DI PATRICK J. BUCHANAN
Lew Rockwell
“John Demjanjuk Colpevole degli Omicidi nei Campi della Morte Nazisti” è il titolo della BBC.
E questo è il sottotitolo:
“Una corte tedesca ha condannato John Demjanjuk per aver collaborato all’omicidio di più di 28.000 ebrei nel campo della morte nazista in Polonia.”
Fino a che al paragrafo 17 si può
trovare quest’affermazione stupefacente: “Nessuna prova è stata
fornita per l’attribuzione di un crimine specifico.”
È corretto. Non è stata fornita alcuna prova, nessun testimone è intervenuto a testimoniare di aver visto Demjanjuk far del male a qualcuno. E la prova principale che riporta Demjanjuk a Sobibor è venuta dal KGB.
La prima era un riassunto del KGB di
una presunta intervista fatta a Ignat Danilchenko, che asseriva di essere
una guardia a Sobibor e di conoscere Demjanjuk. La seconda è stata
una carta d’identità fornita dai Sovietici dal campo di Trawniki
dove venivano addestrate le guardie.
Ci sono dei grossi problemi in entrambe
queste “prove”.
Per prima cosa, Danilchenko è
morto da un quarto di secolo, nessuno in Occidente lo ha mai intervistato
e Mosca ha fatto ostruzionismo alle richieste della difesa per accedere
al suo archivio completo. Se sia realmente esistito è una questione
ancora da risolvere.
Come avrebbe potuto un soldato dell’Armata
Rossa che poi ha collaborato con i nazisti sopravvivere all’Operazione
Keelhaul, che rispedì tutti i prigionieri di guerra sovietici da Joseph
Stalin, che poi o li ha uccisi o li ha mandati al Gulag?
Per quanto riguarda la carta d’identità
da Trawniki, proprio lo scorso mese il National Archives
di College Park nel Maryland ha scoperto un report
emesso nel 1985 dall’ufficio di Cleveland dell’FBI che, dopo aver
studiato la carta, concluse che “con una forte probabilità” era
una falsificazione del KGB.
“La giustizia è stata ostacolato
nello svolgimento del processo di un cittadino americano con una prova
che non solo non è ammissibile in una qualsiasi corte giudicante,
ma è basata su prove e dichiarazioni molto probabilmente fabbricate
dal KGB.”
Quest’informativa dell’FBI, mai
resa pubblica, fu prodotta proprio quando Demjanjuk fu deportato in
Israele per affrontare un processo con l’accusa di essere “Ivan
il Terribile”, l’assassino di Treblinka. In un processo che fu
seguito dalla stampa di tutto il mondo, Demjanjuk fu dichiarato colpevole
e condannato all’impiccagione.
Ma dopo cinque anni passati nel braccio
della morte, vennero portate alla luce nuovi documenti quando l’Unione
Sovietica collassò e la Russia ne prese il posto. Questa nuova prova
validava completamente le richieste dei difensori di Demjanjuk.
Non solo Demjanjuk non era mai stato
a Treblinka, ma l’archivio sovietico conteneva una fotografia del
vero “Ivan”, un uomo più robusto e più vecchio.
A suo merito, la Suprema Corte israeliana
annullò la sentenza, rifiutò una richiesta di riprocessare
Demjanjuk come guardia di un qualsiasi campo nazista in Polonia, lo
liberò e lo rispedì a casa in America.
Esposto al pubblico ludibrio e denunciato
per frode dal distretto dell’Ohio e dalle corti d’appello, l’Ufficio
delle Indagini Speciali iniziò a costruire un nuovo caso su John Demjanjuk
di Sobibor, per trattenere e riprocessare l’anziano uomo, i cui difensori
erano riusciti a far sprofondare l’Ufficio nel ridicolo.
Malgrado la storia di Sobibor e la
supposta complicità di Demjanjuk nell’assassinio di 28.000 ebrei,
nessuno testimoniò al processo di aver mai visto John Demjanjuk ferire
chicchessia, fatto riportato anche dalla BBC.
Considerate la vita di questo americano
tormentato.
Nato nel 1920 in Ucraina, da ragazzo
dovette subire l’Holodomor, la carestia imposta alla sua gente
nel 1932 e nel 1933 da Stalin e dal suo odiato accolito, Lazar Kaganovich,
che provocò la fame e la morte di un numero tra i 5 e i 9 milioni di
ucraini.
È stato definito dagli storici “l’Olocausto
dimenticato”.
Arruolato nell’Armata Rossa, Demjanjuk
fu catturato nella blitzkrieg tedesca. Diversamente dai prigionieri
di guerra americani e britannici, che i tedeschi consideravano della
stessa razza, gli ucraini erano essere inferiori che furono usati per
le sperimentazioni mediche.
Non solo Demjanjuk riuscì a sopravvivere,
ma riuscì anche a sfuggire all’ordine degli Alleati di rimpatriare
tutti i prigionieri dell’Armata Rossa per consegnarli a Stalin, cosa
che il dittatore sovietico richiese prima di liberare i prigionieri
americani e britannici a Berlino.
Alla fine della guerra, Demjanjuk sposò
sua moglie Vera, che era stata arruolata in Ucraina e portata con forza
a ovest per fornire la manodopera all’economia tedesca.
Dopo di che si trasferì a Cleveland,
entrò a lavorare nelle fabbriche delle auto, tirò su famiglia
e praticò la sua fede cristiana. Ma fece un errore.
Mandò sua moglie in Ucraina per
dire all’ anziana madre che era riuscito a sopravvivere alla guerra
e che viveva nei grandi Stati Uniti d’America.
La parola passò di bocca in bocca. Il KGB venne subito informato. Rapidamente i pagamenti che sua madre stava ricevendo dall’eroe di guerra furono bloccati e improvvisamente fece la sua comparsa una carta d’identità che riportava un John Demjanjuk addestrato a Trawniki per diventare una guardia di un campo nazista.
Il KGB iniziò a fornire i suoi “file” all’OSI che avviò così una persecuzione ossessiva nei confronti di Demjanjuk durata 30 anni.
Stalin morì nel suo letto nel 1953. Kaganovich morì a Mosca vicino alla sua famiglia nel 1991. E John Demjanjuk, 91 anni, dopo aver trascorso cinque anni nel braccio
della morte per non aver commesso un crimine in un posto dove non era mai stato, è apolide e senza fissa dimora nella stessa Germania dove i veterani delle SS camminano a piede libero.
Questa è la giustizia, nel nostro mondo.
Patrick J. Buchanan
è il cofondatore e editore di The
American Conservative.
È anche autore di sette libri, tra cui Where
the Right Went Wrong e A Republic Not An Empire. L’ultima pubblicazione è Churchill, Hitler and the
Unnecessary War.
Fonte: http://www.lewrockwell.com/buchanan/buchanan162.html
14.05.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE