Un progetto di ricerca tutt’ora in corso a cura del Dipartimento americano per l’energia, condotto da uno scienziato della marina americana, riporta che l’Artico perderà lo strato di ghiaccio che in estate ricopre le acque marine ben prima del 2016- ossia 84 anni prima delle previsioni classiche.
Nella foto: La barca rompighiaccio Artic Sunrise di Greenpeace, tra blocchi di ghiaccio alla deriva nell’Artico, fotografata dall’alto. L’immagine proviene dal Fram Strait, proprio nel mese in cui si registra la seconda minor estensione di superficie marina coperta dai ghiacci di sempre. Foto di Nick Cobbing
Il progetto, sostenuto dal dipartimento di Oceanografia della scuola di specializzazione post-universitaria della marina americana, utilizza dei modelli all’avanguardia, che rivelano proiezioni più accurate rispetto alle altre.
Un saggio a cura del principale ricercatore, il professor Wieslaw Maslowski, sulla rivista “Annual Review of Earth and Planetary Sciences” mette in luce alcune scoperte del progetto di ricerca:
“Data la tendenza e il volume previsti tra ottobre e novembre del 2007, meno di 9000 km3, si può stimare che mantenendo questo tasso di riduzione, in soli 9 anni, ± 3 anni fino al 2016, in estate non ci sarà più ghiaccio a ricoprire il mare Artico. Malgrado la stima sia ancora poco precisa, ci fa capire quanto si siano ridotti i tempi per lo scioglimento dei ghiacci”.
L’articolo critica fortemente i modelli climatici globali (GCM) e anche la maggior parte dei modelli regionali e nota a proposito che “molti processi che avvengono nell’Artico, sono poco o per nulla rappresentati nella maggioranza di modelli GCM” e che “non vengono utilizzati come opinioni rilevanti all’interno dei vari componenti del sistema”. C’è dunque “grande richiesta di una migliore comprensione e di un modello rappresentativo dei processi fisici e delle interazioni specifiche delle regioni polari; questi rapporti specifici sono quelli che attualmente potrebbero non venir presi in parte o del tutto in considerazione dai GCM”.
Riportando quanto asserito dal Dipartimento per l’energia americano, nel descrivere lo sviluppo del Modello del Sistema Regionale Artico (RASM):
“Affermato che l’Artico si sta riscaldando più velocemente del resto del pianeta si è compreso che i processi e le ricadute di un tale aumento sono una priorità non secondaria. Inoltre, si calcola che nei prossimi decenni i ghiacciai dell’Artico e del Greenland Ice Sheet cambieranno significativamente e contribuiranno all’innalzamento globale delle acque”.
Tali cambiamenti dell’Artico “potranno avere ricadute significative sull’innalzamento del livello marino globale, sulle grandi correnti oceaniche e sul livello di riscaldamento, sulle comunità autoctone, sull’esplorazione delle risorse naturali e sui trasporti commerciali”.
L’ottica regionale del RASM permette “una significativa soluzione a livello spaziale” per rappresentare e valutare l’interazione di “importanti processi e riscontri su un modello in scala dell’Artico”, che dia un’idea di:
“… deformazione del ghiaccio marino, correnti marine e relativi ghiacci misti ai margini dell’oceano, nuvole multistrato come anche le interazioni tra i ghiacci dell’oceano e l’atmosfera sulle terre emerse”.
Non stupisce il ruolo del Dipartimento per l’energia nel sostenere la ricerca, alla luce della strategia nazionale per l’Artico, lanciata a maggio dal Presidente Obama, focalizzata sulla protezione degli interessi commerciali e delle corporation e finalizzato al controllo dei grandi giacimenti ancora non sfruttati di petrolio, di gas e di altri minerali.
Il modello si riallaccia alle previsioni di numerosi studiosi dell’Artico- ad esempio il professor Peter Wadhams, capo del dipartimento di fisica polare oceanica presso la Cambridge University e il professor Carlos Duarte, direttore dell’Ocean Institute all’Università della Western Australia- che vedono probabile la scomparsa del ghiaccio nel Mare Artico nell’estate del 2015.
Il professor Wadhams è co-autore del controverso articolo su Nature che calcolava il potenziale costo economico di un cambiamento climatico basato su uno scenario di 50 Gigatonnellate (Gt) di metano che venissero rilasciate in questo secolo nello scioglimento del permagelo del Bassopiano della Siberia Orientale (ESAS), una vasta regione coperta dalle acque basse. Questo scenario fu ipotizzato per la prima volta da Natalia Shakhova e da Igor Semiletov, del Centro Internazionale di Ricerca Artica (IARC) dell’Università dell’Alaska a Fairbanks.
Nel 2010 il gruppo di Shakhova rese noti i risultati, che rivelavano come annualmente traboccavano 7 teragrammi di metano dalla superficie nell’ ESAS. Il mese scorso ha pubblicato un altro articolo su Nature Geoscience per aggiornare i dati scoperti sulla base di misurazioni più rigorose, fatte utilizzando un mezzo sottomarino senza pilota, con un sistema sonar avanzato. Scoprì che la temperatura dell’acqua più in profondità è aumentata negli ultimi 14 anni, correlata ad una perdita di 17 teragrammi (17 milioni di tonnellate, nota CdC) di metano all’anno, accentuati dalle tempeste. Questa stima prudenziale è oltre il doppio della precedente valutazione.
Dunque, la sorgente di queste emissioni di metano rimane sconosciuta. Altri scienziati che hanno studiato a fondo il fenomeno ritengono che da una parte potrebbe essere una perdita di un grande deposito di idrato di metano, mentre dall’altra potrebbe essere una lenta fuoriuscita di metano che dura da centinaia di anni. Christian Berndt, del centro per la ricerca oceanica GEOMAR/ Helmholz, ha supposto una commistione tra le due possibilità, ma ammette che “non ci sono prove”.
A discapito dei loro ultimi studi che hanno rivelato dei livelli di metano più alti che in precedenza, la Shakhova si è discostata dall’ipotesi ventilata di una possibile “bomba di metano”, determinando una scarsa rilevanza con lo scenario reale.
Commentando lo studio, il centro nazionale americano per la neve e il ghiaccio (NSIDC) osserva:
“Le osservazioni fatte dalle navi rivelano che le concentrazioni di metano nell’aria soprastante il mare dell’ESAS sono quasi il doppio della media mondiale… strati di sedimenti sottostanti i permagelo emettono lentamente gas metano e questo si è conservato per millenni sotto i permagelo. Mentre saliva il livello dell’acqua, alla fine dell’era glaciale, la pianura fu ancora una volta ricoperta da acqua oceanica relativamente calda, che scongelò i permagelo ed intrappolò il metano… in poche parole… il metano ha un potenziale nel surriscaldamento globale pari a 86 volte quello del biossido di carbonio”.
Molti scienziati concordano nel ritenere che ci sia bisogno di ulteriori ricerche per capire la sorgente di queste emissioni di metano.
Gli scienziati ritengono anche che un Artico senza ghiacci in estete porterebbe a serie conseguenze per il clima globale. Alcune ricerche hanno portato ad unire il riscaldamento dell’Artico ai cambiamenti delle correnti a getto, che hanno portato negli ultimi anni a mutamenti ambientali senza precedenti. Questi eventi estremi hanno colpito in maniera forte il paniere produttivo delle nazioni.
Un nuovo esperimento molto importante, pubblicato su Nature Climate Ch’ange, ha messo in luce come lo scioglimento del ghiaccio marino negli ultimi 30 anni ad un ritmo dell’8% ogni dieci anni, è direttamente correlato con le estati estremamente calde riscontrate non solo negli USA e che si sono presentate sotto forma di siccità e ondate di calore. Il capo dello studio presso l’Istituto di ricerca di scienze geografiche e di risorse naturali di Pechino, Quihang Tang, ha affermato:
“Come le alte latitudini si riscaldano più velocemente delle medie latitudini, per via dell’effetto amplificato dello scioglimento dei ghiacci, così il vento delle correnti a getto che partono da Ovest verso Est si è attenuato. Di conseguenza, il cambio di circolazione atmosferica tende a favorire sistemi climatici persistenti e stagioni estive estreme”.
Gli approfondimenti al nuovo studio pubblicato sul Geophysical Research Letters hanno dimostrato un collegamento tra la diminuzione dei ghiacci nel mare Artico e le stagioni estreme, in particolare l’estate e l’inverno, che includono prolungati periodi di “siccità, inondazioni, ondate di freddo e di caldo”.
L’anno passato, il professor Duarte era capo autore dell’articolo nel giornale del Royal Academy of Science AMBIO, che metteva in guardia dal rischio di passare un “punto critico” che potrebbe portare ad un “effetto domino una volta che sarà finito il ghiaccio estivo”. Il professore Duarte ha inoltre affermato:
“Se il movimento prende avvio, può generare profondi cambiamenti climatici, che mettono l’Artico al centro e non alla periferia del sistema- Terra. E’ evidente che queste forze stanno per mettersi in moto. Ciò ha maggiori conseguenze sul futuro del genere umano, man mano che avanzano i cambiamenti climatici”.
Il Dr Nafeez Ahmed è direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Development e autore della “Guida all’utente per la crisi della civiltà” e “Come salvarlo”, tra gli altri libri.
Fonte: theguardian.com
09.12.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org e adattamento a cura di Daniele Frau