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DI HS
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In una Regione che potrebbe essere la Sicilia degli anni Settanta i giudici cadono come mosche sotto il piombo di un misterioso killer, ma, per una volta, la mafia non c’entra nulla. Per mettere fine ad una situazione tanto allarmante il Capo della Polizia incarica l’ispettore Rogas, il più abile degli investigatori, di identificare l’assassino o gli assassini. Giunto nell’isola e dopo qualche altro cadavere, l’ispettore scopre la sconcertante verità: l’assassino non è altri che un farmacista che, condannato ingiustamente per l’avvelenamento della consorte, ha iniziato a vendicarsi di tutti quei magistrati che lo hanno giudicato colpevole. Il caso sembra chiuso, ma l’uomo si è misteriosamente eclissato…Dalla Sicilia la scena si sposta nella capitale dove la catena di omicidi prosegue, ma qualcosa sembra “stonare” rispetto ai primi della serie. Alcune dubbie testimonianze concorrono a concentrare i sospetti sui giovani capelloni e sugli extraparlamentari di sinistra. Venendosi a delineare l’ipotesi di una trama eversiva il caso viene sottratto a Rogas e affidato alla squadra politica. L’ispettore comincia ad avvertire la puzza di bruciato e continua a svolgere le indagini per suo conto convincendosi che, forse, qualcuno sta continuando l’opera del farmacista facendo ricadere la responsabilità sugli extraparlamentari nell’ambito di un complotto dagli oscuri contorni. Venendo a contatto con le stanze e i salotti “buoni” del Potere riservati a pochi “eletti”, nonché con i vertici istituzionali e dello Stato, Rogas viene a conoscenza dei meschini ricatti e delle piccole “guerre” fra consorterie e gruppi di potere a cui è ben estranea la cittadinanza. Spiato, pedinato ed intercettato, non ha più dubbi: all’interno delle massime autorità dello Stato si è voluto strumentalizzare e sfruttare gli omicidi dei magistrati per attuare un golpe. Convinto che il complotto vada reso pubblico e fermato, l’ispettore decide di conferire con il segretario del maggiore partito di opposizione della sinistra…

Potrebbe trattarsi di una delle tante, troppe storie che hanno funestato in tempi più o meno recenti la Repubblica italiana, invece è “solo” la trama di uno dei capolavori del grande regista del cinema italiano dell’impegno Francesco Rosi (“Salvatore Giuliano”, “Le mani sulla città, “Il caso Mattei”) che, per l’occasione ha tradotto per il grande schermo “Il contesto”, breve romanzo dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia. Con il tempo l’opera cinematografica acquisirà fortuna e una fama sinistra di cult e il suo titolo “Cadaveri eccellenti” entrerà nel nostro linguaggio comune per indicare gli omicidi di politici, governanti, statisti, magistrati, ufficiali di polizia, Arma dei carabinieri e militari, intellettuali, giornalisti, ecc… eliminati perché scomodi per l’establishment dai contorni più o meno criminali. Se nell’intenzione di Sciascia, “Il contesto” voleva essere un’opera letteraria demistificante e parodistica sul crollo di miti di una sinistra italiana – intendendo ovviamente e soprattutto il PCI – che ormai si è arresa e si è perfettamente integrata al Sistema, la pellicola di Rosi allarga notevolmente lo sguardo per fornire un quadro allucinato, amaro e pessimistico sulla Prima Repubblica e sui suoi protagonisti, comparse e figuranti. In diversa misura tutti sono colpevoli e hanno concorso a mantenere in piedi una sorta di “democrazia monca”…

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Sceneggiato brillantemente – oltre che dal regista – dal compianto poeta Tonino Guerra – autore, fra l’altro di numerose sceneggiature e molto apprezzato anche da Fellini – e dal giornalista Lino Iannuzzi molto prima che si lasciasse catturare dalla lusinghe del falso “garantismo” berlusconiano, “Cadaveri eccellenti” si avvale di un cast internazionale di prim’ordine potendo contare sull’attore italo francese Lino Ventura – protagonista e già presenza irrinunciabile di molti noir francesi -, su Max Von Sydow, attore icona del grandissimo regista svedese Ingmar Bergman e su Fernando Rey, protagonista di tante pellicole del regista spagnolo e surrealista Luis Bunuel. Erano ancora quelli i tempi in cui nel cinema italiano – nella fase iniziale della sua triste decadenza – accadeva qualche piccolo miracolo come questa pellicola dallo stile incredibile e complesso, ora “realista” ora barocco e perfino manierato a tratti… Complesso, sfuggente, contradditorio e leggermente ambiguo, “Cadaveri eccellenti” costituisce una piacevole e felice anomalia nella pur rispettabile e invidiabile carriera di Rosi. Per una volta si rinuncia al consueto taglio documentaristico per narrare una storia fra il fantapolitico e poliziesco che veicoli un’audace interpretazione della “strategia della tensione”. Se nel corso della prima mezz’ora di pellicola sembra di assistere ad uno dei mafia movie abitualmente diretti dallo specialista Damiano Damiani (“Il giorno della civetta”, “Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica” e la prima serie della “Piovra” televisiva), in maniera completamente spiazzante lo spettatore viene poi proiettato in una dimensione vagamente surreale, onirica e quasi da incubo, asfittica e claustrofobica. Il “verismo” dell’ambiente siciliano cede alle tentazioni kafkiane… Nulla è realmente concesso alle pretese commerciali e ai “gusti” del pubblico: Rosi scaraventa in faccia un paese che non può certo presentarsi in una veste democratica, né può pretenderlo di esserlo… In fin dei conti molto più che una trasposizione dell’opera di Sciascia, “Cadaveri eccellenti” mette in mostra il Palazzo del Potere tratteggiato memorabilmente della penna caustica ed efficace del compianto poeta Pasolini il quale forse non a caso è stato assassinato in circostanze rimaste sostanzialmente oscure. Anche in una cinematografia come quella degli anni Sessanta e Settanta – così ricca di sarcasmo e di vis polemica – raramente è potuto capitare di assistere ad un tale campionario di “mostri” umani. La metafora del Palazzo è ben incarnata nella sconfortante parata di astuti ed infidi ministri, mediocri politicanti, improbabili amministratori locali, finanzieri, industriali e nobildonne ugualmente dediti al vizio e alla corruzione, tutori della legge e dell’ordine – magistrati, militari, poliziotti, ecc… – ugualmente autoritari e fascisti, spie spioni, barbefinte, confidenti, ambigui “estremisti” e “sovversivi”, intellettuali e giornalisti prezzolati e prestati al potere, ecc… Fuori dal Palazzo si staglia un paesaggio desolato e sconfortante, un’Italia sventrata, degradata e ferita dalle imperscrutabili logiche del malgoverno e da quella cementificazione senza freno e senza regole che ha arricchito la “razza padrona” di impresari edili come i vari Caltagirone, Ligresti e Berlusconi, solo per citare i più celebri… Ben lontane dalla pretesa di essere protagoniste della Storia, le masse sono passive e sostanzialmente imbelli… Fanno parte dello sfondo, di quel paesaggio lacerato e sono costrette a subire le conseguenze più deleterie dei giochi di potere delle varie consorterie finanziarie, industriali, politiche, militari e parastatali. I giovani contestatori, eredi della discussa stagione sessantottina, vengono presentati come la massa di manovra a cui attingere per montare campagne e oscure manovre.

Perfino lo sfortunato protagonista è condannato a subire gli eventi e a non riuscire sostanzialmente a comprenderli. La figura di Rogas viene prestata dall’armamentario dei generi letterari e cinematografici polizieschi e del giallo ma, a differenza dei suoi illustri “colleghi”, non scoprirà mai l’”assassino”. E’ un segugio chiamato a risolvere il classico enigma criminale per assicurare i trasgressori alla giustizia servendosi delle armi della ragione e della logica induttiva e deduttiva. Non si avvede o non si accorge – in una minima misura pure colpevolmente, che le armi “intellettuali” di cui dispone sono spuntate nel contesto in cui si vede costretto a muoversi.

Per queste ragioni l’ispettore Rogas è un eroe impotente, neanche tanto vagamente kafkiano, proiettato suo malgrado in un universo labirintico che non ha uscite. E’ necessariamente destinato a venire stritolato da una macchina brutale e inarrestabile. Si muove in una realtà che mai potrà veramente comprendere… Convinto di aver scoperto un complotto dalle venature golpiste, non si avvede che ciò a cui assiste altro non è che un ricatto dai connotati apparentemente eversivi del (dis)ordine costituito per lanciare messaggi a coloro che pretendono di entrare nella stanza dei bottoni come nuovi inquilini del Palazzo – riferimento trasparente al Compromesso Storico -. Insomma il classico “colpetto” per riequilibrare il sistema piuttosto che scardinarlo…. Sono sviluppi inevitabili nel contesto del paese del “golpe permanente”. Per impedire che il presunto progetto golpista Rogas contatta un suo amico giornalista per concordare un incontro con il maggiore partito dell’opposizione di sinistra. “E’ necessario che facciate qualcosa per impedire la controrivoluzione…” Sono, più o meno, le parole dell’ispettore il quale crede che si dovrebbe portare alla luce quanto sta succedendo e far conoscere la verità alla pubblica italiana. Non è mia intenzione svelarvi il finale della pellicola anche per stimolare il gentile lettore alla visione di questo raro e prezioso gioiellino del cinema impegnato. Vi basti sapere che siamo nell’ambito della più felice tradizione di un cinema manifestamente cupo e pessimista, gravido di inquietudini genuinamente contemporanee. Il Palazzo “edificato” da Rosi non contempla rivoluzione e controrivoluzione e neanche la sinistra e la destra come sono abitualmente intese. C’è il “dentro” e il “fuori” e l’ambiguità di chi si colloca in mezzo… La verità coincide con quel Contesto che rimane fuori dalla portata e dalle capacità di Rogas… D’altronde, come afferma uno dei numerosi personaggi del film “La verità non è sempre rivoluzionaria…”.

Analogamente a un’altra discussa e “scandalosa” pellicola tratta da Sciascia – “Todo modo” di Elio Petri (“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e “La classe operaia va in paradiso”), apologo sulla decadenza del potere democristiano con un Aldo Moro magistralmente interpretato da Volontè che, a conclusione del film, si “suicida” – “Cadaveri eccellenti” è stato a lungo condannato all’ostracismo e non ha potuto essere trasmesso sia sulla RAI che sulle emittenti private. La ragioni sono ormai chiaramente note… Pur senza abbandonare registro e toni drammatici, Rosi carica la sua opera di una sottile quanto potente vena sarcastica e corrosiva denunciando che, se sui cosiddetti “misteri d’Italia” non si è giunti a delineare e a definire una verità storica certificata, la responsabilità ricade anche sul Compromesso Storico fra DC e PCI. Argomenti piuttosto forti ma difficili da affermare nel paese in cui l’architetto del Compromesso Storico, quell’Aldo Moro che è anche “protagonista” di “Todo modo”, verrà sequestrato e ucciso dalle BR. Complicità, connivenze, oscuri interventi di “poteri forti” rendono la disgraziata sorte dello statista democristiano un autentico e perturbante “affaire”. Oggi noi sappiamo molto di più della P2, della mafia, delle ingerenze e delle interferenze internazionali e nazionali, della corruzione, dell’azione di lobbies, consorterie e gruppi di potere, dei ricatti “golpisti”, dei supposti tentativi eversivi, dello stragismo, delle fitte strumentalizzazioni delle innumerevoli bande armate “bianche”, “rosse” e “nere”. Sappiamo molto di più dei depistaggi, degli occultamenti e delle menzogne… Sappiamo molto di più dei silenzi…

Certo… il Compromesso Storico avrebbe dovuto far ripartire il paese su binari nuovi e rinnovarlo e, tuttavia, impedire che la pubblica opinione potesse venire finalmente a conoscenza delle responsabilità per tanti crimini, non equivale comunque a certificare la morte della democrazia? Se la verità viene sequestrata dagli inquilini del Palazzo – anche da quella parte più rispettabile e meno colpevole di un determinato stato di cose – non si impedisce contemporaneamente a far maturare nella cittadinanza una memoria e una coscienza collettive autentiche come precondizione necessaria per l’evoluzione e il rinnovamento del paese? In diversa misura le responsabilità per la “strategia della tensione” e per le sue conseguenze ricadono su tutti noi…

Non stupisce, quindi, se “Cadaveri eccellenti”, pur nel suo afflato civile, venne fatto oggetto delle più pesanti e ingenerose critiche e accusato di qualunquismo e nichilismo. Sputando la realtà – o qualcosa che le somiglia – in faccia alla sinistra più o meno istituzionale la costringe a guardarsi allo specchio. Anche in questo senso, lungi dal presentarsi come semplice apologo della “strategia della tensione”, l’opera di Rosi costituisce ancor oggi una biografia del paese, paradigma e pietra di paragone per l’interpretazione della storia della Repubblica italiana. Il giudizio finale è amaro e quasi rassegnato, sostanzialmente inappellabile…

Visionando e ripensando a “Cadaveri eccellenti” potremmo ravvisare non poche analogie con il nostro presente… Nei miei precedenti articoli avevo ventilato l’ipotesi che gli autori dei più recenti attentati – la “gambizzazione” di Adinolfi e l’attentato brindisino alla scuola dedicata al giudice Falcone e a sua moglie – volessero “rievocare” il passato terroristico più o meno recente. Dal terrorismo brigatista o pseudobrigatista di gruppi “marxisti leninisti” – ma anche di un gruppo anarcoide come Azione Rivoluzionaria, che non difettava della presenza di infiltrati e confidenti e a cui parzialmente si rifanno i militanti della cosiddetta area “anarcoinsurrezionalista” – degli anni Settanta a quello della mafia siciliana e Corleonese degli anni Ottanta e Novanta… Tali azioni si concentrano in un lasso di tempo piuttosto stretto e significativo, a cavallo fra i turni dell’ultima tornata di elezioni amministrative. A quanto pare gli inquirenti sembrano aver compiuto – almeno apparentemente – passi da gigante e sarebbero ad un passo dall’assicurare i nuovi terroristi e sovversivi alla giustizia. Sondando la fluida realtà dell’area alternativa “anarcoinsurrezionalista” internazionale e nazionale, si sarebbe riusciti nell’intento di smantellare la “cellula” italiana che dovrebbe avere rapporti con chi ha “gambizzato” il manager dell’Ansaldo Nucleare. Non possiamo che rallegrarci, ma con qualche “però”… Per quanto fluida e ribollente, magma aperto alle avventure eversive più disparate, il cosiddetto FAI – come Federazione Anarchico Insurrezionalista – non pare certo impermeabile alle attenzioni di DIGOS e squadre politiche… Non c’è nulla di nuovo: si tratta dei soliti gruppetti senza autentica struttura, votati alla solita retorica dell’azione e del gesto clamoroso ai danni del Sistema – che, beninteso, rimane saldo e ben piantato al suo posto – conditi con giustificazioni sempre più risibili e vaghe, infarcite di bla bla bla da retorica “antiautoritaria” e sostanzialmente autoreferenziale. Ci vuol poco a capire che in un simile universo “estremistico” può entrare proprio di tutto… Inoltre apprendiamo finalmente che non risponde assolutamente al vero che gli inquirenti ignorassero totalmente chi fossero questi benedetti militanti “anarcoinsurrezionalisti”. Le indagini sono state condotte con un notevole ausilio delle apparecchiature per intercettazioni ambientali. Vien da chiedersi come mai nel corso di questi dieci anni – in cui piuttosto nutrito è stato il numero di buste e pacchi bombe rivendicate da fantomatici gruppi e cellule “anarcoinsurrezionaliste” – non si è fatta luce su un solo episodio…

L’arresto del “mostro” di Brindisi – il bombarolo che ha colpito l’istituto Falcone – Morvillo uccidendo una studentessa a pochi giorni di distanza dal ventesimo anniversario dell’attentato di Capaci – dovrebbe restituire un sonno tranquillo a genitori e ai loro figli che ancora vanno a scuola. Non ripeteremo il nome dell’incriminato – già abbondantemente riportato da giornali e telegiornali in un sorta di quasi folle “diretta”, il consueto “minuto per minuto” del crimine stile Cogne o Avetrana con gioia del pubblico in cerca di sensazioni ed emozioni forti. L’uomo sarebbe un imprenditore e distributore di carburanti con moglie e figli, un sessantottenne con competenze esplosivistiche improvvisamente impazzito e arrabbiato con un mondo di ladri e truffatori del quale si ritiene vittima. Curiosamente questo profilo potrebbe alimentare una sorta di nuovo stereotipo: il piccolo imprenditore, il commerciante o professionista che conduce una doppia vita, in sospeso fra “normalità” ed inedito “estremismo”.

Prima di scatenare il plauso nei confronti degli inquirenti, occorrerebbe ricordare come, lungi dal dare prova di riservatezza e riserbo nel corso delle indagini, il delitto è stato quasi “venduto” ai media e al loro pubblico. Si può obiettare che, oggigiorno, è assai arduo trincerarsi dietro ai “no comment” di fronte all’assoluta invasività di media vecchi e nuovi… Nell’immediatezza due persone che dovevano essere interrogate hanno quasi rischiato il linciaggio e sono state quasi additate come i probabili “mostri”. D’altronde la grancassa mediatica – nel periodo in cui lo spazio è stato ovviamente occupato dalle notizia degli sciami sismici in Emilia – non è mai terminata… Non si può negare che gli inquirenti ci hanno messo del loro scatenandosi nella ridda di ipotesi che, ancor oggi, sono tutte da verificare. Ancor si sentiva echeggiare l’eco della deflagrazione che veniva avanzata l’ipotesi – rimasta sostanzialmente in piedi – del “folle isolato”. Successivamente è cominciato il consueto esercizio di piste e scenari… Per poi tornare al punto di partenza… Perché l’ormai famigerato sessantottenne rimane allo stato attuale un pazzo che agisce con motivazioni tanto inconsistenti e vaghe quanto imperscrutabili. Si è parlato di una vendetta, una ritorsione nei confronti della giustizia – ma perché allora colpire una scuola invece del tribunale? -, di una rabbia distruttiva nei confronti del mondo intero, di una sorta di “mirato” giustizialismo… Nei fatti siamo alla sconcertante assenza di un qualsiasi movente di “scuola”… Fatto tanto più sorprendente se si guarda alla lucidità e alla meticolosità della pianificazione, della programmazione e della cura realizzativi che assolutamente contrastano con la mancanza di un movente degno di questo nome. Anche nel caso di un “lucido folle” come il norvegese Breivik si poteva riscontrare l’odio profondo nei confronti per la socialdemocrazia e per la società aperta e multiculturale nel suo agire criminale. Ma molti sono ancora i punti oscuri di questa storia…

