DI THIERRY MEYSSAN
Réseau Voltaire
Come lo “Stato profondo” sopravvive alle alternanze dei partiti
Sessanta anni di propaganda atlantista ci hanno convinto che gli Stati Uniti sono una grande democrazia. Eppure, nessun osservatore pensa che Ronald Reagan o George W. Bush abbiano esercitato appieno il potere legato alla loro funzione, e allora chi comanda? O ancora, gli osservatori concordano che una volta ricontate le schede elettorali Al Gore aveva vinto le elezioni del 2000, ma allora perché Bush occupa la Casa Bianca? Tante domande alle quali nessun giornalista desidera rispondere. Thierry Meyssan rompe il tabù.
Nel corso degli ultimi sessanta anni, gli Stati Uniti si sono dotati di quello che è stato chiamato “l’apparato di sicurezza di Stato”. E’ stato costituito come uno Stato dentro lo Stato, incaricato di condurre nell’ombra la Guerra Fredda contro l’URSS, poi di occupare lo spazio lasciato vacante dall’Unione Sovietica dopo il suo smantellamento e di condurre la Guerra al terrorismo. Dispone di un governo militare fantasma deputato a rimpiazzare il governo civile se dovesse accadere che questo ultimo venisse decapitato da un attacco nucleare.Il presidente Eisenhower ha dichiarato nel suo celebre discorso di addio (17 gennaio 1961): “Nel consiglio di governo dobbiamo stare attenti all’acquisizione di una influenza illegittima, voluta o meno, da parte del complesso militar-industriale. Il rischio di uno sviluppo disastroso di un potere usurpato esiste e continuerà. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa unione minacci le nostre libertà o il processo della democrazia.”
Ma questo avvertimento sarebbe stato insufficiente. La logica dell’”apparato di sicurezza dello Stato” ha progressivamente sommerso quella delle istituzioni civili che avrebbe dovuto proteggere. Il complesso militar-industriale ha usato il suo potere per modellare a suo vantaggio le istituzioni civili invece di servirle. In definitiva, la lobby della guerra ha falsato il processo elettorale ed è arrivata, ad ogni elezione presidenziale, a scegliere l’uomo che avrebbe occupato la Casa Bianca.
Senza eccezioni, da sessanta anni, il presidente è il candidato che più si è impegnato a realizzare le esigenze dell’”apparato di sicurezza dello Stato”, e che ha ottenuto il massiccio finanziamento delle imprese appaltatrici del Pentagono. Beninteso, una volta installato nello Studio Ovale, l’eletto cerca sempre di affrancarsi dai suoi padrini e di avvicinarsi ai reali interessi del suo popolo. Tocca a lui scoprire di quali margini di manovra dispone, a rischio di perdere la sua investitura e di essere eliminato, politicamente, se non addirittura fisicamente. Del resto, il rischio di un presidente che si affranchi dallo “Stato profondo” e si mantenga tuttavia al potere, è limitato dal divieto, stabilito nella stessa epoca, di ambire a candidarsi per più di due mandati consecutivi.
In queste condizioni – come possiamo vedere – l’alternanza tra democratici e repubblicani non è per i cittadini statunitensi un mezzo per cambiare politica, ma un mezzo per “l’apparato di sicurezza dello Stato” di perseguire la stessa politica al di là dell’impopolarità di un presidente logorato. E’ l’applicazione del principio che Giuseppe Tomasi di Lampedusa attribuisce al Gattopardo: “Bisogna che tutto cambi perché niente cambi e che noi si resti i padroni”.
Occasionalmente lo “Stato profondo” riaffiora e lascia intravedere la sua forza. Capita a volte nel periodo di transizione tra due presidenti: una semi-vacanza del potere quando il presidente uscente amministra gli affari correnti e il presidente eletto si prepara a governare.
Nel XVIII secolo, questo periodo di transizione di 11 settimane si giustificava con il tempo necessario a stabilire i risultati [elettorali] e a costituire una squadra adeguata rispetto all’immensità del paese e alla lentezza dei mezzi di comunicazione. La prima volta si svolse nel 1797 quando John Adams succedette a George Washington. Per un secolo e mezzo, questo periodo non è stato regolato da alcuna procedura perché i due presidenti (uscente e entrante) non avevano alcun motivo per collaborare l’un l’altro. E’ del tutto diverso adesso, quando questo periodo è messo a frutto dall’”apparato di sicurezza dello Stato” per presentare al nuovo inquilino della Casa Bianca quello che deve sapere dello “Stato profondo”.
Per comprendere il sistema, torniamo alla storia di queste transizioni.
La Guerra fredda mette la democrazia tra parentesi
Harry Truman (1945-1953) modificò profondamente la natura dello Stato federale creando al suo interno “l’apparato di sicurezza dello Stato” composto dal trittico: Consiglio dei Capi di Stato Maggiore (JCS), Central Intelligence Agency (CIA) e Consiglio Nazionale per la Sicurezza (NSC). Questi opachi organismi dispongono di poteri esorbitanti, come ne esistono in tempo di guerra. Perché la loro missione era precisamente di prolungare la mobilitazione della Seconda Guerra mondiale, senza però mantenere la società civile sotto pressione, per condurre una nuova forma di guerra contro l’Unione Sovietica, la Guerra fredda.
Per “contenere” l’influenza sovietica, Truman organizza il ponte aereo verso Berlino, costituisce l’Alleanza Atlantica (NATO) e dichiara guerra alla Corea. Inoltre, estende lo “Stato profondo” USA all’interno degli Stati alleati, attraverso la creazione di reti stay-behind e la loro integrazione in seno alla CIA [1].
“L’apparato di sicurezza dello Stato” considerò che il migliore successore di Truman sarebbe stato il generale Dwight Eisenhower. Era stato il comandante supremo delle forze alleate in Europa durante la Seconda Guerra mondiale, poi della NATO. Era l’uomo adatto per proseguire la guerra di Corea fino alla vittoria. L’opinione pubblica lo adorava e lo considerava un eroe, anche se non aveva mai combattuto personalmente, né si era mai nemmeno avvicinato al fronte.
Eisenhower non era un uomo politico e, non avendo una precisa appartenenza politica, ogni partito cercava di attirarlo verso di sé. Truman lo sollecitò invano in favore dei democratici, alla fine Eisenhower aspirò all’investitura repubblicana. Concluse un accordo con questo partito secondo il quale gli sarebbero state lasciate le mani libere per condurre una politica estera anti-sovietica e “mettercela tutta” in Corea fino alla vittoria. Come contropartita, Eisenhower s’impegnò a condurre una politica conservatrice negli affari interni e in economia. Scelse come compagno di lista Richard Nixon (la cui figlia avrebbe presto sposato suo nipote); un personaggio che si era messo in luce animando la “caccia alle streghe” contro i comunisti.
Dopo che Eisenhower fu eletto, Truman prese contatto con lui per presentargli il dispositivo della sicurezza nazionale la cui esistenza era pubblica, ma il funzionamento segreto.
Eisenhower elaborò la dottrina di difesa che porta il suo nome secondo cui gli Stati Uniti non esiteranno a ricorrere alla forza, ovunque nel mondo, dove l’influenza comunista dovesse minacciare gli interessi occidentali. Inoltre, egli aggiunse al sistema di sicurezza nazionale il principio di continuità del governo. Designò, con un decreto segreto, un governo alternativo, costituito al contempo da militari e da imprenditori scelti tra i suoi amici, incaricato di prendere le redini in caso di annientamento delle istituzioni a causa di un attacco nucleare sovietico. Così, accanto al processo costituzionale relativo alla vacanza del potere, esiste fin dagli anni ’50 una seconda procedura – questa volta militare-amministrativa – che può essere posta in atto in caso di apocalisse nucleare. Nel primo caso, il presidente è sostituito dal vice.presidente, poi se necessario dal presidente pro-tempore del Senato, poi da quello della Camera dei rappresentanti. Nel secondo caso, gli eletti sono corto-circuitati da un governo fantasma – la cui composizione è segreta – che sorge improvvisamente dall’ombra senza disporre di alcuna legittimità elettorale.
Tuttavia, “l’apparato di sicurezza dello Stato” rimproverò Eisenhower di non fare abbastanza, soprattutto in materia di missili, e rifiutò di sostenere il vice-presidente Nixon come successore. Preoccupato per le conseguenze sulla democrazia dal crescente potere del complesso militar-industriale, Eisenhower mise in guardia i suoi concittadini nel suo discorso di addio citato in precedenza. La lobby della guerra volse allora il suo sguardo verso il partito democratico.
E’ cosi che John F. Kennedy ottenne il sostegno dell’industria degli armamenti. Per compiacerli, egli centrò la sua campagna elettorale su un presunto vantaggio che i Sovietici avrebbero acquisito in materia di missili e sulla necessità di colmare questo divario (“gap missilistico”). Inoltre, designò come compagno di lista il bellicoso leader del gruppo parlamentare democratico, Lyndon B. Johnson. In diretto collegamento con il complesso militar-industriale, Kennedy nel corso della campagna elettorale prese l’iniziativa di creare dei gruppi di lavoro per fare un bilancio della situazione e preparare le sue prime decisioni nel caso in cui fosse stato eletto. Piazzò i suoi due principali rivali alla nomination democratica alla testa dei due più importanti gruppi di lavoro, neutralizzando così anche il loro risentimento e beneficiando della loro esperienza. Creò fino a 29 gruppi tematici. Tutti i membri erano volontari. Una volta eletto, Kennedy designò l’avvocato Clark Clifford per coordinare il passaggio dei poteri con Eisenhower, poi nominò almeno un membro di ogni gruppo di lavoro nel suo gabinetto. Clifford non era stato scelto per le sue qualità di avvocato e di negoziatore, ma in quanto era un falco e un rappresentante dello “Stato profondo”. Aveva partecipato a fianco a Truman alla creazione dell’”apparato di sicurezza dello Stato” ed era stato nominato da Eisenhower come ministro ombra del governo militare alternativo.
Più tardi Kennedy fece adottare il Presidential Transition Act per permettere ai successivi presidenti di seguire le sue orme beneficiando di un finanziamento federale per pagare i loro gruppi di lavoro.
Kennedy sfidò l’URSS davanti al muro di Berlino, spiegò i missili in Turchia e riuscì a dissuadere i sovietici a replicare installando i loro a Cuba. Soprattutto, lanciò i grandi programmi spaziali. Ma non tardò a rivedere al ribasso i suoi impegni. Certo, autorizzò l’invasione di Cuba, ma per ravvedersi dopo il fiasco della Baia dei Porci. Certo, mise il dito nell’ingranaggio vietnamita, ma cercò subito come impostare un ritiro. Contando sulla legittimità che gli veniva da un vasto sostegno popolare, entrò in conflitto con il suo stato-maggiore e ordinò delle inchieste sulle attività politiche di alcuni generali. In definitiva, fu assassinato a vantaggio del vice-presidente Lyndon B. Johnson – la cui cerimonia di giuramento era stata preparata proprio poco prima che Kennedy venisse ucciso – che approvò senza indugio l’escalation in Vietnam, prendendo peraltro ancora Clark Clifford come Segretario alla Difesa per realizzare questo sporco lavoro.
L’impopolarità di Johnson rendeva impossibile la sua rielezione, per cui rinunciò a ripresentarsi. Poiché il partito democratico era in mano ai pacifisti ribellatisi agli orrori del Vietnam, i falchi avevano bisogno di un’alternanza partitica per mantenersi al potere e perseguire la loro politica. La scelta cadde logicamente sull’ex vice-presidente Richard Nixon, un opportunista che conosceva già tutti i segreti.
Quando i due principali candidati ebbero ricevuta l’investitura dai rispettivi partiti, Johnson li convocò per convenire con loro i dettagli della transizione. Si trattava di una messa in scena puramente formale, ma permise al democratico Johnson di prendere contatto pubblicamente con il candidato repubblicano ancora prima che venisse eletto.
Approfittando del Presidential Transition Act, il repubblicano Nixon seguì le orme del democratico Kennedy creando 30 gruppi di lavoro per definire la sua futura politica in collegamento con lo “Stato profondo”.
Nixon condusse una politica di distensione verso l’URSS e negoziò gli accordi per la limitazione della corsa agli armamenti rispettando gli interessi del complesso militar-industriale, sarebbe a dire eliminando alcune armi a favore di altre più sofisticate. Su iniziativa del suo consigliere Henry Kissinger, strinse una sorprendente alleanza con la Cina comunista per isolare Mosca. Tuttavia, rinunciò a vincere in Vietnam e “l’apparato di sicurezza dello Stato” gliela fece pagare organizzando una procedura di destituzione in occasione dello scandalo del Watergate. Il n. 2 dell’FBI in persona, Mark Felt (alias “Gola profonda”) diffuse per mesi informazioni devastanti al Washington Post.
Costretto, Nixon preparò in segreto le sue dimissioni e non avvertì che all’antivigilia il vice-presidente Gerald Ford. I due uomini conclusero un accordo: Ford avrebbe occupato lo Studio Ovale in cambio della grazia e della fine di ogni azione giudiziaria. Ford accettò. Aveva già sentito cambiare il vento e aveva radunato attorno a sé una piccola squadra, ma questa fu istantaneamente dissolta. Un importante membro dell’”apparato di sicurezza dello Stato”, l’ambasciatore degli Stati Uniti in seno alla NATO, Donald Rumsfeld (avversario di Kissinger), fu richiamato d’urgenza per assicurare la transizione. Aiutò a costituire una nuova squadra dosando vecchi collaboratori di Nixon e uomini nuovi. La cosa era più complicata di quanto sembrasse perché si trattava di sanzionare la politica perdente del Vietnam incarnata da Kissinger, mantenendo tuttavia l’influenza dell’industria degli armamenti incarnata dallo stesso Kissinger (che era stato il segretario generale dell’American Security Council, all’epoca il principale organizzatore del complesso militar-industriale). Ford designò Nelson Rockfeller come nuovo vice-presidente. Non si trattava solo dell’erede della più importante dinastia industriale del paese, ma anche il vecchio padrone delle operazioni segrete dell’”apparato di sicurezza dello Stato” sotto Eisenhower. Rapidamente Ford si rese conto che gli antichi collaboratori di Nixon portavano con sé l’immagine del Watergate e chiese a Rumsfeld di concludere il suo lavoro. Questi divenne quindi il segretario generale della Casa Bianca. Ringraziò brutalmente gli ultimi nixoniani, eccettuato Kissinger, e fece nominare George H. Bush capo della CIA. Con l’aiuto di questo ultimo, Rumsfeld mise in piedi una commissione di valutazione della minaccia sovietica (“la squadra B”) che non mancò di gridare “al lupo” e di rilanciare la corsa agli armamenti.
L’immagine di Ford era disastrosa. L’opinione pubblica vedeva in lui un intrallazzatore che aveva graziato Nixon per succedergli, mentre “l’apparato di sicurezza dello Stato” voleva cancellare l’umiliante immagine della caduta di Saigon alla quale [Ford] era associato (anche se non era che la conseguenza della pace voluta da Nixon). Ford non disponeva di sufficiente legittimità per prendere iniziative più ampie. “Lo Stato profondo” aveva quindi bisogno di un nuovo presidente democratico. Questi fu Jimmy Carter, un protetto di David Rockfeller (il fratello del vice-presidente Nelson Rockfeller), capace nel contempo di girare pagina sui crimini precedenti e di tenere testa all’URSS.
Carter scelse come consigliere alla sicurezza nazionale Zbignew Brzezinski [2], il segretario generale della Commissione Trilaterale, il think tank dei Rockfeller. Aveva teorizzato una versione moderna del “contenimento” dell’Unione Sovietica, ridando anche vigore alla dottrina dell’”apparato di sicurezza dello Stato”. Su questa base, diminuì l’influenza sull’America del Sud (rinegoziazione dello statuto del canale di Panama e fine delle dittature militari) e la spostò verso l’Asia centrale (guerra d’Afghanistan contro i sovietici). E’ in questa occasione che ingaggiò Osama Bin Laden e sviluppò il sostegno USA alle organizzazioni estremiste sunnite anticomuniste.
Sfortunatamente la credibilità degli Stati Uniti fu subito incrinata dall’affare degli ostaggi all’ambasciata di Teheran. Soprattutto, dopo le rivelazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, il battista Carter si mise in testa di moralizzare la CIA sulla scia della pulizia seguita al Watergate. Minacciato da questa pretesa, “l’apparato di sicurezza dello Stato” organizzò una campagna mediatica contro di lui, accusandolo di essere affetto da “sindrome vietnamita”. Poi, si mise a cercare un repubblicano con cui sostituirlo. In definitiva, lo “Stato profondo” organizzò il ticket Reagan-Bush (questo ultimo ancora a capo della CIA). Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il vice-presidente era l’uomo forte mentre il presidente non era che un attore di Hollywood che recitava un ruolo d’immagine [3].
Reagan e Bush designarono un triumvirato per organizzare la transizione: Ed Meese doveva preparare le nomine e il programma, l’avvocato William Casey si occupava delle relazioni con “l’apparato di sicurezza dello Stato”, mentre il brillante James Baker faceva un po’ di tutto. In realtà, Casey era stato il funzionario incaricato di Reagan quando, anni prima a Hollywood, era diventato il padrino del Comitato internazionale dei rifugiati (International Refugee Committee), una vetrina anticomunista della CIA. E, appena possibile, Reagan nominò Casey direttore dell’Agenzia.
Sopraggiunse presto il triste episodio del tentativo di assassinio contro Ronald Reagan ad opera di un amico dei Bush. L’attentato fallì, ma Reagan capì il messaggio e lasciò i problemi della difesa interamente nelle mani del suo vice-presidente.
E’ durante questo periodo che fu sviluppata la procedura di continuità del governo. Il governo militare di sostituzione, creato da Eisenhower, fino a quel momento si limitava a delle indicazioni. Si decise di dargli corpo. Fu costituita una squadra permanente e costruiti o ristrutturati giganteschi bunkers per metterla al riparo insieme ai dirigenti sopravvissuti: Cheyenne Mountain, Raven Rock (detto “sito R”) e Mount Weather. Reagan installò un sistema di sorveglianza del governo civile in maniera da poter seguire in tempo reale tutti gli affari in corso e proseguire l’azione di governo senza un minuto di interruzione in caso di apocalisse nucleare. Due volte all’anno, furono organizzate esercitazioni di simulazione della continuità di governo.
In tutta fiducia, “l’apparato di sicurezza dello Stato” sostenne il vice-presidente Bush nella successione a Reagan. Il collegamento tra lo “Stato profondo” e la squadra della campagna [elettorale] fu assicurata da un membro del Consiglio nazionale di sicurezza, il generale Colin Powell.
Nel 1989-91, i “guerrieri freddi” assistettero alla caduta dell’Unione Sovietica, che avevano sempre desiderato ma che li lasciò spiazzati. “L’apparato di sicurezza dello Stato” aveva compiuto la sua missione. Per 45 anni, uomini sinceri avevano creduto di difendere il loro paese manipolando le istituzioni e mettendo tra parentesi la democrazia. Come aveva previsto Dwight Eisenhower, alcuni avevano troppo assaporato il potere per accettare di allontanarsene. Privato della sua ragion d’essere, lo “Stato profondo” restava in piedi. Ma a quale prezzo?
In mancanza di nemici, “l’apparato di sicurezza dello Stato” entra in guerra con se stesso.
George H. Bush Sr. ebbe il pesante compito di definire gli obiettivi degli Stati Uniti nel mondo post sovietico. Non senza esitazioni, egli immaginò la costruzione di un “nuovo ordine mondiale” favorevole ad una dominazione economica globale degli Stati Uniti. Ordinò una riduzione nelle dimensioni dell’esercito e studiò la possibilità di una riconversione dell’”apparato di sicurezza dello Stato” per lottare contro l’emergenza di nuovi competitori. Davanti a questa minaccia esistenziale, lo “Stato profondo” suscitò un’alternanza tra i partiti.
I giornalisti trotskisti che la CIA aveva un tempo reclutato per lottare all’interno della sinistra contro l’influenza sovietica erano passati al partito repubblicano sotto il nome di “neo-conservatori”. Erano diventati i propagandisti della lobby della guerra. Come banderuole che girano al vento, si rivoltarono contro Bush Sr. rimproverandogli di non aver approfittato della fine dell’URSS per rovesciare Saddam Hussein alla fine della Tempesta sul Deserto e esortando a votare l’unico candidato capace di compiere la guerra ventura in Jugoslavia, Bill Clinton.
Perfettamente cosciente dell’occasione che gli si offriva, il governatore Clinton fece la sua campagna sulle nuove minacce e sulla necessità di fare i gendarmi in Jugoslavia. Propose anche di modernizzare l’esercito adattandone la gestione alle evoluzioni sociali, il che significava tra l’altro l’apertura alle donne e agli omosessuali. Bush Sr., che era il presidente degli Stati Uniti più popolare del XX secolo (90% di consensi!) sottostimò la capacità dei “guerrieri freddi” di scalzarlo. Per privarlo di una parte dei suoi voti, essi finanziarono la candidatura indipendente di Ross Perot, un miliardario che era servito da copertura per una operazione di salvataggio delle Forze speciali in Iran. Bush Sr. fu battuto.
Bill Clinton si oppose a togliere l’embargo contro l’Iraq dopo che Saddam Hussein si fu conformato alle risoluzioni ONU, affamando così la popolazione e provocando almeno 500.000 morti. Tuttavia, frenò il riarmo (particolarmente bloccando il progetto dello scudo spaziale) e si rifiutò di lanciare l’operazione in Jugoslavia in vista della quale “l’apparato di sicurezza dello Stato” l’aveva sostenuto. Peggio, nel 1995, in occasione di un’esercitazione, scoprì la composizione del governo ombra che “l’apparato di sicurezza dello Stato” aveva costituito per rimpiazzarlo. Era diretto dall’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld e comprendeva alcuni suoi collaboratori come il capo della CIA, James Woolsey. Per essere pronti al cambio di consegne, queste persone spiavano in continuazione il governo civile di cui intercettavano tutte le comunicazioni e tutti i documenti. Considerando che questo dispositivo della Guerra fredda era obsoleto, Clinton – che rifiutò di essere un presidente usa e getta – ordinò lo scioglimento della struttura. Mal gliene incolse.
Il conflitto apertosi a quell’epoca ha cominciato a rodere gli Stati Uniti dall’interno, con alcuni responsabili dello “Stato profondo” trascinati dall’ebbrezza del potere mentre altri cercavano di arrestare questa deriva infernale. Questa lacerazione spinge inesorabilmente gli Stati Uniti verso la disintegrazione o la dittatura.
Passato in totale clandestinità, in parte replicato in Israele, lo “Stato profondo” USA ordì un complotto contro Bill Clinton. Intrappolato nel 1995 in una scandalo sessuale da una stagista israeliana alla Casa Bianca, Monica Lewinsky, fu sottoposto a una procedura di impeachement nel 1998-99. Ma, a differenza di Nixon che non aveva margini di manovra, Clinton fece marcia indietro. Quando la Camera dei rappresentanti si accingeva a votare la sua destituzione, ristabilì il governo ombra e fu salvato dal Senato. Poi, ordinò il bombardamento della Serbia per opera della NATO.
Comunque sia, dopo questo braccio di ferro, per “l’apparato di sicurezza dello Stato” non era il caso di accettare che il vice-presidente Albert Gore succedesse a Clinton. Ma il sistema così ben rodato della continuità politica si inceppò. Il candidato dell’”apparato di sicurezza dello Stato”, il repubblicano John McCain, perse una primaria decisiva, passando la mano a una personalità poco credibile, George W. Bush Jr. Nella più grande precipitazione, fu fatto di tutto per inquadrare questo candidato inaspettato. Formò un ticket con Dick Cheney, il gran sacerdote del partito repubblicano e uno degli uomini dello “Stato profondo”. Gli fu dispensata una formazione accelerata da parte di un gruppo di specialisti, i Vulcaniani (dal nome del dio che forgia le armi dell’Olimpo), guidato dall’inossidabile Henry Kissinger e dalla sovietologa Condoleeza Rice. Fu raccolto un mare di dollari per la campagna elettorale. Inutilmente. Bush Jr. fu battuto dal Al Gore. Lo “Stato profondo” fu allora costretto a truccare il risultato dello scrutinio in maniera visibile e poco gloriosa e, non essendo riuscito a farlo eleggere, fece nominare il nuovo presidente dalla Corte Suprema.
La transizione Clinton-Bush Jr. fu una lunga crisi. Durante la contestazione dei risultati, i fondi destinati ai gruppi di lavoro, di cui al Presidential Transition Act, furono congelati e gli immensi locali previsti per accoglierli furono chiusi. L’amministrazione Clinton dovette prendere misure di sicurezza eccezionali per proteggere il vice-presidente Gore. In definitiva, questo ultimo gettò la spugna dopo aver ricevuto serie minacce contro la sua famiglia. Il ticket Bush Jr.-Cheney arrivò alla Casa Bianca. Come all’epoca del ticket Reagan-Bush Sr., il vero potere toccava al vice-presidente. Uscito un’altra volta dall’ombra, Donald Rumsfeld fu nominato segretario alla Difesa mentre Colin Powell prendeva la segreteria di Stato e Condoleeza Rice il Consiglio nazionale di sicurezza. Qualche mese dopo, “l’apparato di sicurezza dello Stato” organizzava gli spettacolari attentati di New York e Washington, rilanciando così il militarismo statunitense, questa volta contro un avversario immaginario: il terrorismo
islamico.
Lungi dal render eterno il sistema, le forzature successive del complotto Lewinsky del 1995-99, delle elezioni truccate del 2000 e degli attentati del 2001, hanno accelerato la sua disintegrazione interna post Guerra fredda. L’inadeguatezza delle truppe USA alla colonizzazione dell’Iraq e dell’Afghanistan ha portato a una catastrofe paragonabile a quella del Vietnam. Il progetto del vice-presidente Cheney di prendere l’Iran come preda successiva ha suscitato l’ammutinamento di una parte dello stato-maggiore, preoccupato di questa sovraesposizione [4]. Per la prima volta, “l’apparato di sicurezza dello Stato” è diviso, in guerra contro se stesso. Per succedere a George Bush, le due fazioni hanno ciascuna il proprio candidato. E non si capisce molto bene come i Clinton possano sperare di approfittare di questa divisione per prendere la loro rivincita e spingere Hillary fino allo Studio Ovale. Gli ammutinati sostengono Barak Obama con il progetto di un parziale ritiro dall’Iraq in accordo con l’Iran e dell’attacco al Pakistan; mentre il clan di Cheney sostiene John McCain nella speranza di prolungare l’invasione dell’Iraq e di continuare con il rimodellamento del Medio Oriente.
Nessuno di questi due candidati ha un progetto per riconciliare le opposte fazioni in seno all’”apparato di sicurezza dello Stato”. Per questo, chiunque sia il nuovo inquilino della Casa Bianca, non potrà arrestare l’implosione del sistema.
Si può deplorare lo sviluppo dell’”apparato di sicurezza dello Stato”, ma bisogna riconoscere che rispondeva ad una logica. Si può capire come la democrazia sia stata messa tra parentesi durante la Seconda Guerra mondiale e il suo prolungamento, la Guerra fredda, ma non esiste alcuna giustificazione alla situazione attuale. In definitiva, le contraddizioni interne del sistema hanno raggiunto il parossismo quando i cantori dell’”apparato di sicurezza dello Stato” hanno avuto la pretesa di democratizzare il mondo con le armi.
Thierry Meyssan. Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire
[1] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains » [Stay-behind : le reti di ingerenza americane], di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 agosto 2001. Vedere soprattutto il testo di riferimento: NATO’s Secret Army : Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, del professor Daniele Ganser. Versione francese Les Armées Secrètes de l’OTAN, Edizioni Demi-Lune, 2007. Disponibile per corrispondenza attraveso la Libreria del Réseau Voltaire. Intervista di Silvia Cattori con l’autore : « Le terrorisme non revendiqué de l’OTAN » [Il terrorismo non rivendicato della NATO], Réseau Voltaire, 29 settembre 2006.
[2] « La stratégie anti-russe de Zbigniew Brzezinski » [La strategia anti-russa di Zbigniew Brzezinski] , di Arthur Lepic, Réseau Voltaire, 22 ottobre 2004.
[3] « Ronald Reagan contre l’Empire du Mal » [Ronald Reagan contro l’Impero del Male], Réseau Voltaire, 7 giugno 2004.
[4] « Washington décrète un an de trêve globale » [Washington decreta un anno di tregua globale], di Thierry Meyssan, 3 dicembre 2007.
Titolo originale: “La continuité du pouvoir US, derrière la Maison-Blanche”
Fonte: http://www.voltairenet.org/
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24.02.2008
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS