LA FACILE LEZIONE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

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DI JEAN BRICMONT

counterpunch.org

“L’oceano dell’umana follia”

Ci sono almeno due cose più facili da iniziare che da finire: un amore e una Guerra. Nessuno di coloro che parteciparono alla I guerra mondiale si aspettava che durasse così a lungo o che avesse le conseguenze che ha avuto. Tutti gli imperi che hanno partecipato alla guerra sono stati distrutti, inclusi anche quello britannico e francese.

E non è tutto, una guerra conduce ad un’altra guerra. Il filosofo inglese Bertrand Russell ha osservato che la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese portò come esito a Napoleone; le guerre napoleoniche produssero il nazionalismo germanico che a sua volta condusse a Bismarck, alla sconfitta francese di Sédan ed all’annessione dell’Alsazia-Lorena.

Tutto questo diede forza al revanscismo francese che portò, dopo la prima guerra mondiale, al Trattato di Versailles, la cui iniquità diede un forte impulso al nazismo di Hitler. Russell si fermò qui, ma la storia continua. La sconfitta di Hitler portò alla guerra fredda ed alla nascita di Israele. La “vittoria” dell’occidente nella guerra fredda condusse al diffuso desiderio di schiacciare la Russia una volta per tutte. Quanto ad Israele, la sua creazione produsse un conflitto permanente e creò una situazione inestricabile nel Medio Oriente.

Come si può uscire da questa dialettica? Suggerirei l’idea di un pacifismo istituzionale. Non un pacifismo nel senso del rifiuto della violenza in qualunque circostanza, o come esortazione morale, ma nel senso della creazione di istituzioni che possano favorire il mantenimento della pace. Le Nazioni Unite e la loro Carta, almeno così come furono concepite, costituiscono probabilmente il migliore esempio di una tale istituzione.

Il punto di partenza delle Nazioni Unite era la volontà di salvare l’umanità dalla “piaga della guerra”, in seguito all’esperienza della seconda guerra mondiale. Questo obbiettivo doveva essere conseguito attraverso la difesa del principio della pari sovranità tra tutti gli stati, per impedire che le grandi potenze intervenissero militarmente contro le nazioni più deboli, a prescindere dal pretesto. Ma dal momento che non esiste una forza di polizia internazionale che faccia valere il diritto internazionale, esso può essere fatto rispettare soltanto attraverso un bilanciamento di potere e soprattutto attraverso la pressione dei cittadini dei diversi stati per costringere i propri governi ad aderire alle regole comuni.

Tuttavia il modo in cui la fine della Guerra fredda venne interpretata in occidente, come una vittoria unilaterale del Bene contro il Male, condusse ad una totale noncuranza del diritto internazionale e addirittura della cautela diplomatica in occidente. Fu una delle conseguenze dell’ideologia dei diritti umani e del diritto agli interventi militari umanitari, che fu sviluppata da influenti intellettuali occidentali a partire dalla metà degli anni ’70, spesso sostenitori di Israele, e che potrebbe sembrare incredibilmente aver dato ad Israele il record dei diritti umani.

Il “diritto” all’intervento umanitario è stato universalmente respinto dalla maggioranza dell’umanità, per esempio al Summit del Sud all’Avana nell’aprile 2000, o alla conferenza del Movimento dei Non Allineati a Kuala Lumpur nel febbraio 2003, appena prima dell’attacco USA all’Iraq, da cui uscì la seguente dichiarazione: “I Capi di Stato o di Governo hanno ribadito il rifiuto del Movimento dei Non Allineati del cosiddetto ‘diritto’ all’intervento umanitario, che non trova fondamento né nella Carta delle nazioni Unite, né nel diritto internazionale”, e “hanno inoltre rilevato similitudini tra la nuova espressione ‘responsabilità della protezione’ e ‘intervento umanitario’ ed hanno richiesto all’Ufficio di Coordinamento di esaminare attentamente e prendere in considerazione l’espressione ‘responsabilità della protezione’ e le sue implicazioni, sulla base dei principi di non-interferenza e non-intervento, nonché del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale degli Stati.” Ma in occidente questo diritto di intervento è quasi unanimemente accettato.

Il motivo di queste contrastanti opinioni sta probabilmente nel fatto che il resto del mondo ha un ricordo molto diverso rispetto all’occidente dei più recenti interventi nelle questioni interne di altri stati.

L’intervento degli Stati Uniti è eterogeneo ma costante, e viola sistematicamente lo spirito, e spesso anche la lettera, della Carta delle Nazioni Unite. Nonostante le rivendicazioni di agire in nome di principi come libertà e democrazia, l’intervento statunitense ha ripetutamente comportato conseguenze disastrose: non solo i milioni di morti dovuti alle guerre dirette ed indirette, in Indocina, America Centrale, Sudafrica e Medio Oriente, ma anche le opportunità perdute, “l’uccisione della speranza” per centinaia di milioni di persone che avrebbero tratto beneficio dalle politiche sociali progressiste iniziate da personaggi come Arbenz in Guatemala, Goulart in Brasile, Allende in Cile, Lumumba in Congo, Mossadegh in Iran, i Sandinisti in Nicaragua, o Chavez in Venezuela, che sono stati sistematicamente rovesciati, deposti o assassinati con il pieno appoggio dell’occidente.

Ma non è tutto. Ogni aggressione compiuta dagli Stati Uniti provoca una reazione. Il dispiegamento di uno scudo anti-missile produce più missili, non meno.

Bombardare dei civili – sia deliberatamente, sia come “danno collaterale” – provoca più resistenza armata, non meno. Cercare di deporre o rovesciare dei governi produce più repressione interna, non meno. Incoraggiare le minoranze secessioniste dando loro l’impressione, spesso falsa, che l’unica Superpotenza verrà in loro aiuto in caso di repressione, porta a più violenza, odio e morte, non meno. Circondare una nazione con basi militari produce più spese per la difesa da parte di quella nazione, non meno. Il possesso di armi nucleari da parte di Israele incoraggia altri stati del Medio Oriente ad acquistare tali armi.

L’ideologia dell’intervento umanitario in realtà fa parte di una lunga storia degli atteggiamenti occidentali nei confronti del resto del mondo. Quando i colonialisti occidentali sbarcarono sulle coste dell’America, dell’Africa o dell’Asia orientale, venivano sconvolti da ciò che noi ora definiremmo violazioni dei diritti umani, e che loro chiamavano “usanze barbare” – sacrifici umani, cannibalismo, donne costrette a legarsi i piedi. Ripetutamente quell’indignazione, reale o simulata, è stata usata per giustificare o coprire i crimini delle potenze occidentali: il commercio degli schiavi, lo sterminio dei popoli indigeni ed il furto sistematico di terre e risorse. Questo atteggiamento di sincera indignazione è continuato fino ad oggi e sta alla base della pretesa che l’occidente ha “il diritto di intervenire” ed “il diritto di proteggere”, chiudendo al tempo stesso gli occhi di fronte a regimi oppressivi considerati “nostri amici”, ad una incessante militarizzazione e continue guerre, ed allo sfruttamento massiccio del lavoro e delle risorse.

L’occidente dovrebbe imparare dalla propria storia. Che cosa significherebbe in concreto?

Bene, innanzitutto, garantire il rigoroso rispetto del diritto internazionale da parte delle potenze occidentali, applicare le risoluzioni delle Nazioni Unite relative ad Israele, smantellare l’impero mondiale statunitense di basi militari, e anche la NATO, interrompere le minacce riguardo all’uso unilaterale della forza, revocare le sanzioni unilaterali, smettere con le interferenze negli affari interni di altri Stati, in particolare le operazioni di “promozione della democrazia”, le rivoluzioni “colorate” e la strumentalizzazione delle politiche delle minoranze. Questo doveroso rispetto per la sovranità nazionale significa che in ogni nazione la vera sovranità sta nelle mani del popolo di quello stato, il cui diritto a sostituire governi ingiusti non può essere usurpato da esterni presumibilmente bendisposti.

I fautori dell’intervento umanitario rivendicano che tale interventismo sia gestito dalla comunità internazionale. Ma ad oggi non c’è nulla che si possa definire una vera comunità internazionale. In realtà, niente può illustrare meglio l’ipocrisia dell’ideologia umanitaria quanto il contrasto tra la reazione occidentale alle richieste d’indipendenza del Kosovo e alla richiesta di autonomia dell’Ucraina dell’est. In entrambi i casi vi è il rifiuto di negoziare, ma in un caso con il totale appoggio all’indipendenza, e nell’altro caso con la totale opposizione all’autonomia.

I promotori dell’intervento umanitario lo presentano come l’inizio di una nuova era; ma nei fatti è la fine di una vecchia era. La più grande trasformazione sociale del ventesimo secolo è stata la decolonizzazione. Continua oggi nella creazione di un mondo veramente democratico e multipolare, in cui il sole sarà tramontato sull’impero USA, proprio come accadde per vecchi imperi europei.

Le opinioni qui espresse sono condivise da milioni di persone in “occidente”. Questo purtroppo non viene riportato nei nostri mezzi di comunicazione. Durante le recenti campagne isteriche anti russe, i nostri media sembrano aver completamente abbandonato lo spirito critico dell’Illuminismo che l’occidente pretende di possedere. L’ideologia dei diritti umani, che ci dipinge come i buoni contro i cattivi, presenta la caratteristica di tutte le fedi religiose, ed è particolarmente intrisa di fanatismo. Non dimentichiamo, tra tutte le critiche del secolarismo che ho ascoltato qui, che nella prima guerra mondiale tutte le parti in causa pretendevano di avere Dio al proprio fianco, benché, per quanto ne so, l’Onnipotente non fosse propenso a farci sapere da che parte stava. Forse era troppo occupato a sistemare in paradiso e in inferno le anime dei soldati morti invocando il suo nome. L’ideologia dei diritti umani ha sostituito le antiche fedi, ma funziona come una religione ed è la base di un nuovo nazionalismo, quello degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.

Alcuni pensano che tutta questa agitazione e bellicismo ideologico siano dovuti a calcoli economici razionali da parte di cinici profittatori. Io penso che questa interpretazione sia troppo ottimista e che ignori, per citare nuovamente Russell, “l’oceano dell’umana follia sul quale la fragile barca della ragione umana naviga precariamente”. Le guerre sono state fatte per ogni tipo di ragioni non economiche, come la religione o la vendetta, o semplicemente per ostentare potere.

Se i cittadini occidentali non riescono a mobilitarsi contro i propri governi e mezzi di comunicazione per fermare l’attuale follia, starà ad altri paesi svolgere questo compito. C’è da sperare che possano riuscirvi senza aggiungere un ulteriore capitolo sanguinoso alla storia che è iniziata con la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese.

JEAN BRICMONT insegna fisica all’Università di Lovanio in Belgio. E’ autore di Humanitarian Imperialism. Per contatti: [email protected]

Fonte: www.counterpunch.org/

Link: http://www.counterpunch.org/2014/12/12/the-easy-lesson-of-world-war-i/

12.12.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTIANA CAVAGNA

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