Ancora non si è capito come ha fatto un uomo di sessantotto anni – a quanto dicono alto 165 cm e claudicante – a trasportare tre bombole di gas del peso di 20 kg ciascuno. Inoltre, nonostante la cura con cui la strage è stata pianificata, ci è stato ripetutamente mostrato l’attentatore che passeggia tranquillamente davanti alle telecamere di videosorveglianza quasi come per voler farsi riprendere. Se si getta l’occhio con un minimo di attenzione, inoltre, l’uomo ripreso non corrisponde per descrizione fisica a un uomo di circa sessanta, settanta anni. Un testimone – ma la dichiarazione è tutta da verificare – avrebbe visto una persona la cui descrizione non corrisponderebbe al soggetto incriminato mentre spingeva il famoso cassonetto con le bombole. Sorprendentemente poi l’attentatore – che aveva rivelato lucidità e doti balistiche – non ha pensato di cautelarsi e mettersi a riparo dall’azione degli inquirenti nonostante si sia quasi fatto di tutto per metterlo in allarme con la pubblicazione di foto, la ridda di annunci, la messa in onda di filmati, ecc… Ciononostante questa efficiente macchina di morte è rimasta al suo posto, attendendo praticamente l’arrivo della polizia. Come, appunto, un folle… Peccato che gli elementi riscontrati fanno propendere per l’azione messa a punto e realizzata da più persone – nonostante le negazioni dell’incriminato – seminando dubbi perfino fra magistrati e investigatori che non sono stati proprio impeccabili nel condurre le indagini e nella gestione dei rapporti con l’informazione. Quanti “pazzi” possono essere: due ? Tre ? Quattro ? E per quali reali motivi volevano portare avanti una campagna terroristica, dato che sono state rinvenute altre bombole e altro esplosivo pronto alla bisogna ?

Quasi per riflesso la notizia del fermo a una persona che poteva aver agito criminosamente per vendicare un torto subito dalla Giustizia italiana ha richiamato alla mia mente proprio il farmacista che in “Cadaveri eccellenti” si trasforma in pericoloso e sanguinario “giustiziere”. In realtà i semplici fatti sembrano suggerire che il personaggio del film di Rosi è ben distante dalla logica omicida che ha mosso l’attentatore di Brindisi. Non può essere ancora totalmente escluso, tuttavia, che, come il farmacista, quest’ultimo sia stato trascinato in una storia fin troppo grande per lui e suo malgrado… Per sviluppare il suo personale discorso sui cosiddetti “misteri – e crimini – d’Italia”, Rosi ricorre ad un curioso quanto efficace espediente. Il farmacista – così come gli altri assassini e killer prezzolati che, magari travestiti da giovani capelloni, vengono incaricati di proseguirne l’opera – non vengono mai ritratti in volto. In una sequenza collocata a circa metà pellicola, l’ispettore Rogas entra nell’abitazione del farmacista – assassino e si trova di fronte ad uno spettacolo singolare e sconcertante: in tutte le fotografie il volto del sospetto è stato ritagliato con cura. Tale circostanza – come molte altre – non verrà mai spiegata… Più probabilmente Rosi e gli altri sceneggiatori hanno voluto insinuare nella mente dello spettatore che l’assassino o gli assassini non sono così importanti per sciogliere l’enigma. I killer sono egualmente insignificanti, anonimi ed intercambiabili. L’assassino in quanto tale non uccide mai veramente in queste storie… Si muove come un pupazzo e parla per bocca di misteriosi ventriloqui. Da questo punto di vista si tratti di mafiosi, killer prezzolati, professionisti della “guerra a bassa intensità, terroristi ed “estremisti” di ogni colore ideologico, comuni delinquenti e “folli isolati” possono diventare pedine di un gioco molto più grande di loro, di manovre che sicuramente non possono comprendere… Di sicuro esiste una miriade di modi per muovere le suddette pedine… Strumentalizzazioni, infiltrazioni, provocazioni, manipolazioni, l’incarico a professionisti dei lavori sporchi ben retribuiti e, perfino, lo spazio e l’agibilità lasciata a genuini elementi “sovversivi” che si illudono di colpire al cuore il Sistema. In un periodo burrascoso per le istituzioni e per l’economia, di oscuri negoziati fra “poteri forti” – evocati pure dal Presidente del Consiglio -, di instabilità, la riproposizione di pericoli per la “democrazia”, la società civile e la normale convivenza in variegate e mostruose forme può aiutare la “stabilizzazione”. Si tratti di rigurgiti mafiosi, di nuovi brigatisti o pseudobrigatisti, di “anarcoinsurrezionalisti” o di altri “estremismi”, di “milizie” radicali antitasse e antiEquitalia o di assassini e “stragisti” solitari il discorso potrebbe non cambiare di una virgola…

Specularmene ai killer a cui dà la caccia, un classico, intelligente ed efficiente investigatore come Rogas – abilissimo nell’individuazione di assassini, ladri e delinquenti “comuni” – è destinato a fallire nei suoi propositi proprio a causa del suo metodo. Chiuso nella sua logica, egli rimane prigioniero di quel dedalo senza uscita costruito per volere degli inquilini del Palazzo.
Avendo alle spalle circa tre decenni in più del povero Rogas – e non è poco – noi abbiamo la possibilità di utilizzare qualche strumento intellettuale ed analitico in più se solo volessimo…
Abbiamo maggiori possibilità di non perderci nei labirinti del Potere…

A partire dal Portella della Ginestra, la strada delle Repubblica è lastricata di misteri e gravissimi episodi criminosi – più o meno noti –quali stragi, attentati più o meno dimostrativi, azioni terroristiche di ogni tipo e matrice, intimidazioni di stampo mafioso, “ricatti”, “suicidi”, strani incidenti d’auto, misteriose patologie mortali, avvelenamenti, inquietanti messaggi trasversali, una lista piuttosto nutrita di “cadaveri eccellenti” – illustri politici di caratura nazionale o locale, magistrati, militari, carabinieri, poliziotti, funzionari dei servizi segreti, manager, imprenditori, funzionari dello Stato, intellettuali, giornalisti , artisti e scrittori come Pasolini e perfino personaggi del dorato mondo dello spettacolo – per tacere di altri episodi di criminalità mafiosa o comune e di altri atti di violenza assortita. Ora- spesso è accaduto questo – come è emerso anche a distanza di anni durante le indagini sulla strage di via D’Amelio e sulla morte del giudice Borsellino, erede naturale di Falcone. Anziché assicurare i colpevoli alla giustizia e impedir loro di nuocere, organismi dello Stato si sono mossi in direzione assolutamente opposta, proteggendo i presunti responsabili, occultando prove, subornando testimoni, estorcendo false confessioni, manipolando fonti giornalistiche, ecc…

A questo punto la fatidica domanda è quanto mai ineludibile: perché mai magistrati, carabinieri e poliziotti, in taluni casi, non arrestano e fanno condannare gli “stragisti”, i sicari mafiosi, i terroristi, gli assassini e i delinquenti ? Pur di crimini – e dei più gravi – si tratta… Perché mai dovrebbero seguire false piste o far confessare persone innocenti come più di una volta è accaduto ?
La logica non aiuta: la Giustizia non può volere e perseguire l’Ingiustizia… Eppure l’illogico si è verificato: tutelare gli assassini, depistare, occultare prove, perseguire consapevolmente e colpevolmente gli innocenti – quale che sia il movente che spinge a tale condotta – equivale giuridicamente e senza mezzi termini a complicità, contiguità, connivenza e favoreggiamento. Inevitabilmente la risposta alla e motivazioni di tali condotte da parte degli organi inquirenti ed inquisitori può essere ricercata solo rivolgendo nuovamente lo sguardo al Palazzo con tutta la sua torma di finanzieri, grandi industriali, manager di alto rango, diplomatici, ecc… che tiene le redini del destino della comune cittadinanza.

Occorrerebbe entrare nelle segrete stanze del Palazzo e calarsi apaticamente nei panni dei rappresentanti dei “poteri forti” per poter afferrare finalmente la Verità…

Questo dovremmo fare, per poter recuperare memoria e dignità e, perciò evolvere civilmente, ma pur sapendone più di Rogas, siamo ancora condannati ad osservare il Palazzo dalle finestre degli edifici antistanti…

Perché ?

E’ come osservare la propria immagine riflessa in un specchio infranto, al tempo stesso riconoscibile e non riconoscibile…

Nonostante tutto vogliamo ancora nutrire la nostra comoda, tranquilla e quotidiana coscienza falsamente democratica per continuare a dormire serenamente…

La Verità alberga nel Palazzo e si spande fuori attraverso fili invisibili…

E di ciò abbiamo realmente più paura…

FINE

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
20.06.2012

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