il loro valore sia più vicino al 20-25%, pari ad altri 40 miliardi di svalutazione.
Una ragione della scarsa valutazione è l’enorme difficoltà a sciogliere un cattivo prestito in Italia. I ribunali italiani impiegano otto anni in media per dare luogo alle procedure di insolvenza. Un quarto dei casi richiede 12 anni. Inoltre, in molti casi, la garanzia del prestito è la casa di famiglia del proprietario dell’impresa, o è legato all’impresa stessa.
“C’è un disperato bisogno di rendere liquide le garanzie”, ha affermato Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Credit Management Group. “A oggi restano bloccate in aste e procedure giudiziarie che rendono veramente difficile il rimborso del prestito”.
Il problema è che al momento Roma si trova in una situazione di sicura perdita:
Con gli investitori che hanno preso le sue azioni a cazzotti quest’anno, UniCredit ha rimosso il suo amministratore delegato, Federico Ghizzoni. La scorsa settimana, mentre le azioni crollavano, è corsa a nominare un nuovo CEO, Jean-Pierre Mustier, suo ex direttore della divisione investimenti. A breve Mustier dovrà presentare un convincente piano di ristrutturazione e raccogliere almeno 9 miliardi di euro per ristabilire la fiducia degli investitori. UniCredit non ha commentato. Il governo italiano ha spinto per una soluzione che permetta di ricapitalizzare le banche e porre fine alla crisi dei cattivi prestiti, appellandosi alla UE per il permesso di iniettare 40 miliardi di euro ai prestatori. Il governo sostiene che senza tale ricapitalizzazione i problemi bancari dell’Italia potrebbero esplodere in una crisi più ampia.
“C’è una epidemia, e l’Italia è il paziente più malato”, ha detto Pierpaolo Baretta, sottosegretario del Ministero dell’Economia. Se non fermiamo l’epidemia diventerà un problema di tutti… Lo shock della Brexit ha creato un senso di urgenza. Il primo ministro Renzi ha fatto pressioni sul Cancelliere tedesco Angela Merkel nel suo incontro della scorsa settimana.
La Commissione Europea, con forte appoggio di Berlino, ha rigettato la spinta degli italiani. Alcuni funzionari europei hanno espresso privatamente fastidio per il fatto che Roma sia stata così lenta ad affrontare il suo problema bancario e ne sta pagando il prezzo in un mercato così volatile. Ora, dicono, gli italiani usano la Brexit per premere per un permesso a piegare le regole di un regime bancario che è stato difficile da ottenere.
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Roma ha criticato il nuovo sistema bancario UE e non vuole usare le regole del “bail-in” che prescrivono l’ordine in cui gli investitori debbano sopportare le perdite della chiusura di una banca sofferente, in parte per via delle peculiarità del sistema bancario italiano. Circa 187 miliardi di euro di obbligazioni bancarie sono nelle mani di piccoli investitori, i cui averi verrebbero cancellati dal fallimento di una banca secondo le nuove regole.
L’anno scorso oltre 100000 investitori di quattro piccole banche italiane che sono state chiuse hanno visto cancellati i loro investimenti. Alcuni hanno perso i risparmi di una vita. La controversia è esplosa a Dicembre quando i media hanno riportato la notizia di un pensionato suicida dopo aver perso 110000 euro di risparmi investiti in una delle banche.
Questi problemi importano poco a Bruxelles. “Tutte le nonne hanno comprato delle azioni bancarie”, ha affermato un funzionario UE. “Così ci hanno presentato la cosa… Questo lavoro va fatto secondo le regole, usando la flessibilità che c’è”.
In questo caso allora “tutte le nonne” italiane hanno un grosso problema, ma non tanto grosso quanto quello di Renzi, perchè se inizerà la corsa agli sportelli (successiva ai bail-in), sarà la fine del sistema bancario più insolvente d’Europa.
Infine, mentre nulla di quanto detto sopra è completamente nuovo, ne abbiamo parlato per 5 anni, l’Europa e Wall Street sono riusciti a ignorare tutto ciò con successo. Come mostra l’ultimo report di JPM “Early Look at the Market”, l’attenzione di tutti è finalmente e pienamente sull’Italia.
Titolo originale: A Look Inside Europe’s Next Crisis: Why Everyone Is Finally Panicking About Italian Banks
Fonte: http://www.zerohedge.com/
05/07/2016
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO