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La Redazione

 

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LA GUERRA DI ISRAELE CONTRO I BAMBINI

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A cura di Davide
Il 16 Dicembre 2004
76 Views

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Nel corso dell’attuale
intifada  323 bambini palestinesi di età
inferiore ai 14 anni sono stati uccisi dal fuoco delle forze di difesa israeliane (IDF). Ecco tre recenti episodi verificatisi a Nablus…

DI GIDEON LEVY

 

Perchè sprecare munizioni? Qualche
giorno fa un soldato appartenente alle Forze di Difesa Israeliane ha aperto il
fuoco su due ragazzi nella casbah di Nablus. Un unico proiettile che ha
trapassato il corpo prima di uno e poi dell’altro figliolo, uccidendoli
entrambi. Due quindicenni trovati stretti in un solo abbraccio sulla strada che
scende al mercato.
Dopo il decesso delle due vittime il soldato non ha “confermato di averli uccisi”; sarà per questo che dalla nostra parte nessuno è rimasto scioccato da questo terribile doppio assassinio. Ma in due case nella casbah di Nablus, si piange la morte dei due bambini. Uno, Amar Banaat, era l’unico figlio di una madre che, per ragioni di infertilità, l’aveva atteso per 15 anni; l’altro, Montasser Hadada, era rimasto orfano del padre solo tre mesi prima. Sulla parete, accanto alla fotografia dei due bambini, c’è anche quella del loro buon amico Jani Kandil, anch’egli rimasto ucciso nello stesso luogo della casbah diversi mesi orsono. Sono tre le fotografie di bambini morti affisse al muro.

Non lontano da lì, nella casbah, stanno
piangendo un altro bambino morto ammazzato con un buco enorme aperto nel petto.
Si tratta della casa di Khaled Osta, che aveva 9 anni. Muataz Amudi, 3 anni, è
stato fortunato: il proiettile gli ha appena perforato la gamba mentre il padre
lo stava portando via in braccio nel cuore della notte dopo che i soldati
avevano loro intimato di abbandonare le abitazioni.

Nablus piange i suoi figlioli. Quelli tra
di noi – compreso il capo di stato maggiore – che sono rimasti
inorriditi per la storia “del confermato assassinio” del tredicenne
Iman al-Hamas nel campo profughi di Rafah possono esserlo per 323 volte ancora,
una per ognuno dei 323 bambini sotto i 14 anni (secondo le statistiche del Gruppo di Monitoraggio sui Diritti Umani Palestinesi – PHRMG) rimasti uccisi in questa Intifada a causa del fuoco delle Forze di Difesa Israeliane.
Chi avrà pensato che quello di Iman al-Hamas potesse essere un caso isolato farebbe
meglio a sapere che le stragi di bambini sono ormai divenute un fatto quotidiano, senza alcuna commissione d’ inchiesta o il ben che minimo interesse
da parte del pubblico. Nella sola Nablus sono stati seppelliti 29 bambini, due di loro due settimane fa durante il Shabbat (N.d.t.: sabato: nella religione
ebraica è il giorno dedicato al riposo).

Corvi gracchiano tra le crepe delle rocce su cui sono abbarbicate le case del quartiere di Ras al-Ayin. Le
abitazioni sono praticamente attaccate a delle grotte nel cuore della città.
Sei settimane fa, durante la notte del 20 settembre, i membri della famiglia Amudi erano stati svegliati, come al solito, dal rumore assordante delle esplosioni.
Si erano appena ripresi quando i soldati li avevano chiamati col microfono
intimando loro di uscire dalle case. Anche questo avviene di routine. I soldati
erano spiegati lungo la strada e sopra la rupe sovrastante le grotte.

Bader Amudi, 28 anni, era corso al
letto del suo piccolo. Muataz dormiva profondamente e Bader lo aveva tirato su per
poi precipitarsi verso la porta col bimbo addormentato in braccio. La madre e
la moglie erano rimaste indietro a nascondere oro e gioielli temendo il saccheggio
da parte dei soldati. Bader aveva aperto la porta, era riuscito a scendere uno
o due scalini e subito dopo era stato bersagliato di colpi. Un proiettile ha
lacerato la gamba del bimbo e ferito il padre alla mano. Il padre ha posato il
bimbo per le scale e preso dal panico è rientrato in casa dalla moglie e dalla
madre. Hanno dovuto attendere a lungo prima che all’ambulanza palestinese
fosse consentito di portare all’Ospedale Rafidia il bambino sanguinante.

Muataz viene portato nella stanza. Ha
le guanciotte rosse e sembra ben accudito, seduto nel suo passeggino. Un giorno
successivo a quello in cui il soldato lo aveva colpito frantumandogli la gamba è
stato trasferito per le cure in un ospedale israeliano, quello di Hadassah Ein
Karem. Dopo l’operazione chirurgica, ai genitori è stato promesso che il
bambino potrà tornare a camminare da solo. Nel frattempo, non riesce a camminare
bene. Sulla coscia ha un’orrenda grossa cicatrice.

Il portavoce delle Forze di Difesa
Israeliane: “Il 20 settembre, mentre era in corso l’arresto di tre ricercati, una pattuglia delle Forse di Difesa Israeliane ha fatto cerchio intorno alla casa degli uomini ed ha intimato agli altri residenti di
allontanarsi. Dopo che i ricercati hanno lasciato la casa è stata individuata una
figura sospetta in fuga da un’uscita posteriore situata difronte alla rupe. A causa del comportamento sospetto, la pattuglia ha aperto il fuoco
mirando alla parte inferiore del suo corpo, secondo le procedure previste in
queste situazioni. I colpi hanno ferito il figlio del sospetto, che al momento della sparatoria non poteva essere scorto dai soldati a causa del particolare
angolo di visuale. Il bambino ferito è stato soccorso sul posto e in serata è stato trasferito, in coordinamento con le Forze di Difesa Israeliane, in un ospedale
israeliano per il trattamento della lieve ferita riportata.”

***

Una casa nel cuore della casbah.
E’ qui che viveva la famiglia Osta. Il padre, Jemal, 43 anni, lavora per
la Red Crescent (Mezzaluna Rossa) come custode e, quando necessario, nelle
vesti di paramedico. Verso la fine dell’estate, il 17 agosto, Jemal è
stato chiamato alla casbah col la sua ambulanza per portare via un ferito da
uno dei vicoli. Lui è arrivato subito, ha tirato fuori la barella, ma i soldati,
armi in pugno, lo hanno costretto a stare alla larga. Per circa un quarto
d’ora è rimasto lì con la barella ad aspettare finchè dalla base non lo
hanno avvertito del fatto che il ferito era già stato prelevato da
un’altra via. Non poteva sapere che stessero parlando del maggiore dei suoi
figli.

Una foto di un ragazzo biondo con gli
occhi azzurri sulla parete – è Khaled Osta, morto all’età di nove
anni. Porta i capelli con la riga di lato e mostra uno sguardo pieno di
soddisfazione. Eccolo in un’ultima fotografia, scattata durante un campo
estivo della Mezzaluna Rossa, qualche giorno prima della sua morte: porta gli
occhiali, beve uno yogurt. Dopo che suo padre aveva fatto ritorno al quartier
generale della Mezzaluna Rossa suo fratello lo aveva chiamato e gli aveva detto
che Khaled era stato ferito ma solo lievemente. Al tempo stesso, uno dei vicini
aveva preso tra le sue braccia il bambino sanguinante ed era corso per due
chilometri attraverso i vicoli della casbah fino a raggiungere una strada
distante dai soldati dove stava attendendo l’ambulanza.

Un’ altra fotografia: Khaled il
ragazzo morto con un grosso buco, di inusuali dimensioni, sul lato sinistro del
petto – il foro d’entrata del proiettile, della granata oppure un
del pezzo d’artiglieria. Cosa mai avrà potuto causare un buco simile nel
corpo del ragazzo? Il padre solleva il divano e da un nascondiglio tira fuori
una borsa di plastica nera nel quale ha conservato una granata a gas trovata
accando a Khaled ferito. Sulla granata argentea si legge in ebraico: “proiettile
speciale da 40 mm. Serie 30-30. Può essere sparato solo da un lanciagranate
M203”  Non è detto che si tratti proprio
dell’ordigno che ha ucciso Khaled; comunque questo è il bossolo della
granata che è stata lanciata ed è stato trovato proprio accanto a Khaled, e da
allora il padre la conserva dentro il divano. Nella foto, gli occhi azzurri di
Khaled sono chiusi.

Perchè gli hanno sparato? Era
pomeriggio, ricorda Wafa Halawi, un vicino, e una ventina di ragazzini stavano
giocando nel vicolo qua fuori. Halawi li vide da dietro le inferriate della sua
finestra. Notò l’approssimarsi da occidente dei soldati a bordo di una
Jeep e si affrettò a richiamare in casa i suoi bambini. Racconta di aver visto
due soldati scendere dalla jeep per lanciare gas lacrimogeni e una granata che
causa stordimento contro un gruppo di bambini. Khaled stava mangiando un
sandwich che la madre gli aveva preparato; se ne possono ancora vedere degli
avanzi nella foto della sua morte. I soldati si erano appostati sulla strada
superiore mentre i ragazzi si trovavano nel vicolo sottostante. E’ assai
improbabile che i bambini stessero scagliando pietre verso l’alto contro
i soldati dato il notevole dislivello esistente tra la strada e il vicolo.

Siccome la vicina non riusciva a
trovare due dei suoi figli, un maschio e una femmina, è corsa a cercarli nel
vicolo. Le macchie di sangue che vide conducevano alla porta della casa
accanto, quella della famiglia Osta. La vicina seguì la scia di sangue fino a
che non trovò Khaled sanguinante sulla porta di casa. Il bambino era riuscito
ad attraversare i 20 metri che separavano il luogo in cui era stato ferito da
casa sua per poi crollare sulla soglia. La vicina si mise a chiamare qualcuno
della famiglia. Accorsero la madre e la sorella di Khaled e si trovarono
difronte ad una scena agghiacciante. In quello stesso istante, il padre di
Khaled si trovava là sulla strada in cima ma gli veniva impedito di
avvicinarsi.

Venti giorni dopo la perdita del
figlio, Jemal racconta di aver visto precipitare un soldato israeliano da un
tetto di asbesto durante un’operazione delle Forze di Difesa Israeliane
nel quartiere di Yasmina, vicino alla casbah. Il soldato era caduto ma i suoi
compagni non se ne erano accorti e Jemal corse verso di lui chiamando a
soccorso gli altri soldati. “Qui è caduto il martire Khaled Osta”
si legge sul muro del vicolo ed accanto ecco la foto di un bambino di nove anni
con un buco sul petto.

Il portavoce delle Forze di Difesa
Israeliane: “l’inchiesta delle FDI condotta in merito alla morte di
Khaled Osta ha rivelato che la vittima è stata uccisa tra le 15  e le 15:30. Durante quelle ore, le Forse di
Difesa Israeliane non risultavano coinvolte in alcuna sparatoria, ad eccezione
di un unico proiettile sparato contro Mafar Sader di 19 anni, il quale stava
scagliando mattoni contro le FDI. Non è certo che il bambino sia stato ferito
vicino a casa sua; è possibile che sia stato ferito altrove e che in qualche
maniera sia stato in grado di raggiungere il luogo in cui poi è stato
ritrovato. Un’inchiesta condotta dalla Mezzaluna Rossa ha stabilito che
il bambino era già morto quando sono arrivati là. In breve, nonostante l’accurata
inchiesta portata a termine, non è ben chiara la causa del ferimento del minore”.

L’accampamento all’entrata
della casbah in cui si piange la scomparsa di un’ennesima giovane vita.
Amar Banaat aveva quattro anni quando suo padre era morto di malattia. Da
allora, sua madre Sabah lo aveva allevato da sola. Per 15 anni aveva atteso la
nascita di quell’unico figlio e il suo Amar non ha vissuto che per altri
15 anni, fino al momento in cui è stato ammazzato. Sabah ha una figlia di 13
anni, Safaa.

Di sabato, il 20 Novembre, circa due
settimane fa, Amar è sceso in strada. Erano le 18:30 e sua madre gli aveva dato
5 New Shekel Israeliani per comprare dei dolciumi. Amar è corso al negozio di
Montasser Hadada, suo coetaneo e compagno di scuola. I due erano amici e poco
tempo addietro avevano condiviso un comune destino: circa tre mesi prima
infatti, il padre di Montasser era rimasto vittima di un incidente stradale.
Ogni giorno dopo la scuola, Montasser si recava alla drogheria di famiglia per
dare una mano a sua madre e prendere il posto del padre deceduto. Amar era
andato là per acquistare un bastoncino di zucchero.

“Vorrei che la madre del soldato
che lo ha ucciso perdesse suo figlio”, dice Sabah, la madre afflitta,
assetata di vendetta nel suo immenso dolore.

Montasser è stato colpito per primo, e
quell’unica pallottola ha finito per penetrare anche nel corpo di Amar.
Il giorno successivo le Forze di Difesa Israeliane hanno annunciato che i due
ragazzi erano armati. Qui replicano amaramente: il magrolino quindicenne Amar
era armato? E dove sta l’arma? Sabah sibila a denti stretti:
“vorrei vedere quel soldato per strappargli gli occhi. Era il mio unico
figlio, ho risparmiato tutta una vita per tirarlo su. Possa Dio uccidere il
(Primo Ministro Ariel) Sharon insieme a tutti i suoi soldati. In casa non sono
rimasta che io sola.”

Raccontano di come il soldato, dopo aver sparato ai due ragazzi, sia sceso dalla jeep, si sia avvinato ai corpi e
poi se ne sia andato. “Jeep protette, carri armati protetti…e anche se un ragazzino tira una pietra che male può fare? Grida lo zio, un abitante del vicino campo profughi di Askar, che ha aiutato ad allevare Amar.

“Non siamo terroristi, siamo gente che vuole vivere nella libertà e nel rispetto” afferma lo zio calmandosi un poco. “I bambini vedono i loro amici cadere morti davanti ai loro occhi. Fateli andare via, fateli andare via dalle nostre terre”.

Sabah: “Dove dovrebbero giocare i
nostri bambini? Dove? Se solo Sharon potesse capire quanto soffriamo. Ogni
notte, sparano ogni notte. In che razza di paese viviamo? Dov’è la
giustizia? Con che diritto entrano nelle nostre case? Con che diritto ammazzano
i nostri figli? Ora basta”.

Il portavoce delle Forse di Difesa
Israeliane: nel corso di un’operazione delle FDI svoltasi a Nablus il 20
novembre, è stato aperto il fuoco contro le FDI e sono state lanciate bombe e
bottiglie Molotov. Un palestinese armato è stato identificato dalla pattuglia
che ha aperto il fuoco contro di lui. L’uomo armato e il fratello,
ricercati attivisti di Fatah, sono rimasti feriti nella sparatoria. Un altro uomo armato è stato identificato ad est della casbah, le forze hanno concentrato il fuoco contro di lui e messo a segno un colpo, probabilmente quello ha ucciso
l’uomo armato.

“Dopo aver interrogato le forze
sull’incidente, nel quale ha perso la vita anche un secondo ragazzo palestinese, e secondo gli accertamenti effettuati dall’Amministrazione
per il Coordinamento relativamente alla posizione della ferita e all’orario d’ingresso in ospedale, è emerso che durante lo stesso lasso di tempo, nella parte orientale della casbah erano in atto contro le Forze di Difesa
Israeliane due diversi attacchi armati: uno a mezzo di fucile Kalashnikov e l’altro di pistola. La pattuglia non ha reagito perchè incapace di identificare l’origine degli attacchi. Pertanto, la morte di almeno un palestinese non può essere fatta risalire ad attività delle Forze di Difesa
Israeliani operanti in quei luoghi”.

Maher, 20 anni, fratello di Montasser è
stato testimone oculare della vicenda: vide un gruppo di circa dieci bambini e
ragazzi adolescenti riuniti insieme nel vicolo, compresi Amar e suo fratello, che erano usciti dalla drogheria. Improvvisamente vide arrivare i soldati e fece per ritornarsene a casa. A me ha detto di non aver visto nessuno sparare o tirare pietre ai soldati. D’improvviso udì uno sparo. Amar è rimasto ucciso sul colpo mentre Montasser è morto durante il trasporto all’ospedale.
Entrambi sanguinavano dalla bocca.

Gideon Levy
Fonte:Haaretz
7.12.04
Ripreso da:www.zmag.org

TRADUZIONE PER COMEDONCHISCIOTTE A CURA DI KOLDER

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