Gli Usa hanno stanziato per i soccorsi alle vittime dello tsunami quanto spendono in un giorno e mezzo in Iraq
Il mondo ricco è troppo impegnato nelle avventure belliche. Così la solidarietà arriva soprattutto dai semplici cittadini. Persino un homeless è «più generoso» di Bush
GEORGE MONBIOT
Nei negozi, la scorsa settimana, la gente faceva la fila alla porta per offrire denaro per lo tsunami. Sabato sera, un pub all’altro capo della città ha raccolto mille sterline. Sul bancone di un giornalaio, in un recipiente, dovevano esserci quasi cento sterline. La donna che gestisce un forno mi ha raccontato di avere visto in banca un homeless che si è svuotato le tasche dicendo «voglio fare la mia parte», mentre tutte le persone in fila cercavano di non piangere. Nel corso degli ultimi mesi, osservando la completa mancanza di interesse pubblico per ciò che sta accadendo nella Repubblica democratica del Congo e la mancata mobilitazione, in occidente, contro le atrocità che stanno avvenendo in Iraq, mi ero chiesto se non abbiamo perso la nostra capacità di metterci nei panni degli altri. Ora ho smesso di chiedermelo. La reazione allo tsunami mostra che, per quanto possiamo cercare di sopprimerla, non possiamo distruggere la nostra capacità di empatia. Ma un’ovvia domanda si ripropone. Perché l’alleviare le sofferenze, in questo mondo che gode di una prosperità senza precedenti, deve essere affidato al capriccio dei cittadini e agli appelli di pop star e attori? Perché, quando l’estrema povertà potrebbe essere trasformata in un ricordo con un minimo di redistribuzione, il mondo povero deve ancora aspettare che gli homeless del mondo ricco si svuotino le tasche?La risposta ovvia è che i governi hanno altre priorità. E quella che balza alla mente è la guerra. Se il denaro che essi hanno promesso alle vittime dello tsunami è ancora molto meno di quanto ne servirebbe, questo dipende anche dal fatto che i fondi per gli imprevisti a cui essi attingono in caso di emergenza sono stati spesi per fare a pezzi la gente in Iraq.
Finora il governo Usa ha promesso 350 milioni di dollari alle vittime dello tsunami, e il governo britannico 50 milioni di sterline (96 milioni di dollari). Gli Usa hanno speso 148 miliardi di dollari per la guerra in Iraq, e il Regno Unito 6 miliardi di sterline (11,5 miliardi di dollari). La guerra si protrae da 656 giorni. Questo significa che i soldi promessi dagli Stati Uniti per il disastro dello tsunami è l’equivalente di quanto essi spendono in un giorno e mezzo in Iraq. Il denaro che il Regno Unito ha donato equivale a cinque giorni e mezzo del nostro coinvolgimento nella guerra. La situazione appare ancora peggiore se confrontiamo il costo della guerra con l’ammontare totale degli aiuti stranieri. Il Regno Unito ha speso quasi il doppio, per creare sofferenze in Iraq, di quanto spende annualmente per lenire le sofferenze da qualche altra parte. Gli Usa donano in aiuti stranieri poco più di 16 miliardi di dollari: meno di un nono dei soldi che hanno bruciato finora in Iraq.
Vale la pena mettere a confronto le cifre della guerra e quelle degli aiuti perché, quando tutte le altre scuse per l’invasione dell’Iraq erano venute meno, entrambi i governi hanno spiegato che la guerra era combattuta per il bene degli iracheni. Per un momento, prendiamo per buona questa affermazione. Supponiamo che l’invasione e l’occupazione dell’Iraq non avessero niente a che fare con il potere, con la politica interna o con il petrolio, ma rientrassero in un monumentale programma di aiuti. E, con temeraria generosità, partiamo dal presupposto che, in Iraq, le persone che hanno ottenuto un beneficio grazie a questo programma di aiuti siano più di quelle che ci hanno rimesso.
Per giustificare la guerra, anche in base a questi presupposti del tutto avventati, George Bush e Tony Blair dovrebbero dimostrare che il denaro che hanno speso è stato un mezzo efficace, rispetto al suo costo, per alleviare le sofferenze umane. Dato che esso sarebbe stato sufficiente per ottenere un miglioramento misurabile nella vita di tutti i 2,8 miliardi di persone che vivono in assoluta povertà, e dato che in Iraq ci sono soltanto 25 milioni di persone, questo è semplicemente impossibile. Anche se ignoriamo ogni altra questione, come quella dell’uccisione di massa, i costi-opportunità della guerra in Iraq ne fanno un disastro umanitario.
Ma i nostri governanti sembrano avere perso la capacità di distinguere tra aiutare le persone e ucciderle. Il tono del messaggio di Tony Blair per l’anno nuovo era quasi identico a quello strappalacrime con cui ci chiedeva di capire che il popolo iracheno dev’essere bombardato per il suo bene. I marines americani, che ora sono stati spediti in Sri Lanka per aiutare nelle operazioni di soccorso, solo poche settimane fa uccidevano i civili, distruggevano le case e cacciavano via tutta la popolazione della città irachena di Falluja.
Mentre Bush e Blair spendono il denaro che gli abbiamo dato per alleviare le sofferenze massacrando i poveri, in caso di disastro il mondo deve affidarsi all’homeless che si svuota le tasche. Se i nostri governanti fossero altrettanto generosi nell’aiutare le persone quanto lo sono nell’ucciderle, nessuno soffrirebbe più la fame.
George Monbiot
Fonte:www.ilmanifesto.it
6.01.05
Taduzione di Marina Impallomeni