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DI PATRICK FOY
Taki’s Top Drawer

La distruzione, lo spargimento di sangue e l’anarchia in Iraq possono essere dovute solamente a grossolana incompetenza?

Forse avete notato che George Tenet preferisce parlare di ciò che è seguito alla operazione “Iraqi Freedom”, sarebbe a dire alla occupazione Usa e alla ribellione irachena. Egli ammette che la C.I.A. ha compiuto degli errori–come certificare l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq quando, difatti, quelle armi e quelle scorte erano state distrutte anni prima sotto la supervisione dell’Onu. Un attimo dopo Tenet afferma con orgoglio che la C.I.A. iniziò molto presto ad avvertire l’amministrazione sulla ribellione. Egli si dispiace fortemente che la Casa Bianca, il consiglio di sicurezza nazionale e il Pentagono non fossero interessati e abbiano ignorato gli avvertimenti.

Ciò che accaddeva, mi sembra, prima dell’invasione era che Tenet recitava la parte del politico e del decisionista permettendo uno stupido progetto con finte giustificazioni. Egli partecipava ad una truffa. Tutti ne facevano parte. Perché un direttore della C.I.A. dovrebbe presenziare alle riunioni di brainstorming nell’ufficio ovale, cercando di trovare le motivazioni per una guerra preventiva e affermare che sarebbe stata un “rigore a porta vuota”? In qualunque contesto un tale commento sarebbe fuori luogo per un direttore della C.I.A. Dopodiché, a quanto dice lui, egli riprese il tradizionale ruolo da direttore della C.I.A. di imparziale raccoglitore di intelligence, e si convertì ai fatti. Un bel cambiamento. Si aspettava forse che i suoi ex co-cospiratori dopo l’invasione avrebbero rispettato la realtà e la verità, quando in precedenza si erano dati alla completa menzogna? A gestire lo spettacolo sulla scena vi erano gli stessi personaggi.

Una simile dicotomia riguarda l’establishment democratico al Congresso, prima e dopo l’invasione. Questo è importante. È una importante ragione che spiega perché non ci sarà impeachment di Bush e Cheney. Come mostra bene John Kerry nella sua campagna presidenziale del 2004 contro G.W. Bush, i democratici di Washington, con poche eccezioni, si sono accontentati e sentiti a loro agio nel criticare l’esecuzione della politica, cioè, la “condotta” della guerra durante l’occupazione. I democratici perciò sottintendono che in qualche modo avrebbero compiuto un lavoro migliore. Sino a un tempo relativamente recente in questa lunga guerra, c’è stata solo una moderata critica innanzitutto della terribile idea di entrare in guerra, e nessuno sforzo di esaminare i veri motivi dietro la decisione di invadere. I democratici non affrontano ciò, tranne che per dire che sono stati ingannati. Perché no?

Come è ben noto ma spesso convenientemente dimenticato, la leadership democratica in entrambe le camere del Congresso Usa prese la calcolata decisione politica di autorizzare la Casa Bianca di Cheney/Bush a invadere l’ Iraq. Il voto per la guerra avvenne a Capitol Hill l’11 ottobre 2002. Il leader della maggioranza al senato, Tom Daschle il leader della minoranza alla camera, Richard Gephardt, guidarono la carica. I senatori Hillary Clinton, Diane Feinstein, Joe Biden, John Edwards, John Kerry, e Joe Lieberman, tra altre ambiziose mediocrità, pezzi grossi e chiacchieroni democratici, votarono per autorizzare questa disastrosa guerra.

Tra i due partiti vi fu un solo senatore di sani principi che si oppose alla furia e combatté. Quell’uomo era il senatore Robert Byrd, democratico dello West Virginia. Egli tentò di fare ostruzionismo contro la risoluzione di guerra, ma fu sconfitto con 75 voti contro 25. Byrd fu guardato come un eccentrico, un vecchio folle. Egli si rifiutò fermamente di soccombere all’isteria. Egli sapeva di cosa stava parlando, e riconobbe il pacco di bugie dell’amministrazione per ciò che era nel momento in cui venne pronunciato. Byrd dovrebbe ora essere visto come un eroe. Aveva pienamente ragione ma allora le sue idee vennero ridicolizzate.

Presumibilmente, tutti questi brillanti democratici che al senato hanno votato per invadere l’Iraq erano allarmati dalla campagna di propaganda giornalistica a tutto campo dell’amministrazione sulle presunte “armi di distruzione di massa” irachene. Questo è molto improbabile.

Presupporrebbe un livello di ignoranza e di credulità che non è concepibile. È più probabile che i democratici e i repubblicani da encefalogramma piatto abbiano votato per invadere e conquistare l’ Iraq non perché considerassero Saddam una minaccia per gli Stati Uniti, ma piuttosto perché, soprattutto e in primo luogo, sentivano che (a) Washington se la sarebbe cavata e (b) perché il guadagno politico per la guerra nelle elezioni di medio termine per il Congresso del 2002 era considerato significativo.

Se aveste votato contro l’amministrazione vi sareste potuti macchiare con l’accusa di essere teneri col terrorismo e per quel che riguarda la sicurezza nazionale. Cosa più importante avreste scontentato la cricca politica sovradimensionata della lobby filo israeliana che stava spingendo al massimo per la guerra contro l’Iraq come aveva fatto per anni. Inoltre, in ogni caso, dopo un decennio di devastanti sanzioni economiche, l’Iraq sarebbe stato una passeggiata. Perciò era una posizione poco rischiosa. Per i politici professionisti che fanno i loro calcoli in funzione della carriera, i lati negativi del lanciare una guerra apparivano piccoli e facilmente gestibili. L’aspetto positivo invece era enorme.

Bene, di per sé, l’invasione, la caduta di Bagdad e il rovesciamento di Saddam sono state una passeggiata da un punto di vista militare. Di fatto gli Usa hanno vinto la guerra. La vittoria era una conclusione scontata. Ma Washington non la sta passando liscia. La fregatura è stata il dopo, l’occupazione e la pacificazione del paese. Questo è il problema con cui l’America si confronta oggi, una guerra di guerriglia urbana, alimentata dal fanatismo religioso e dal nazionalismo arabo. In cima a tutto ciò vi è una guerra settaria tra gli abitanti del paese occupato.

Il giornale medico britannico The Lancet ha stimato nel settembre 2006 che l’ Iraq ha subito più di 600.000 vittime dall’inizio del conflitto, e l’Onu ha riferito che 1, 5 milioni di iracheni sono profughi all’interno del paese. Questi sono alcuni dei frutti dell’operazione “Iraqi Freedom”. Per l’iracheno medio è stata un disastro. I democratici di Capitol Hill e chiunque altro sono ora impegnati sul come affrontare questa catastrofe. I democratici non possono parlare del loro iniziale e intellettualmente disonesto “anche io” nell’appoggio per l’invasione dell’Iraq nel 2002 senza far cadere l’attenzione sulla loro grossolana ipocrisia e negligenza. Invece, come George Tenet, si soffermano sul dopo l’invasione e sulla difficile situazione attuale.

Bene. Concentriamoci sul dopo dell’operazione “Iraqi Freedom”, l’occupazione, che qualunque
osservatore sano e obiettivo è d’accordo nel definire un naufragio. Chi era incaricato di gestire quella fase? Viene fuori che il nonno dell’establishment e della politica estera americana, l’ex segretario di Stato di Richard Nixon, un prodotto d’importazione della Mitteleuropa, il dottor Henry Kissinger è stato un architetto primario dell’occupazione. Questo è qualcosa di straordinario che è stato tenuto nel cassetto.

Se non altro l’ultimo mattone di Bob Woodward sull’ Iraq, State of Denial, ha compiuto il valido servizio pubblico di far saltare fuori dall’ombra il furtivo Kissinger. Woodward riferisce che il vicepresidente Dick Cheney confidò a lui (Woodward) nell’estate del 2005: “probabilmente parlo con Henry Kissinger più di quanto parli con chiunque altro. Lui semplicemente passa di qui e, credo almeno una volta al mese, Scooter [Libby] e io ci sediamo insieme a lui.” [Pagina 406.] Woodward continua affermando: “anche il presidente incontrava privatamente Kissinger ogni due mesi, rendendo l’ex segretario di Stato il più regolare e frequente consigliere esterno di Bush sugli affari esteri”.

Perché questo fatto è stato tenuto segreto? Ci si chiede. Perché Cheney ha telefonato a Woodward e lo ha attaccato per aver rivelato ciò nel libro, e poi gli ha sbattuto il telefono in faccia? Che cosa avviene dietro le quinte? Statene certi, qualcosa di marcio.

Per favore, notate che è stato l’amico e protetto di Kissinger, l’ambasciatore L. Paul “Jerry” Bremer III, il direttore esecutivo della Kissinger Associates, Inc. per più di un decennio, l’uomo che Cheney/Rumsfeld/Bush hanno incaricato di gestire l’occupazione dell’Iraq quando Cheney/Rumsfeld/Bush hanno inspiegabilmente messo alla porta l’onesto e leale generale Jay Garner dopo appena poche settimane di lavoro. Un articolo del londinese Sunday Telegraph datato 15 ottobre 2006 [“There was a plan for Iraq, but it was torn up”, “C’era un piano per l’Iraq ma è stato stracciato” n.d.t] fornisce parecchie informazioni. Esso riassume il nesso tra Kissinger e la zona verde di Bagdad, come rivelato da Woodward…

Quando, durante il periodo di avvicinamento all’invasione dell’Iraq del 2003, fu chiesto al generale in pensione dell’esercito Usa Jay Garner di prendere in mano la missione umanitaria postbellica, egli certamente possedeva le credenziali per compiere il lavoro. Nel 1991 aveva guidato l’operazione “Provide Comfort” soccorrendo migliaia di curdi nell’ Iraq settentrionale dopo la prima guerra del Golfo. Chi meglio di lui poteva essere incaricato dall’allora segretario alla difesa Donald Rumsfeld per svolgere una seconda volta questo lavoro?

Garner mise a punto piani dettagliati e, al primo incontro col presidente Bush, delineò tre “imperativi” essenziali che avrebbero, a quanto asseriva, assicurato una facile transizione dopo la guerra. Il primo “imperativo”, disse, era che l’esercito iracheno non doveva essere sciolto. Il secondo “imperativo” era che l’apparato di 50.000 uomini del partito Ba’ath che gestiva i servizi governativi non dovesse essere distrutto o i suoi membri proscritti. Se fosse accaduta una di queste cose, avvertì, ci sarebbe stato il caos mischiato a migliaia di iracheni disoccupati e armati in giro. Il terzo imperativo, insistette, era il tenersi accanto un gruppo ad interim della leadership irachena, desideroso di aiutare gli Stati Uniti ad amministrare il paese a breve termine.

Inizialmente nessuno fu in disaccordo, secondo quanto affermato in State of Denial, il nuovo libro del giornalista veterano di Washington, Bob Woodward. Ma a poche settimane dall’invasione il ruolo di Garner come comandante dell’ufficio di pianificazione del dopoguerra terminò: egli fu sostituito da Paul Bremer, un esperto di terrorismo e protetto di Henry Kissinger. Bremer immediatamente contravvenne a tutti e tre gli “imperativi” di Garner.[grassetto aggiunto da me]. Quando, alla fine, Garner affrontò Rumsfeld dicendogli: “c’è ancora tempo per correggere ciò”, Rumsfeld si rifiutò di farlo.

E chi assisteva Kissinger nel programmare il nuovo proconsole Usa a Bagdad? Chi era il principale contatto al Pentagono di Paul Bremer che, con la benedizione di Don Rumsfeld, supervisionava da Washington l’occupazione? Nient’altro che il premiato fanatico ipersionista, Douglas “clean break” Feith [“A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm” è il titolo di un documento filo-sionista del 1996 che ha tra i vari autori, oltre a Douglas Feith, Richard Perle e Benjamin Netanyahu n.d.t.] l’uomo che nel 1996 consigliò all’icona del Likud, il primo ministro Benjamin Netanyahu (altrimenti noto come Bibi Nut & Yahoo) di attaccare Iraq, Siria e Libano e stracciare il “processo di pace” di Oslo. Persino Bibi considerò quel consiglio un po’ eccessivo.

Secondo il libro iniziale di Woodward sull’amministrazione Bush e la guerra in Iraq, Plan of Attack, il Cav. Douglas J. Feith fu descritto dal generale Tommy Franks come “il tipo più fott*****te stupido sulla faccia della terra”. Forse il generale Usa Franks, l’uomo che diresse da terra l’invasione dell’Iraq, non aveva compreso da dove venisse Feith e quali fossero le sue priorità. Per Franks, Feith sembrava solamente stupido, perché Franks non lo aveva compreso.

Feith era un protetto del pezzo grosso neocon in campo geopolitico, Richard Perle. Feith è membro del consiglio dello (U.S.) Jewish Institute for National Security Affairs [istituto ebraico Usa per le questioni di sicurezza nazionale n.d.t.]. Feith è un membro di punta dello Institute for Advanced Strategic and Political Studies, che ha il suo quartier generale a Gerusalemme. Lo studio legale che ha fondato nel 1986, Feith & Zell, è basato in Israele, e frequentato dai “coloni” ebrei-americani della Cisgiordania. Il colonnello Larry Wilkerson, che era attendente del segretario di Stato Colin Powell, ha affermato che egli considerava Feith un membro con tanto di tessera del partito Likud. In che modo questi importanti punti del background di Feith lo qualificano per la supervisione dell’esercito Usa? Nel suo ruolo di “sottosegretario per la politica” al Pentagono, Doug Feith era il numero 3 tra i civili incaricati della gestione dell’intero establishment della difesa Usa, dietro il professor Paul Wolfowitz e Don Rumsfeld. Era un incarico appropriato? Di chi è stata l’idea di metterlo lì, creando un tale ovvio ed enorme conflitto di interessi? Le menti curiose lo vorrebbero sapere.

Se per la sua concezione l’operazione “Iraqi Freedom” può accuratamente essere considerata la guerra di Wolfowitz, allora il dopo guerra dovrebbe essere visto come l’occupazione di Kissinger-Feith. È ciò che è seguito alla conquista, evidenziato dai disastrosi ukase [editti della Russia zarista n.d.t.] emessi dall’amico e rappresentante di Kissinger a Bagdad, Paul “Jerry” Bremer, che ha di fatto distrutto l’ Iraq come Stato-nazione, portato ad una guerra civile fratricida e creato delle sabbie mobili per le forze armate degli Stati Uniti ed una seria perdita per il Tesoro Usa. I democratici amano denunciare questa fase del conflitto, l’occupazione, ma senza fare nomi, a parte quelli di Bush e Cheney. La mano invisibile di Kissinger in questa impresa è rimasta completamente sconosciuta fino a che Woodward non ha spazzato via la copertura di Kissinger. Ma quasi tutti a Capitol Hill, chiunque se ne intendesse di ciò che accadeva Washington, e ogni membro della comunità della politica estera americana sapeva che Wolfowitz e Feith erano gli uomini di punta incaricati della questione irachena.

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[Feith (sinistra) e Wolfowiz (destra)]

Tutta questa distruzione, spargimento di sangue e anarchia in Iraq possono essere dovute a grossolana incompetenza? Doug Feith è davvero “il tipo più fott*****te stupido sulla faccia della terra”? O è qualcos’altro? Henry Kissinger è quel genio della realpolitik che la stampa dell’establishment presume essere, o è qualcosa di più? Perché Paul Wolfowitz è stato improvvisamente trasferito dal Pentagono al santuario della Banca mondiale, quando è diventato chiaro che l’Iraq era una debacle? Wolfowitz non è un banchiere o un economista. Come Kissinger, Wolfowitz è un professore di storia specializzato in relazioni internazionali.

Mentre ci poniamo queste sconcertanti domande, ce ne sono anche delle altre. È possibile che l’intera fraudolenta impresa irachena—dallo “shock and awe” [colpisci e terrorizza n.d.t.] al “diamocela a gambe”–non sia accidentalmente causata da ignoranza, presunzione ed errori? Potrebbe essere che il tragico risultato finale per l’ Iraq e il suo popolo non sia considerato un disastro in certi circoli geopolitici? È venuto forse in mente a qualcuno che la distruzione di un Iraq ricco di petrolio in quanto concepibile entità nel Medioriente possa essere stata nei programmi dell’agenda privata di qualcuno, un’agenda forse sconosciuta perfino ai signori Cheney, Rumsfeld e al sempre disinformato G.W. Bush?

Non dimenticate che la riduzione in miseria dell’Iraq da parte di Washington non è iniziata con la guerra di Wolfowitz nel 2003, ma con il massacro della operazione Desert Storm nel 1991. Esso è continuato in modo drammatico ma silenzioso con la intrusiva insana politica dell’embargo e delle sanzioni portati avanti durante il regno del “liberale” e democratico Bill Clinton e del suo ignobile team della politica estera mediorientale composto da Samuel “Sandy” Berger, Madeleine ” ne è valsa la pena” Albright [“ne è valsa la pena” è quanto, impunemente, rispose pubblicamente la Albright quando le venne chiesto se il genocidio di mezzo milione di bambini iracheni, causato dalle sanzioni, avesse avuto una qualche utilità n.d.t.], Dennis Ross e quel Martin Indyk di provenienza australiana. Questo terrificante capitolo della politica mediorientale Usa è stato descritto nel 1998 in un libro di uno scrittore inglese, Geoff Simons, intitolato The Scourging of Iraq [la devastazione dell’Iraq n.d.t.]. Alcune righe dalla prefazione alla seconda edizione vi darà un’idea di ciò che le persone che davano ordini dentro la Casa Bianca stessero facendo all’Iraq in nome dell’America…


L’assedio economico dell’ Iraq pianificato dagli Usa dura ormai e da ben più di sette anni, nel momento in cui scrivo, con, secondo tutte le stime, milioni di perdite–forse 2 milioni di morti per fame e malattia, più della metà dei quali bambini, in molti più milioni di denutriti, traumatizzati, malati, morenti…

Gli Stati Uniti sono il consapevole architetto di questo genocidio che dura da anni. Consapevolmente, con crudele e cinica decisione, i funzionari Usa lavorano duramente per allontanare qualunque sollievo da un popolo ammalato e che muore di fame. E questo fatto mostruoso non viene nemmeno messo in discussione a Washington. Madeleine Albright, ora segretario di Stato, era pronta ad affermare in pubblico che l’uccisione di 500.000 bambini iracheni era giustificata.

Tutto ciò perché Saddam Hussein aveva deposto l’emiro del Kuwait, lo Stato fantoccio progettato dai britannici che tutti i leader dell’ Iraq sin dagli anni 30 avevano considerato una provincia irachena? Tutto ciò perché Saddam era un cattivo? Saddam era cattivo quando si impegnò nella guerra contro l’Iran di quasi 10 anni, una guerra in cui Washington lo rifornì in tutti modi di armamenti e materiale tramite l’inviato speciale Donald Rumsfeld, mentre allo stesso tempo Tel Aviv dava a Tehran rifornimenti simili provenienti dai suoi magazzini americani? Saddam era un cattivo anche allora? O era in qualche modo più cattivo quando invase il Kuwait? Cosa c’entra il Kuwait? Tutto il chiasso sul Kuwait fu solo una copertura e un dono dal cielo per quelli che, a Tel Aviv e a Washington, stavano cercando una scusa per distruggere l’ Iraq dopo che la sua guerra con l’Iran aveva fatto il suo corso? Sembra proprio così.

A riguardo degli anni di Clinton, della devastazione dell’ Iraq, si farebbe bene a fermarsi un attimo e porsi tre domande basilari da questo punto di vista. (1) Che cosa al mondo potrebbe avere motivato o giustificato il governo Usa per intraprendere delle azioni così drastiche che sono risultate nella morte di così tanti civili innocenti? (2) Perché non c’è stato scandalo e non c’è stata praticamente alcuna protesta in America contro questa politica nel momento in cui veniva compiuta? (3) Il popolo americano è stato deliberatamente tenuto all’oscuro di ciò che stava accadendo? Queste tre stesse domande dovrebbero essere poste ora, sulle attuali politiche, che hanno avuto come risultato la crocefissione dell’ Iraq perpetrata sotto la leadership nominale di G.W. Bush, ma sotto la reale direzione di Richard Cheney e della sua cabala di “neocon”.

Qualunque sia la verità, una cosa è certa. Nessuno è stato messo in qualche modo di fronte alle sue responsabilità per tutta questa vicenda. Nessuno. Né Clinton, chi lo manipolava e gli rendeva possibile tutto ciò. Né Wolfowitz e Feith, che hanno lasciato il Pentagono e se ne sono lavati le mani di tutto questo affare. Né Dick Cheney e George Bush, che sono in balia della bufera senza un posto dove nascondersi. Né i democratici che hanno votato per la guerra di Wolfowitz, e che poi l’hanno sfruttata per riottenere il controllo di Capitol Hill nel 2006 e sperano di cavalcarne l’onda per riottenere la Casa Bianca nel 2008.

Né lo scaltro professor Kissinger, che ha lavorato in segreto con Cheney e Bush per escogitare quest’ultimo trucco della sua scandalosa e coerente politica– una politica che attraversa tre presidenze ed entrambi i partiti politici. Notate che Kissinger può correttamente far notare che egli stava solamente offrendo consigli da bordo campo e che non ha responsabilità ufficiale per alcunché. Ultimo ma non ultimo non è stata posta di fronte alle proprie responsabilità in nessun modo la lobby israeliana di Washington e i suoi adulatori, leader e compagni di viaggio, le cui impronte digitali sono dappertutto sulla scena del crimine.

Non trattenete il fiato aspettando un’indagine in grande ritardo da parte del Congresso su come e perché l’America è stata guidata all’invasione dell’ Iraq e chi è il responsabile per la distruzione di tale paese nel periodo dopo l’invasione, perché non vi sarà alcuna indagine. Non ora né mai, indipendentemente da chi avrà la maggioranza al Congresso.

Tutti sono colpevoli sin dal 1990. Alcuni individui e gruppi sono solo molto più colpevoli di altri. La missione è compiuta però. Ma quale era la missione, cosa è stato compiuto, e a quale costo? È chiaro che lo zio Sam è stato usato per molto tempo. Gli iracheni, i soldati americani sul terreno i contribuenti americani ne stanno pagando abbondantemente il prezzo. E non se ne intravede la fine.

Patrick Foy è autore di The Unauthorized World Situation Report.

Fonte: http://www.takimag.com/
Link: http://www.takimag.com/site/article/the_kissinger_connection/
12.05.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALCENERO

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