LA POLITICA DEGLI AFFARI DEL SIGNOR BERLUSCONI

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Dalle leggi tv ai condoni. Ecco come è diventato molto più ricco

DI MARCO TRAVAGLIO

«Berlusconi non ha mai fatto affari con la politica». Il sottosegretario Paolo Bonaiuti è molto spiritoso. O molto smemorato. O molto spudorato. Almeno quanto il suo principale, che giura: «Affari con la politica? Mai. Ho solo perso». Perché Berlusconi ha sempre fatto affari con la politica. Sia prima di entrarci, sia dopo.

L’assegno in bocca. Il Berlusconi palazzinaro è strettamente legato a politici nazionali e amministratori locali, con generosi ritocchi ai piani regolatori e addirittura alle rotte aeree per non disturbare la nascente Milano 2. Lo confesserà lui stesso, in un raro sprazzo di sincerità: «Dovevo fare lunghe file per seguire una pratica e poi passare da un ufficio all’altro con l’assegno in bocca, perchè così si usava nella pubblica amministrazione. Così ho smesso di costruire a Milano» (Ansa, 9 maggio 2003).

San Bettino. Negli anni 80 si comincia a parlare di una legge sulle tv e il tycoon della Fininvest trema: fortuna che nel 1983 va al governo il suo amico e socio Bettino Craxi. Il Cavaliere si lamenta col condirettore del Giornale Biazzi Vergani, perché Indro Montanelli attacca continuamente Bettino: «Sai, è quello che mi deve fare la legge sulle tv». Il 16 ottobre 1984 i telespettatori di Piemonte, Abruzzo e Lazio, al posto dei consueti programmi su Canale 5, Italia1 e Rete 4, trovano una scritta: «Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città del programmi di… regolarmente in onda nel resto d’Italia». Cos’è accaduto? I pretori Casalbore di Torino, Bettiol di Roma e Trifuoggi dell’Aquila hanno decretato la disattivazione degl’impianti che consentono alle tv regionali affiliate al Biscione di trasmettere in «interconnessione» su scala nazionale. L’«effetto diretta» è proibito da varie sentenze della Consulta. Ma -spiega Casalbore- «nulla vieta di mandare in onda programmi prodotti localmente». Nessun oscuramento. Ma la Fininvest decide di auto-oscurarsi per dare la colpa ai giudici. Il popolo dei Puffi, di Dallas e di Uccelli di Rovo, debitamente arruolato dalla propaganda Fininvest, si mobilita. Tempesta giornali, preture e Rai con telefonate di fuoco, mentre la Fininvest revoca l’autoscuramento per mandare in onda un «Costanzo Show-Speciale black out»: ore e ore di piagnisteo. Sua Emittenza, in pieno dramma, corre a piangere sulla spalla di Craxi, in partenza per una missione a Londra. Chiede un decreto urgente, ma il ministro delle Poste e Telecomunicazioni Antonio Gava non ci sta: «Sarebbe un errore agire in termini di conflitto con l’autorità giudiziaria, che interpreta le norme esistenti». Craxi però non sente ragioni e da Londra convoca un consiglio dei ministri straordinario per il 20 ottobre, anticipando il rientro in patria. Decreto «eccezionale e temporaneo», spiegano i socialisti, in attesa della legge sulle tv, data per imminente (la faranno nel 1990). Ma il 28 novembre la Camera, grazie ai franchi tiratori Dc, boccia il decreto come incostituzionale: 256 voti contro 236. Il 3 dicembre i pretori reiterano il sequestro degli impianti. Craxi li investe a male parole, poi impone un secondo decreto, ponendo la fiducia e minacciando le elezioni anticipate. Così Berlusconi la spunta, conservando il suo monopolio incostituzionale.

San Mammì. Nel ’90 passa la legge Mammì, che dovrebbe riordinare il sistema tv con relativi tetti antitrust. La lobby berlusconiana riesce a ottenere che un antitrust che «fotografi» il trust del Cavaliere, il quale potrà tenersi le sue tre reti («legge Polaroid»). Per protesta la sinistra Dc ritira i suoi 5 ministri dal governo Andreotti, che li rimpiazza in una notte. La legge impone alla Fininvest due soli vincoli: cedere il Giornale e le quote oltre il 10% di Tele+1 e Tele+2. Berlusconi li aggira subito, passando il Giornale al fratello Paolo e intestando le quote eccedenti delle pay tv a vari prestanomi. Subito dopo la Mammì, tra il 1990 e il ’91, la Fininvest versa tramite All Iberian su due conti svizzeri di Craxi circa 23 miliardi di lire. La Procura di Roma sospetta anche un giro di tangenti al ministero delle Poste in cambio – si sospetta – della Mammì e del piano frequenze. L’uomo-chiave, secondo l’accusa, è un giovanotto di 34 anni, Davide Giacalone, già segretario del ministro Oscar Mammì, considerato il vero autore della legge sull’emittenza e subito dopo ingaggiato alla Fininvest con una consulenza da 600 milioni. Finiscono sotto inchiesta anche Gianni Letta e Adriano Galliani: il pm Maria Cordova chiede di arrestarli entrambi, ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa si astiene perchè Letta è un «amico di famiglia». Il capo dei gip Renato Squillante passa la pratica a un altro giudice, De Luca Comandini, che respinge entrambe le richieste di cattura. La Iannini verrà sorpresa da una microspia nel bar Tombini, il 21 gennaio ’96, in compagnia di Squillante e di Vittorio Virga, avvocato di Giacalone, Letta e Paolo Berlusconi. Ora dirige il ministero della Giustizia. L’inchiesta finisce in un nulla di fatto. Vizzini e Mammì prosciolti dal Tribunale dei ministri. Letta e Galliani dal gip. Giacalone in parte assolto, in parte prescritto. Di recente Mammì ha raccontato una visita del Cavaliere alla vigilia della legge: «Scherzava, faceva battute, cercava di accattivarsi la mia simpatia. Poi mi si inginocchiò davanti e, baciandomi la mano, mi disse: “La prego, ministro, non rovini me e le mie famiglie!”».

Debiti addio. Quando entra in politica, Berlusconi è sull’orlo del fallimento: debiti per 6 mila miliardi. L’amministratore delegato Franco Tatò -racconterà Dell’Utri- ripeteva: «Cavaliere, dobbiamo portare i libri in tribunale». Lui invece porta l’azienda nello Stato. I debiti spariscono con la quotazione di Mediaset in Borsa nel ’96 (autorizzata dalla Consob nonostante le centinaia di miliardi di fondi neri emersi dalle inchieste milanesi). L’azienda del Biscione, anche grazie al recupero di punti preziosi d’ascolto sulla declinante Rai berlusconiana, rifiorisce: in un’economia stagnante e in una congiuntura negativa in tutto il mondo per le aziende tv, fa eccezione proprio Mediaset, che nel 2004 ha toccato 500,2 milioni di utile netto (+35,3% rispetto al 2003) e un aumento della raccolta pubblicitaria del 9,1%: i migliori risultati dal ’96 (da allora il titolo è lievitato del 187%, mentre in tutto il resto d’Europa le azioni del comparto tv scendevano del 4%). Anche il portafoglio del padrone va a gonfie vele: se nel ’94 i suoi beni personali ammontavano a 3,1 miliardi di euro, oggi la sua famiglia si ritrova in tasca 9,6 miliardi. A ciò si aggiungono i guadagni in Borsa, grazie al continuo rialzo dei titoli delle società del premier (Mediaset, Mediolanum, Mondadori): nel solo 2003 si parla di 7.71 miliardi di euro (1,7 in più rispetto all’anno precedente: +28%).

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San Tremonti. Grazie a diversi provvedimenti del creativo ministro dell’Economia, Mediaset ha risparmiato una barcata di miliardi di tasse. Il primo è la legge Tremonti-1, quella del ’94 che defiscalizzava gli utili reinvestiti. La Fininvest, grazie a un’ interpretazione ad hoc fornita dallo stesso ministero, fa passare per nuovi investimenti l’acquisto di film non proprio nuovi e già posseduti da società del gruppo, per giunta a prezzi gonfiati secondo le ultime inchieste milanesi, e risparmia 243 miliardi di lire di tasse: soldi fondamentali per capitalizzare la nuova società Mediaset in vista della quotazione («Mediaset – scriveranno i pm Robledo e De Pasquale – fu quotata in Borsa sulla base di una falsa rappresentazione della consistenza patrimoniale»). Poi c’è il condono fiscale del 2003. Berlusconi giura che non se ne avvarrà, è l’ennesima bugia: dei 197 milioni di euro di tasse non pagate che gli contesta l’erario, ne paga solo 35. Poi c’è il decreto «spalmadebiti» del calcio: diluendo i debiti del Milan su 10 anni, il premier risparmia 217 milioni per il bilancio 2003. Infine la riduzione delle tasse: l’aliquota più alta – salvo contributo di solidarietà- scende al 39%. Per l’Espresso, il contribuente Berlusconi risparmia 760 milioni di euro all’anno.

Consigli per gli acquisti. Da quando Berlusconi torna a Palazzo Chigi nel 2001, molte aziende aumentano gl’investimenti pubblicitari sulle reti Mediaset a scapito della Rai e della carta stampata. Dai dati Nielsen del solo 2003, risulta che quotidiani e periodici hanno perso 165 milioni di euro di pubblicità, di cui 95 sono passati alla tv privata, cioè a Mediaset. Poi c’è la pubblicità istituzionale, promossa dai ministeri con denaro pubblico: nel solo gennaio-marzo 2005, sempre secondo Nielsen, il governo ha speso in spot 5,3 milioni di euro, per il 96,2% in tv (soprattutto Mediaset: la Rai quegli spazi li fornisce gratis), violando persino la legge Gasparri che impone di destinare il 60% delle campagne istituzionali alla stampa. Inoltre si calcola che ogni anno Mediaset sfori di circa il 5-7% (800 milioni di euro) i già spropositati tetti pubblicitari fissati per legge. Ma le sanzioni minacciate dall’Authrity non sono mai arrivate.

Santi Maccanico e Gasparri. Nel ’94 la Consulta dichiara incostituzionale il monopolio berlusconiano e impone la vendita di una rete Fininvest. Ma prima i governi dell’Ulivo (legge Maccanico, anch’essa incostituzionale), poi il Berlusconi-2 (decreto salva-Rete4 e legge Gasparri) calpestano quella sentenza consentendo a Berlusconi di seguitare a detenere il suo monopolio illegittimo. Con Rete 4 su satellite, avrebbe perso circa 192 milioni di euro di pubblicità all’anno. Con Rete 4 su terrestre, continua ad accaparrarseli. In più, grazie all’ulteriore innalzamento del tetto antitrust, Confalonieri ammette che Mediaset potrà espandersi per altri «1 o 2 miliardi di euro».
Il resto, mancia. Dinanzi a questi macroscopici guadagni procurati dal Berlusconi premier al Berlusconi affarista, gli altri provvedimenti ad hoc quasi quasi sfigurano. C’è l’abolizione della tassa di successione anche per le eredità superiori ai 350 milioni di lire. C’è l’accordo che consente a Mediolanum di usare la rete di sportelli delle Poste Italiane in tutta la penisola. C’è l’accordo fra la ministra Moratti e le Poste per prenotazioni, acquisti e consegne dei libri scolastici, forniti in esclusiva da Mondolibri (Mondadori, cioè Berlusconi). C’è il decreto che incentiva con fondi pubblici l’acquisto dei decoder, prodotti da Paolo Berlusconi. C’è il rinvio al 2008 della riforma del Tfr, così non si disturba Mediolanum. C’è il condono edilizio che sana gran parte delle opere abusive a Villa La Certosa: le altre sono coperte da «segreto di Stato».

Marco Travaglio
Fonte: www.unita.it
6.01.06
visto su: http://bananabis.splinder.com/

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