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La Redazione

 

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LA FINE DEL CAPITALISMO ? NON PROPRIO MA QUASI…

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A cura di Davide
Il 14 Gennaio 2009
44 Views

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NAFEEZ MOSADDEQ AHMED
nafeez.blogspot

Il crollo del 2008

Nell’estate del 2008 la Banca dei regolamenti internazionali (BRI) aveva messo in guardia sul pericolo di un’altra Grande depressione, di portata tale da far impallidire il crollo economico degli anni ’30. Il problema era nato con la crisi americana delle ipoteche subprime, che le banche statunitensi concedevano a condizioni sempre meno severe a consumatori non in grado di provare le loro capacità di rimborso. Non si trattava di un errore che una normativa insufficiente rendeva impossibile rilevare: le autorità sapevano quel che stava accadendo e avevano ampie possibilità di porre rimedio alla situazione. Ma la lobby delle istituzioni finanziarie si era battuta con successo per ottenere il diritto di prestare a chiunque e senza restrizioni. Secondo Elliot Spitzer, ex governatore di New York, quando era apparsa evidente l’ampiezza delle procedure fraudolente di finanziamento messe in atto dalle banche, gli Stati, all’incirca nel 2003, avevano tentato di intervenire per regolarizzare la situazione; mail Dipartimento del tesoro statunitense aveva bloccato unilateralmente ogni tentativo in tal senso.

Grazie alla proliferazione delle ipoteche subprime, le banche avevano potuto creare nuovi “prodotti finanziari”, come derivati e valori contro rimborsi ipotecari previsti. Si tratta in sintesi di contratti che scommettono sui futuri ammontare dei beni patrimoniali, facendo quindi derivare il loro valore da beni patrimoniali primari (ad esempio valute, azioni e obbligazioni). Dal momento che sempre più gente a basso reddito riusciva ad ottenere ipoteche subprime, era aumentato il volume dei debiti di cattiva qualità “impacchettati” e venduti globalmente, operazione grazie alla quale ancora nuovi crediti, e quindi nuovi prestiti, avevano potuto invadere i mercati mondiali.
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“Rischio?… Che rischio?”

Come ci conferma un navigato intermediario di derivati, Nassim Nicholas Taleb, professore emerito di ingegnerizzazione del rischio all’istituto politecnico dell’università di New York, le banche certificavano d’ufficio che le transazioni erano solide e senza rischi, utilizzando a tal fine modelli quantitativi che, in realtà, si limitavano a mascherare l’importanza del rischio e le sue potenziali conseguenze. Erano così in grado di creare strumenti finanziari estremamente pericolosi, fornire loro una certificazione di prodotto sicuro, e venderli con profitti mirabolanti. A loro volta i prodotti venivano fraudolentemente garantiti da altri organismi finanziari, che profittavano dell’occasione per caricare spese esorbitanti. Ma queste “società di assicurazione” non avevano in realtà beni patrimoniali sufficienti a coprire le perdite in caso di problemi.
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I consumatori spendevano sempre di più, confidando sulla garanzia fornita dalle loro case, e gli organismi finanziari finanziavano sempre di più, confidando sulla rapida proliferazione dei prestiti ipotecari; entrambi contribuivano all’aumento dei prezzi e alle bolle inflazionarie delle proprietà e dei consumi. La frenesia di spendere e prestare aveva avviato a una meravigliosa “crescita virtuale”, basata sui debiti e legata non a un vero surplus generato dalla crescita della produttività ma piuttosto a un sistema monetario che consentiva di prendere ininterrottamente in prestito denaro che in termini reali non esisteva, se non sotto forma di speranza di rimborso delle ipoteche.
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Le vendite per vari trilioni di dollari di questi dubbi strumenti finanziari in tutto il mondo hanno distribuito il rischio su numerosi mercati finanziari, e la struttura gerarchica del sistema finanziario mondiale, dominato da New York e Londra, ha fatto si che i profitti basati sul debito, al centro del sistema, si sono diffusi anche nei paesi più periferici, coinvolti nel gioco per il fatto stesso d’incassare i prestiti o di aver acquistato i derivati.

In effetti, grazie agli astronomici profitti e alla fenomenale concatenata crescita ottenuta con questa procedura, gli organismi finanziari statunitensi e britannici avevano allegramente concesso finanziamenti in Europa, Asia e nei paesi del sud, creando un’intricata rete mondiale di debiti, crediti e profitti finanziari. La crisi scatenatasi negli USA si è quindi allargata dappertutto, e continua a farlo.

La “finanza strutturata” era strutturalmente solida?

Il crollo del 2008 è stato dunque provocato da numerose cause interconnesse, ma è importante capire come erano collegate. Un’importante causa di fondo è la natura stessa del sistema monetario e l’esistenza degl’interessi. Il denaro è creato dai governi che lo ricevono in prestito dalle banche dietro pagamento di un interesse; in altri termini, il debito rimborsato è di ammontare superiore al prestito originale e per ripagarlo deve dunque essere creato altro denaro, il che vuol dire un ulteriore prestito con interesse. In ultima analisi, nel lungo termine la massa monetaria cresce, il valore del denaro si deprezza, e il costo della vita aumenta. L’aumento dell’inflazione costituisce una tendenza strutturale a lungo termine, e il fenomeno contribuisce alla natura distruttiva del boom capitalistico e ad innescare le crisi: in un momento o nell’altro la bolla del debito non può più essere rimborsata e deve collassare.

L’inflazione che ha preceduto la crisi aveva anche un’altra causa importante, tipica del 21° secolo: l’esplosione dei prezzi del petrolio, vertiginosamente aumentati tra il 2001 e il 2008 non solo a causa della speculazione finanziaria, che pure ha avuto il suo peso, ma soprattutto a causa della maggiore domanda e del picco petrolifero. Secondo un rapporto sul mercato petrolifero, pubblicato nell’ottobre 2007 dall’Energy Watch Group di Berlino, la produzione mondiale di petrolio ha raggiunto il suo massimo nel 2006. L’eccessivo costo energetico ha avuto ripercussioni dirette sull’intero sistema, facendo lievitare i costi dei trasporti, dell’alimentazione, della vita e praticamente di tutto; le banche sono state così sottoposte a una pressione strutturale per aumentare i tassi d’interesse e compensare i loro stessi costi. Esperti quali il geologo Colin Campbell (che ha lavorate per aziende quali Shell, BP, Esso e Texaco) ci conferma che adesso siamo probabilmente su quella che è conosciuta col nome di “undulating plateau”.

Il fenomeno comincia quando il picco petrolifero provoca nei prezzi massicci shock che contribuiscono alla recessione economica. La recessione, a sua volta, porta alla contrazione dei consumi, riducendo la tensione sulle risorse e provocando il collasso dei prezzi petroliferi. Prezzi più bassi lasciano nuovo spazio alla ripresa dei consumi e al recupero dell’economia. L’ “undulating plateau”, un periodo di grandi fluttuazioni dei prezzi, può durare dai 5 ai 10 anni prima che i limiti di disponibilità del petrolio vengano definitivamente superati e che si entri in un’era irreversibile di disponibilità petrolifere limitate e di prezzi elevati.

Le corrotte pratiche di finanziamento delle banche hanno interagito con l’impatto della crescente inflazione. L’avidità spiega in parte questo comportamento, ma la realtà è un poco più complicata. La fragilità strutturale del sistema finanziario mondiale era apparsa evidente sin dai tempi delle dot.com, alla fine degli anni ’90. L’imperativo capitalistico di continuare a svilupparsi generando ininterrottamente profitti è strutturale: in altri termini, il capitalismo fa assurgere a sistema l’avidità umana e la rende necessaria per la sopravvivenza economica. Se il settore finanziario non avesse trovato nuove possibilità d’investimento per non interrompere la crescita economica, l’economia si sarebbe contratta. Se il settore finanziario doveva continuare a svilupparsi, doveva creare nuovi mercati vergine per avviare il nuovo ciclo debito-credito e il corrispondente sistema di “prodotti finanziari”: il nuovo mercato è stato quello delle persone a “basso reddito”, o anche della classe media, cioè della maggior parte della popolazione. L’imperativo della crescita – semplicemente per evitare alle banche e alle grandi organizzazioni di perdere profitti, subire una contrazione e infine fallire – ha spinto le banche ad adottare pratiche creditizie ancora più corrotte che, combinate con i limiti strutturali a lungo termine energetici e monetari, hanno dato vita alla bolla della crescita virtuale, che prima o poi non poteva non esplodere.

Come creare miliardi dal nulla

I mercati immobiliari erano dunque solo la punta di un immenso iceberg. I cosiddetti “prodotti finanziari strutturati” erano il meccanismo che consentiva di aumentare il livello del debito e generare enormi profitti a vantaggio degl’investitori più importanti. Torniamo così al problema strutturale del sistema monetario, basato su una riserva bancaria risibile: la creazione di denaro dal nulla, semplicemente introducendo in un computer numeri, caricati come interessi sui crediti. Abitualmente le banche potevano creare credito, o debito, per un importo massimo pari a 12 volte le loro riserve.

Tutto ciò è cambiato nel 2000 grazie al New Capital Accord della BRI, che permetteva alle banche di creare un effetto moltiplicatore illimitato, e dava quindi loro la possibilità di generare debiti a qualunque livello e senza una salvaguardia normativa di una qualche efficacia. Le istituzioni finanziarie hanno sfruttato le nuove possibilità di cui disponevano per legare la popolazione a un debito sempre più ampio e non rimborsabile, alla base dei loro profitti che si moltiplicavano.

Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, a fine 2008 la commercializzazione globale di derivati superava il quadrilione (1.000 trilioni !) di dollari, una somma assurda e senza alcun rapporto con l’economia reale (il PIL totale di tutti i paesi del mondo ammonta a soli 60 trilioni di dollari): si tratta di una massa di denaro creata dal nulla col credito, cioè debito al quale si applicano interessi.

Peggio ancora, nessuno, e men che mai le istituzioni finanziarie, capiscono veramente come si è potuti arrivare a una simile situazione. Nel 2004, ad esempio, il 90% delle transazioni finanziarie negli USA non era stato registrato in modo corretto. Si trattava in realtà di una gigantesca roulette mondiale che permetteva ai finanziari di ricavare enormi profitti dal nulla, e tutto solo grazie alla proliferazione massiccia di debiti che non avrebbero potuto essere rimborsati. Questo castello di sabbia era ovviamente destinato a crollare; la crisi immobiliare è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, minacciando di distruggere l’intero edificio costruito sul debito.

Triplice salto mortale

In ultima analisi, la crisi finanziaria globale del 2008 dimostra il radicale fallimento dei nostri usuali modelli socioeconomico, etico e politico. Ma il crollo del credito è solo un aspetto della crisi globale. Nel corso di questo secolo dovremo affrontare anche due altri importanti crisi intercollegate: (1) la diminuzione del petrolio e dell’energia (ci sono prove convincenti che il picco petrolifero è già stato raggiunto nel 2006), e (2) il pericoloso surriscaldamento globale (anche in questo caso ci sono prove convincenti che l’aumento delle emissioni di carburante fossile provocheranno un aumento di 2/4 gradi centigradi, alterando in maniera permanente gli ecosistemi terrestri).

Il luogo comune secondo cui “non esiste alternativa possibile” non può essere più difeso: il capitalismo neoliberale incoraggia una forma di consumismo irresponsabile e di dominio corporativo senza limiti che, insieme, stanno distruggendo gli ecosistemi terrestri ed esaurendo senza rimedio le risorse energetiche. Il convergere delle crisi economica, ecologia ed energetica minaccia la sostenibilità della civiltà industriale e dimostra l’urgenza di adottare immediatamente riforme sociali strutturali.

Le riforme dovranno eliminare le anomalie strutturali dell’attuale sistema globale, e tra queste:

(1) le ineguaglianze mondiali nella proprietà delle risorse produttive: attualmente, il 5% circa della popolazione mondiale possiede la totalità delle risorse produttive. Gli altri non hanno accesso ai mezzi di produzione e per sopravvivere sono costretti a una qualche forma di schiavitù o vassallaggio. C’è bisogno di approfondite analisi su come migliorare l’accesso alle risorse produttive e alla loro proprietà da parte della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, pur nel rispetto della libertà individuale e dell’impresa privata

(2) il sogno di una crescite illimitata: come sostiene l’economista premio Nobel Amartya Sen, lo sviluppo economico non dovrebbe tendere a una crescita illimitata per il suo solo tornaconto, ma a una crescita sostenibile destinata a soddisfare le esigenze e il benessere della maggioranza dei cittadini. Gli stessi dati del FMI dimostrano che il capitalismo neoliberale ha portato a sempre maggiori concentrazioni di sempre maggiori profitti a tutto vantaggio di una sempre minore quota della popolazione mondiale e a una contrazione della quota destinata ai più poveri: in conclusione, a una più diffusa povertà e disparità.

(3) riserva bancaria e New Capital Accord (2000): il sistema monetario che si basa sugl’interessi ha sottomesso l’economia reale a una forma di sfrenato saccheggio finanziario che fa aumentare il debito per proteggere la crescita. È quindi necessaria non soltanto una riforma monetaria ma anche una decentralizzazione radicale del sistema economico e finanziario in base al principio che le risorse della Terra appartengono a tutti, e che la gente dovrebbe, dappertutto, partecipare alle scelte economiche e finanziarie. E questo significa anche, ovviamente, che il potere politico dovrebbe essere sempre più ripartito tra le comunità.

4) fondamentalismo materialista: gli assunti del capitalismo neoliberale sulla vita e la natura dell’uomo riducono il mondo a una semplice raccolta fisica, scollegata, atomistica, autointeressata, e quindi basicamente conflittuale, di unità. Una visione riduzionista che razionalizza il consumo illimitato basato sulla combinazione di soddisfazione personale con l’accumulazione di beni materiali e il soddisfacimento dei desideri personali. Non c’è spazio per valori etici obiettivi, difficilmente riconosciuti come beni materiali. È ovvio che gli assunti ideologici del capitalismo sono falsi: se fossero veri le cose avrebbero funzionato! Ma noi possiamo constatare invece che il manifestarsi del materialismo della politica economica globale sta portando a una massiccia distruzione della vita e non alla prosperità generale. Ciò significa che ideali come la giustizia sociale e la misericordia sono oggi, obiettivamente, più in sintonia con la natura di quanto i neoliberali vorrebbero farci credere.

Rigenerare la civiltà?

La necessità urgente di un’alternativa globale è dunque fuori discussione. Ma non dobbiamo farci illusioni: le cose continueranno a peggiore, e molto, prima che la tendenza s’inverta. Non si tratta solo della fine del capitalismo. Al contrario, i maggiori operatori finanziari – Goldman Sachs, JP Morgan, ecc. – hanno usato il potere di cui disponevano per assicurarsi enormi iniezioni di denaro, provenienti dai fondi pubblici, che hanno permesso loro di sopravvivere, mentre centinaia di altre istituzioni finanziarie sono crollate come pezzi di un domino. Il collasso del sistema finanziario deprime anche l’economia reale; le azioni delle multinazionali che producono beni tangibili e servizi sono quindi crollate e i consumatori constatano che il loro portafogli è sempre più vuoto. Approfittando della posizione preminente, i finanzieri si sono mossi rapidamente, ricomprando le azioni a prezzi stracciati e consolidando il controllo sulla produzione. Stiamo assistendo a una ristrutturazione e centralizzazione senza precedenti del potere economico e finanziario.

Il sistema potrà tenere ancora per forse 10 o 15 anni prima dell’irreversibile collasso, che avverrà quando si farà sentire l’impatto del picco petrolifero. In questo intermezzo – in cui la gente diventa sempre più in sconvolta, confusa e furiosa per la crescente ingiustizia socioeconomica – attivisti e ricercatori hanno un’opportunità unica di lavorare più duramente che mai per sviluppare una visione del futuro che sia giusta, inclusiva e olistica. È questo il momento giusto per dimostrare che esistono alternative valide.

Nafeez Mosaddeq Ahmed
Fonte: http://nafeez.blogspot.com/
Link: http://nafeez.blogspot.com/2009/01/end-of-capitalism-not-quite-but-nearly.html
6.01.2009

Tarduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

Pubblicato in origine su Fourth World Review – A Transition Journal

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