DI ENRICO GUADO
Megachip
Con l’ultima mossa di Ben Bernanke, presidente della Federal
Reserve, la banca centrale degli Usa, è stato spedito un
messaggio incontrovertibile a tutto il mondo: tagliare il costo del
denaro fino a eliminare, o quasi, il tasso di interesse significa
mettersi con le spalle
al muro.
I banchieri centrali statunitensi hanno fatto tutto ciò che
era possibile. Ora tocca ai governi e ai Parlamenti.
Se si sveneranno per salvare le banche e le industrie, la crisi
avrà un impatto duro, ma probabilmente non catastrofico. Se
invece resisteranno, gli effetti potrebbero essere incalcolabili.
Segnali analoghi sono giunti dal Financial Stability Forum,
dove Mario Draghi ha detto che per attutire la crisi occorre fare di
più.
Se si guarda a questi eventi con un minimo di freddezza si possono
indicare quali sono i fatti e quali potranno essere le conseguenze.
1. Il dividendo
trimestrale è stato negli ultimi lustri la
variabile indipendente sulla quale si è basata tutta
l’economia.
2. Ciò ha prodotto due effetti: una fortissima redistribuzione del
reddito a favore
dei ceti che hanno potuto gestire l’attività
finanziaria e decidere i propri prezzi (manager, banchieri, operatori
di mercato, consulenti, azionisti consapevoli, ma anche detentori di
posizioni di forza nei servizi ) e a
sfavore dei produttori materiali dei beni; la ricerca
spasmodica di forzare gli affari con ogni mezzo, dall’uso
spregiudicato ( diciamo così) della leva finanziaria (per
esempio, la costruzione piramidale realizzata a partire dai mutui
subprime) fino alla fortissima pressione per l’induzione ai
consumi.
3. Ora che la crisi ha reso visibili i meccanismi di questa lunga fase
di ristrutturazione
gerarchica della società (una gerarchizzazione
che ha ri-portato ai ceti affluenti il potere logorato dalle conquiste
dei lavoratori, dai diritti sociali, dal welfare), la risposta da dare
alla crisi per evitare guai peggiori è quella che il
capitalismo ha imparato dall’esperienza vissuta nelle
drammatiche convulsioni del passato:
a) socializzazione delle
perdite (salvataggio delle banche, nazionalizzazione totale o parziale
delle industrie in difficoltà, finanziamenti a pioggia);
b)
lavori pubblici;
c)
nuova austerità per i ceti meno abbienti (i denari
dello Stato servono per finanziare infrastrutture e salvare le
imprese);
d)
tendenza alla difesa di qualsiasi produzione industriale.
4. Solo che tra la crisi di oggi e quelle del passato
c’è la scoperta ormai evidente della saturazione del pianeta.
Gli economisti continuano a considerare la Terra come un reddito e
invece è un patrimonio che stiamo nemmeno tanto lentamente
consumando.
5. Risultato: viene ri-nascosto il problema della sopravvivenza della specie,
pur di evitare che il meccanismo della produzione senza fine e senza
limite si inceppi, pur di evitare di mettere alle strette coloro che
questo disastro hanno provocato. Così, per salvare
l’economia come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi
è stata seguita la ricetta tecnica conosciuta. A cominciare
proprio dall’immissione di una quantità enorme di
denaro liquido a basso costo, anzi a costo zero.
6. Tutto ciò potrà evitare un impatto ancora
più drammatico, a breve termine, della crisi su occupazione,
consumi. Ma pone anche un enorme problema per il futuro e crea anche i
presupposti per una nuova crisi futura. Appena l’economia
mostrerà i primi, deboli segnali di ripresa, tutta la
liquidità immessa in giro per il mondo potrebbe trasformarsi
in un potentissimo
detonatore per l’inflazione.
7. Così, dopo aver pagato con le tasse, con la perdita del
posto di lavoro, con i risparmi su salari, stipendi e compensi, i ceti
meno abbienti non solo rischiano di subire le ripercussioni di un
modello di sviluppo insostenibile, ma anche di pagare
un’altra volta il costo della crisi con la perdita del loro potere di acquisto.
Enrico Guado
Fonte: www.megachip.info
Link: http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8432
17.12.08