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DI PEPE ESCOBAR

russia-insider.com

Se Damasco – o i Curdi – si assicurasse l’ultima striscia di confine turco-siriano sarebbe la fine dell’influenza di Ankara in Siria

Chi è il maggior beneficiario della tensione tra Russia e Turchia? Non ci sono dubbi: l’Impero del Caos. Un’Ankara disperata che si ritrova ad essere sempre più dipendente dal sostegno della NATO.

Nella fondamentale arena del Gasdottistan, il Turkish Stream è stato messo in stand-by (ma non cancellato). L’integrazione eurasiatica – l’obiettivo chiave per il 21° secolo per Cina e Russia – è messa a repentaglio.

Nel frattempo, ciò che passa come “strategia” dell’amministrazione Obama è più scivolosa di un’anguilla giapponese. I centri di pensiero negli USA la interpretano come uno “sforzo” di “de-conflittualizzare” il campo di battaglia” anche se come scemo del villaggio della NATO in azione in Siria (assieme a Regno Unito, Francia, Germania e Turchia) dovrebbe spingere per una presunta “offensiva congiunta” contro lo Stato Islamico. “Presunta” perchè l’intera operazione prevede mosse nell’ombra di prima categoria. “De-conflittualizzare” potrebbe infatti significare “ri-conflittualizzare”.

Non c’è da stupirsi che il presidente Putin abbia interpretato l’abbattimento dell’Su-24 da parte del Sultano Erdogan come assolutamente privo di logica. Le ragioni, ovviamente, comprendono i colpi inferti dalle forze aeree russe ai Turkmeni – la quinta colonna turca in Siria – e l’assalto senza sosta da parte dei Russi al petrolio trafugato dalla Siria, riguardo il quale ci sono pesanti collusioni tra eminenti Turchi e l’ISIS.

Diventa ancor meno logico quando facciamo riferimento alla sfera energetica. Ankara dipende al 27% dal petrolio e al 35% dal gas naturale. Lo scorso anno, la Turchia ha acquistato il 55% del gas dalla Russia, il 18% dall’Iran.

A causa degli innumerevoli problemi infrastrutturali, l’Iran semplicemente non può essere un competitor forte della Gazprom per quanto riguarda le forniture di gas naturale alla Turchia – e all’Europa – nel breve periodo. Supponendo che vengano iniziati i lavori, Turkish Stream sarebbe un affarone per la Turchia e per l’Europa centromeridionale.

Mettetemi assieme una coalizione

Il gioco di ombre cinesi attuale – che comprende il dispiegamento di Forze Speciali USA nel nord della Siria – apre alla possibilità che Turchi e Statunitensi si stiano apprestando a lanciare un’offensiva massiccia per espellere Daesh dalla fondamentale area di passaggio di Jarablus. Il pretesto di Erdogan è ampiamente conosciuto: impedire in tutti i modi all’YPG siriano di riunire le tre regioni curde a nord della Siria. In questo corridoio Erdogan vuole impiantare un losco ceppo turkmeno – i suoi scagnozzi – assieme a non meglio specificati “ribelli moderati” sunniti, che mantengano in essere i contatti (e il contrabbando) con la Turchia.

I Curdi siriani, d’altro canto, vogliono arrivaci per primi. Con supporto aereo statunitense, ma anche con quello russo. Questa è una delle poche cose su cui il team Obama e il Cremlino concordano riguardo la Siria – per la somma disperazione del Sultano. La parola d’ordine ad Ankara è che la Turchia è pronta ad intervenire a Jarablus, ma solo con il supporto degli Stati Uniti. Assurdo, considerando che Washington ed Ankara puntano ad un epilogo differente.

Nel frattempo, parlando della Siria a Mosca, il Segretario di Stato John Kerry si è visto costretto ad essere d’accordo, ufficialmente, con il Ministro degli Esteri russo Lavrov che “il popolo siriano”, per mezzo di libere elezioni, deve decidere per proprio conto il futuro di Assad. Per cui perfino l’amministrazione Obama sembra convenire all’impressione che “Assad deve andarsene” potrebbe essere morto e sepolto.

Ma non così in fretta. Le ombre cinesi restano una grossa componente dell’equazione. Dopotutto, la famosa “Lista dei 10 più pericolosi Terroristi” che dovrebbe essere diramata tra tutti gli attori deve essere approvata da… Turchia ed Arabia Saudita, che continuano ad armare ogni tipo di serpente del deserto, non appena questo sibila “Assad deve andarsene”.

In questo covo di serpi aleggia la barzelletta del momento: la coalizione anti-terrorismo guidata da Riyadh, composta da 34 nazioni, “che comprenda tutto il mondo islamico”. Il propugnatore della guerra in Yemen, vice Principe Ereditario e Ministro della Difesa Mohammed bin Salman, ha addirittura sostenuto che questo nuovo racket dovrebbe “fermare il flusso di fondi” ai terroristi. Come se la Casa di Saud decapitasse i propri stessi imam e pii, ricchi “finanziatori”.

Questa “coalizione” costituita all’interno della già esistente, guidata dagli Stati Uniti, incredibilmente inefficace, Coalizione dei Loschi Approfittatori (CDO), è pura propaganda. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti non hanno fatto assolutamente nulla contro l’ISIS da quest’estate. Hanno preferito bombardare allegramente lo Yemen. I loro “eserciti” sono infestati di mercenari. Niente mercenari, niente esercito saudita. Pakistan ed Egitto hanno un esercito, ma sono consumati da problemi interni e non dislocherebbero truppe in “Siraq”, anche dietro proposte di tangenti in petroldollari.

Con questa proposta, spinta dai loro poderosi lobbysti della Edelman, Riyadh pensa di poter distogliere l’attenzione dal suo tentativo di fare a pezzi la Siria.

Spezzare la popolazione siriana, compresi i rifugiati, porterebbe a un 14% di Sciiti Alawiti, un 5% di Cristiani, un 3% di Druzi, un 1% di Sciiti Duodecimani, un 10% di Curdi – la maggioranza di sinistra – e un 40% di Sunniti, molti dei quali di sinistra, per non menzionare le elite collegate con Damasco ed Aleppo, legate al governo da generazioni.

Il pensiero di Riyadh – ed Ankara – è che un mucchietto di Salafiti jihadisti, con qualsivoglia mezzo di convincimento, sarebbero in grado di fare a pezzi un equilibrio così complesso, per non dire di governare una nazione intera, ciò non ha alcun senso.

L’assalto al confine

Ora tutto è imperniato all’attacco al confine. I Curdi siriani tra le loro fila che “I veri Curdi vanno verso Jarablus”. Jarablus è, in parole povere, l’ultimo avamposto turco in Siria (la Russia non ha ancora sterminato la quinta colonna turca composta dai Turkmeni nella Latachia del nord).

Immaginate un corridoio unito di Curdi – che va da Afrin al resto della Rojava. Ciò significherebbe una Turchia tagliata fuori dalla Siria, la fondamentale fine dell’autostrada della jihad, la fine del bieco supporto logistico dei servizi segreti turchi a Daesh – dal cibo al rifugio in Turchia – e la fine del contrabbando di petrolio siriano con Daesh. Per non menzionare l’YPG – alleato col PKK – con in mano il controllo di una provincia semi-autonoma con lo status di proto-stato.

Non confondiamoci: il Sultano tenterà di impedire tutto ciò ad ogni costo. L’ISIS non è mai stato una “minaccia esistenziale” per Ankara. D’altra parte è sempre stato un utile “alleato” indiretto. Ankara continuerà a sostenere il mito che la strada per la sconfitta di Daesh passa per la caduta di Assad.

La Russia ha messo alla luce il bluff. Ma il mucchio di anatre sfigate che compone l’amministrazione Obama è ancora dubbioso: dovremmo usare Erdogan anche se cerca senza sprezzantemente di mettere la NATO contro la Russia? O dovremmo scaricarlo? La risposta dipende completamente da chi vincerà la gara che porta al controllo del confine.

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].

Fonte: http://russia-insider.com/

Link: http://russia-insider.com/en/politics/syria-border-break/ri11960?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=facebook&utm_source=socialnetwork

21.12.2015

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO

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