UN’ANALISI DELLE FORZE ARMATE STATUNITENSI
DI DANA VISALLI
Globalresearch.ca
Mentre ero a Kabul nel marzo di quest’anno, ho fatto una vista alla base militare USA di quella città, Camp Eggers. Sapendo che avrei avuto bisogno di un pretesto per riuscire a entrare, ho battuto a macchina una lettera dove mi offrivo di fare una presentazione della natura dell’Afghanistan, che ho studiato in passato.
Quando ci si avvicina alla base, si deve passare attrraverso un primo checkpoint, dove un Hummer coronato da una postazione-mitra sta di guardia. Dopo, ci sono cento metri di cammino da percorrere in uno stretto corridoio tra due muri anti-esplosione, alla fine del quale si arriva a un punto d’ingresso inserito nel muro. Ho mostrato il mio passaporto e la mia lettera e poi sono stata scortata attraverso la seconda sezione di muri anti-esplosione nella direzione di una piccola cabina utilizzata per le informazioni, in questo ancora periferico circolo di difesa. Il pischello brufoloso che è in organico alla cabina era confuso dalla mia richiesta; non aveva mai visto niente del genere. E ha fatto quello che tutti i soldati fanno quando si trovano di fronte a qualcosa di nuovo: ha telefonato ai superiori per ricevere istruzioni su come affrontare il caso.
Sono così riuscita a ottenere il pass per il successivo livello d’ingresso. Al rifugio #2 un altro giovane e amichevole soldato di nome Ryan, ugualmente perplesso di fronte alla mia richiesta scritta, ha telefonato al suo ufficio di comando per avere indicazioni su come comportarsi con me. Dopo di che, con Ryan come scorta, ce l’ho fatta a entrare nel sancta sanctorum della base, dove i soldati e i contractor militari girellano con tranquillità per le strade di quella che prima era una zona residenziale di Kabul.
Dopo essere passata vicino a soldati dei gradi più diversi, sono finalmente arrivata all’ufficio “Buon Umore, Benessere e Ricreazione”. L’ufficiale donna in carico è rimasta interdetta dalla mia presenza come tutti quelli che mi avevano incontrato e, dopo aver letto la mia proposta, mi ha chiesto in modo arcigno, “Come ha fatto a raggiungere la base?” Ha rimproverato Ryan per avermi portato al centro di Camp Eggers, poi ha realizzato che avrebbe dovuto telefonare al suo ufficio di comando perché non c’erano protocolli standardizzati per risolvere la faccenda.
Mentre stavamo tornando al punto di partenza, Ryan mi ha fatto presente che di certo non poteva essere responsabile per avermi fatto entrare nella base, perché tutto quello che aveva fatto era eseguire gli ordini. Infatti, la prima preoccupazione di tutti quelli con cui ho interagito a Camp Eggers era quella di seguire le direttive dei propri superiori; nessuno sembrava avere la capacità di prendersi la responsabilità delle proprie azioni.
Nella metà degli anni ’60, l’analista politica Hannah Arendt ha pubblicato uno studio della lunghezza di un libro che trattava di come le più grandi tragedie dell’umanità, come la schiavitù o l’Olocausto, siano potute accadere. Il suo libro, “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme“, afferma che, spesso, tali crimini non vengono commessi da fanatici o da sociopatici, ma piuttosto da gente ordinaria che ha accettato le prerogative dei propri superiori e del proprio Stato e, in conseguenza di ciò, ha eseguito quello che gli veniva detto di fare, ritenendo che le proprie azioni fossero normali. La parola “banale” indica “qualcosa di trito, normale e ordinario”. L’etimologia della parola viene dal francese antico “ban”, termine che si riferiva al servizio militare feudale, che era obbligatorio e comunemente accettato. La cultura militare è per definizione sinonimo di banalità, proprio come le mie frequentazioni a Camp Eggers hanno dimostrato, nel vedere come tutti hanno lottato per scovare ordini da eseguire al fine di evitare la responsabilità delle proprie azioni.
La maggior parte dei membri della struttura militare riceve un notevole addestramento in tecniche di combattimento, incluse quelle per uccidere esseri umani. Un’esercitazione frequente al campo d’addestramento è quella in cui le reclute che si gettano in continuazione verso bersagli umani con la baionetta montata, al grido “Uccidi! Uccidi!” mentre colpiscono le loro vittime immaginarie. Dopo mesi di tale addestramento, uccidere diventa in sé banale, qualcosa di normale e ordinario. La cultura militare di sottomissione irriflessiva all’autorità, combinata al pesante condizionamento nello spazzare via le vite umane, crea un sentiero spazioso verso i “grandi mali” che Hannah Arendt ha analizzato.
Gli esempi di quello che una società sana definirebbe atti malvagi abbondano negli annuari delle guerre odierne. Ad esempio, nel 2010 un gruppo di cinque soldati statunitensi ha ucciso un quantità di civili afgani “per sport” e ha raccolto le dita delle loro vittime come trofei. Per loro uccidere è diventato normale e banale; era proprio quello a cui i soldati sono stati addestrati.
Nel marzo del 2011 due elicotteri Blackhawk dell’esercito USA si sono posizionati al di sopra di dieci bambini afgani, dell’età compresa tra i sette e i tredici anni, che stavano raccogliendo sterpaglia per riscaldare le loro capanne e li hanno attaccati col fuoco delle mitragliatrici. Quando i genitori dei bambini sono arrivati sul posto, allertati dagli spari, hanno potuto solamente raccogliere i monconi dei loro bambini. Per i piloti degli elicotteri, uccidere è il loro lavoro, una normalità nella vita di soldati.
Il 12 marzo del 2006, quattro soldati USA sono entrati nella casa di una ragazza di 14 anni nella città irachena di Mahmudiya, hanno chiuso la madre, il padre e la sorella in una camera da letto e li hanno trucidati, dopo di che hanno violentato in gruppo la ragazza. Per finire, gli hanno sparato in testa e hanno cercato di bruciarne il cadavere. Hanno poi relazionato le morti come risultato di un attacco dei ribelli.
Il 25 marzo del 2003, il sergente dei Marines Eric Schrumpf stava partecipando all’invasione dell’Iraq quando ha individuato un soldato iracheno dietro una civile. Siccome non riusciva ad avere la visuale sgombra per la presenza della donna, le ha sparato per toglierla dalla linea di tiro.“Mi dispiace, ma la tizia era proprio nel mezzo”, questa è stata la spiegazione di Schrumpf. Più tardi è entrato nei dettagli, “Abbiamo passato proprio una bella giornata. Abbiamo ammazzato un sacco di gente.”
Nel lungo termine, molti dei soldati che commettono crimini di questo tipo divengono vittime della propria mancanza di giudizio, incapaci di convivere con gli atti drammaticamente antisociali che hanno commesso. Il sergente Schrumpf è al momento debilitato dal disturbo post traumatico da stress e non riesce a avere un ruolo nella società civile. Ha attaccato persone nei cinema perché confondeva le lattine di Coca con le armi. “Non sarò mai più lo stesso”, sono le parole di Schrumpf, che sembra in qualche modo disorientato dall’eziologia delle proprie disfunzioni comportamentali.
Siamo limitati solo dal tempo per descrivere storie simili, frutto di missioni in combattimento. Dopo aver prestato servizio nei Marines durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, il soldato, Lance Corporal, Walter Rollo Smith è tornato a casa e ha subito ucciso la moglie, Nicole Marie Speirs, ventiduenne madre dei suoi due gemelli. L’ha affogata nella vasca da bagno senza alcuna provocazione o motivo apparente. Riflettendo sull’atroce delitto, Smith ha detto, “Ne ero assolutamente sicuro prima di andare in Iraq, non c’era modo che io potessi uccidere qualcuno.”
Dopo aver servito l’esercito in Iraq nel 2004, il Caporale Brandon Bare, 19 anni, di Wilkesboro, Carolina del Nord, una volta rientrato a casa ha accoltellato la moglie Nabila Bare, di 18 anni, almeno per 71 volte con coltelli e mannaia. Circa tre dozzine delle ferite sono state inflitte sulla testa e sul collo. Uccidere è quello a cui era stato addestrato.
L’angoscia esistenziale e le disfunzioni dei soldati di ritorno dal fronte è una cosa ordinaria. Un recente studio indica che il 62% dei soldati di rientro dalla guerra in Iraq hanno chiesto una consulenza per la salute mentale, con il 27% che mostra pericolosi livelli di abuso di alcol. I tassi di suicidio tra i soldati e i veterani sono incrementati drammaticamente negli ultimi anni. Più di 100,000 veterani del Vietnam si sono uccisi, molti più di quelli morti in guerra. Più di 300,000 veterani delle forze armate USA sono al momento senza casa, come rivela un altro studio.
Se la guerra nei fatti distrugge i giovani d America trasformandoli in killer addestrati e traumatizzati, si potrebbe almeno sperare che le guerre di per sé aggiungano, in una qualche maniera, valore alla società statunitense.
Le evidenze obbiettive ci suggeriscono qualcos’altro. La condotta attuale in guerra assomiglia più a un circo che alle nobili tinte con cui viene spesso dipinta. Per citare uno dei molti esempi dell’insensatezza della guerra raccontato nel libro “Achille in Vietnam“, l’autore e veterano del Vietnam Jonathan Shay descrive come “durante una pattuglia nella stagione secca, una squadra dell’esercito USA aveva esaurito l’acqua e non era stata rifornita. Camminarono per un giorno e mezzo in cerca d’acqua nel territorio controllato dai Vietcong. Quando gli uomini iniziarono a collassare per la deidratazione, la supplica fatta dall’ufficiale per avere il rifornimento fu accolta: un elicottero sorvolò e bombardò la squadra con alcune casse di Tab, ferendo seriamente uno degli uomini. Il maggior, il cui elicottero aveva sganciato le casse, fu poi richiamato per evacuare il ferito. Non c’era nessuna attività del nemico. In un secondo momento, lessi sul giornale della divisione che il maggiore si era vantato di tutto questo e aveva ricevuto la medaglia di bronzo al Valore per aver rifornito le truppe e evacuato i feriti sotto il fuoco.” Ricordatevi di questa storia quando la prossima volta vedrete una divisa di un soldato stipata di medaglie.
La guerra in Vietnam fu combattuta perché, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Ho Chi Minh dichiarò l’indipendenza dalla Francia colonizzatrice, dopo aver letto la Costituzione degli Stati Uniti che enfatizzava la ragionevole volontà del proprio popolo all’autodeterminazione. Invece di sostenere quest’esigenza universale che l’umanità ha per la libertà, gli Stati Uniti appoggiarono gli sforzi francesi al fine di riguadagnare la loro colonia per 10 lunghi anni (1945-1954). Dopo che la Francia fu sconfitta, gli Stati Uniti combatterono i vietnamiti per altri 22 anni (1955-1975). Si sono quindi accavallati 32 anni di distruzione, quando tutto ciò che il popolo vietnamita chiedeva era la propria indipendenza. Le vite degli americani distrutte – 58 mila morti, più di 100 mila suicidi, 300 mila senza casa – sono state spazzate via per nulla, così come i 3,4 milioni di vietnamiti morti in quella guerra. Per menzionare brevemente un’altra delle guerre recenti, oggi l’Iraq sopravvive tra le rovine, la popolazione è impoverita, un milione di morti e 5 milioni di persone rifugiate, quando tutto ciò su cui si è basta l’invasione del 2003 è unanimemente riconosciuto essere una totale fabbricazione.
La guerra in sé non è solo “un furto a coloro che sono affamati e non hanno da mangiare, a quelli che hanno freddo e non hanno vestiti”, come Dwight Eisenhower affermò in un discorso del 1953, ma la guerra è dannosa anche per il pianeta, per le fonti della vita sulla Terra e in fondo per tutte le vite. Gli Stati Uniti hanno sganciato 15 milioni di tonnellate di bombe sulla superficie terrestre negli ultimi 60 anni e 1 milione di tonnellate di napalm su campi e foreste, hanno disperso 20 milioni di galloni di defoliante in alcune delle foreste con più biodiversità del pianeta. In ogni caso, le forze armate USA stanno conducendo una guerra contro la Terra stessa. Uno sforzo così inutile non è avvenuto con poca spesa: il costo totale di tutte le spese militari per il 2012 si stima che ammonti a 1200 miliardi di dollari, un terzo del totale del budget federale. Sono proprio le forze armate che stanno portando il paese in bancarotta.
In ultima analisi, le forze armate statunitensi stanno distruggendo le vite dei suoi giovani uomini e allo stesso tempo devastano le altre culture; minacciano la sopravvivenza economica degli Stati Uniti mentre si sta logorando la struttura ecologica che rende possibile la vita sulla Terra.
Mikhail Gorbachev dichiarò che il sistema sovietico era malvagio e andava pertanto smantellato. Le forze armate statunitensi sono una potenza dalla simile malvagità, sguinzagliata per il mondo. Così come fu fatto per il ripugnante sistema sovietico, anche le analogamente ripugnanti forze militari degli Stati Uniti dovrebbero essere completamente smantellate, con tutti i soldati, le navi, gli aerei e le armi riportate a casa dall’imponente rete di 1000 basi militari americane sparse per il globo. I risparmi in termini di vite umane, di sofferenza, d’integrità ecologica e di dollari sarebbe incommensurabile. Dovremmo cominciare a ricostruire una difesa nazionale nella forma di piccole milizie che possano sorvegliare i nostri confini e “respingere le invasioni”, così come riporta la Costituzione degli Stati Uniti, ricordando che la miglior difesa consiste nel farsi degli amici.
Dana Visalli è un’ecologista, botanica e giardiniera nello stato di Washington.
Fonte: www.globalresearch.ca
Link. http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24374
18.04.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE