LA CASTA DEI PUPI E LE BANCHE DEI PUPARI

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DI MARCO DELLA LUNA
Il consapevole

A buon merito, il libro La Casta di Stella e Rizzo (Rizzoli, 2007) sta dilagando. È una preziosa raccolta di esempi di una verità generale: i politici sono, complessivamente, mestieranti impegnati a farsi i propri interessi in associazione tra loro e a spese della collettività. Spese, naturalmente, sempre crescenti, quale che sia la congiuntura economica. Una variabile indipendente, insomma, per dirla con linguaggio sindacalista. O, per dirla col detto attribuito a Ricucci: «È facile fare il frocio col ‘posteriore’ degli altri». E poiché i soldi di questi “altri”, ossia dei contribuenti, servono per pagare lussi e lussurie, traffici e furti di quella Casta serenamente criminale, gli aumenti delle tasse recentemente imposti appaiono agli “altri” non meno umilianti e abusivi del pizzo imposto da mafia o camorra. Non si capisce più quale dovrebbe essere la differenza, soprattutto moralmente, per quanto ipocritamente severe e moraliste siano le facce che la Casta ci mette davanti quando pretende più tasse dai cittadini.

Infatti, dalle documentate pagine del libro, la classe politico-amministrativa risulta essere una classe parassitaria, che riesce a perpetuarsi sia perché è sorretta da una sua interna solidarietà/complicità trasversale, bipartisan, consociativa; sia perché le segreterie dei partiti gestiscono i partiti dall’alto, senza alcuna democrazia interna (specie grazie alla recente legge elettorale nota come “riforma porcata”), decidendo autocraticamente chi può essere eletto, in barba al principio secondo cui, in democrazia, dovrebbe essere il popolo a scegliere i propri rappresentanti; sia perché la magistratura non è, e non è mai stata, troppo libera ed efficace nel perseguire il sistema delle mille illegalità, che le concede, del resto, notevoli privilegi. Di fatto, né gli strumenti elettorali né quelli giudiziari sono in grado di liberarci dalla Casta, ed essa non se ne andrà mai di sua volontà, ovviamente. Come diceva giorni fa Montezemolo, citando un proverbio inglese, nessun tacchino affretterebbe il Natale.Nel complesso, parlamentari e pubblici amministratori appaiono, tra le pagine del libro di Stella e Rizzo, in una precisa luce: il sistema li copre di privilegi (tra cui la facoltà di aumentarsi gli stipendi quando e quanto vogliono) proprio allo scopo di farne una categoria a parte rispetto alla gente comune, per fare in modo che non rappresentino e non tutelino gli interessi della nazione che dovrebbero rappresentare e tutelare. Che non condividano i suoi problemi. Che per loro sia sempre cuccagna. Così hanno formato la Casta: una corporazione di diverse migliaia di privilegiati, la quale, anziché rappresentare il popolo sovrano, si contrappone ad esso, costituendo il suo parassita e sfruttatore. E la Casta nasconde questa realtà mettendo in scena finte lotte e contrapposizioni ideologiche: destra, sinistra, centro; laicisti e papisti; eurofissati ed euroscettici. Il teatrino della politica, appunto. Dove l’alternanza democratica è solo un’illusione.

Solo ladri e mariuoli?

Sì, ma la domanda è: chi è, a coprirli di tali privilegi? Chi guadagna dal fatto che i rappresentati del popolo se ne freghino del popolo – anzi, che freghino il popolo? Chi è il beneficiario di questa sgangherata e ingiusta Repubblica delle Banane? Perché la Casta descritta da Stella e Rizzo è tutto, fuorché un Direttorio illuminato e organizzato che abbia in mano la gestione strategica del paese; e i bottini che raccoglie dalle casse pubbliche sono, dopo tutto, poca cosa rispetto alla dimensione dell’economia nazionale – qualche miliardo di Euro, contro un pil intorno ai 1.400 miliardi. I membri della Casta saranno furbi, ma complessivamente non paiono intelligenti, né competenti, né coordinati tra loro, se non per il limitato fine parassitario. Quindi dov’è la mente, la regia?

Questa domanda è il limite del libro. È il suo limite, nel senso che il libro non se la pone proprio. Il libro si profonde in un’ampia carrellata di casi e di aneddoti sul malaffare politico corrente e secondario, ma non va oltre, non va alla struttura. Né agli scopi. Né ai veri beneficiari. Ai beneficiari dei grandi flussi di ricchezza, dei grandi trasferimenti di mercati, delle grandi costituzioni di monopoli e rendite.

Il libro lascia (volutamente?) l’impressione (quasi un retrogusto) di una classe dirigente arraffona, composta di mariuoli e guappi, organizzati in bande o grappolate politiche e affaristiche, privi di una visione di insieme e di un coordinamento strategico orientato a qualche scopo generale. Simpatiche canaglie, sovente spiritose o involontariamente esilaranti nella loro inesauribile fantasia di truffatori, improvvisatori, imbonitori. Archetipi ben compatibili con la mentalità italiana dominante, dopotutto. Non spaventosi, non crudeli. Gli Autori non accennano mai – attenzione – al fatto che i parassiti possono uccidere per difendere i loro privilegi. Non accennano alle violenze, al sangue, alle ingiuste carcerazioni, alle sopraffazioni, agli ammazzamenti di loro colleghi giornalisti e di magistrati coraggiosi. E non fanno parola dell’impoverimento profondo, del declino, del crollo nella competizione globale cui questa politica condanna la nazione, della sofferenza che ciò arreca a milioni di persone, del gramo futuro che si prepara ai giovani questo Paese, ultimo in Europa per produttività e ricerca, e primo per tasse e invecchiamento.

Il costo della politica, per Stella e Rizzo, è un costo in soldi, non in vite umana, non in arretratezza e sconfitta dell’Italia. Le cose dure, l’affarismo assassino (vedi Vajont, Stava, Icmesa, Petrolchimico di Mestre – o l’incontenibile proliferazione di tumori maligni dovuta a note industrie chimiche di cui percepiamo l’odore mentre scriviamo queste righe), che metterebbero questa Casta in una luce diversa, fosca, minacciosa, mai intorbidano, anzi manco lambiscono, le pagine del libro. È un buon libro informativo, ma nato per restar leggero, superficiale. E, pertanto, un libro alquanto sviante rispetto alla realtà.

In cabina di regia

Ma soprattutto, come dicevo, il libro non si chiede se vi sia un livello superiore al piccolo cabotaggio, al taccheggio dei parlamentari, alla Casta dei furbetti. Un livello che ha organizzato le cose così, strategicamente, e con fini precisi. Che dirotta le decine, le centinaia di euromiliardi. E invece sappiamo che questo livello esiste. I grandi affari e soprusi, non soltanto le piccole ruberie di deputati, senatori e compagnia bella, sono ampiamente, se non completamente, noti all’opinione pubblica. Vi consiglio un libro simile a La Casta, ma non “leggero”: Corruzione ad alta velocità, del giudice Imposimato. Non vi lascerà con l’impressione di un’Italia gestita da un’allegra brigata di furbetti improvvisatori e dopotutto quasi simpatici. Vedrete lo Stato stesso stringere affari miliardari con la mafia e la camorra. E, proprio da questi affari, nascere brillanti carriere di governanti destinati al potere.

Il libro di Stella e Rizzo svia l’attenzione dal problema reale – in un certo modo, lo mimetizza. Ho ascoltato chi sostiene che sia proprio questo il suo scopo e la causa del suo straordinario successo. Difficile accertarlo. Ma, al di là dell’intento degli Autori, oggettivamente, esso induce a pensare che l’eccesso di spesa pubblica, l’inefficienza del sistema-paese, l’eccessivo costo della politica e l’eccessiva sua immoralità, siano dovuti ai traffici e all’iniquità di quei ladruncoli di parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, comunali, governatori, direttori ministeriali. Suggerisce quindi che il problema della cosa pubblica si incarni in questi soggetti. Ne fa il capro espiatorio di turno. La presente marea di antipolitica può allora sfogarsi, appagandosi, su di loro, senza disturbare i pupari. Si taglino perciò le loro rendite, si sopprima un poco di enti inutili e di comunità montane, si sforbici tra i privilegi, e la marea di sentimento antipolitico sarà domata, ammansita, ammaestrata. E i grandi disegni potranno continuare indisturbati. Anzi, legittimati dall’azione moralizzatrice, sfogata sulla testa dei vecchi pupi di cui ora i pupari non hanno più bisogno, come già avvenne con Tangentopoli.

I pupari e la riforma dello Statuto della Banca d’Italia

Potranno continuare, ma verso quali mete? Alcune recenti riforme di economia politica e monetaria, passate abbastanza sotto silenzio o sotto equivoco, lo indicano chiaramente: si sta costituendo uno stato di polizia e sorveglianza bancaria, a libertà e privacy sostanzialmente limitate, in cui la finanza privata straniera, presente direttamente nel governo e in Banca d’Italia, assume la direzione e la proprietà delle risorse del Paese dietro la facciata delle istituzioni, e procede a una ristrutturazione della società e dell’economia, colpendo le categorie più scomode e critiche e gestendo opportunamente l’informazione.

Prendete la riforma dell’art. 3 dello Statuto della Banca d’Italia, fatta con un decreto a firma Napolitano del 16 Dicembre 2006. Con questo decreto, si è accolta la richiesta dei banchieri privati – avanzata già il 31 Maggio 2006 dal Governatore Draghi – di legalizzare una situazione illegale che si perpetuava da decenni, ossia la proprietà privata della Banca d’Italia, una banca che si prende decine di euromiliardi l’anno dallo Stato in cambio del servizio tipografico di stampa delle banconote (il cosiddetto signoraggio monetario, cui abbiamo dedicato il libro Euroschiavi). Miliardi che vanno ai soci privati della Banca d’Italia, anche se le norme contabili applicate (I.A.S.) non consentano di esporli in bilancio. E che si potrebbero risparmiare, così da ridurre drasticamente le tasse e risolvere il nodo delle pensioni.

La precedente versione dell’art. 3 stabiliva che la proprietà della Banca d’Italia dovesse essere maggioritariamente pubblica, e che le cessioni di quote potessero avvenire solo in favore di soggetti pubblici. Invece, nel 1992, con la privatizzazione delle tre banche dell’Iri (cioè del Tesoro), Prodi – assistito dalla banca d’affari Goldman Sachs – aveva trasferito alla mano privata le quote che queste tre banche possedevano in Banca d’Italia. Prodi aveva così portato la partecipazione privata in Banca d’Italia al 95% circa. Per effetto di successive cessioni e accorpamenti, il capitale privato francese aveva conquistato il controllo di una buona fetta di questa quota privata.

La situazione si faceva quindi insostenibile, per la troppo palese violazione della legge nell’interesse dei privati. Perciò bisognava cambiare la legge, ossia l’art. 3 dello Statuto. Draghi, ex vicepresidente della banca Goldman Sachs, lo reclamava. Prodi, autore della privatizzazione delle banche ex Iri, era ben felice di continuare la sua mission e sanare il suo stesso operato. Padoa Schioppa, ex vicedirettore della BCE, che mai poteva avere in contrario? E Napolitano, il quale avrebbe dovuto difendere, anche a costo della vita, i principi fondamentali della Costituzione e tra essi la sovranità popolare sull’economia e sulla moneta? Ha firmato, in silenzio. Del resto, non aveva un gran curriculum come difensore delle libertà: per dirne due, militava nel PCI quando questo era subordinato al PCUS di Stalin e, nel 1956, attaccò chi protestava contro la sanguinosa invasione sovietica dell’Ungheria. E i comunisti di governo? Zitti zitti. Comunisti solo per raccogliere i voti di chi li crede comunisti.

Le tessere del mosaico

Questa riforma è solo una delle tessere del mosaico che i poteri forti vanno componendo, in un disegno che già descrivevamo anni fa (Le Chiavi del Potere, ed. Koiné), e che precisavamo ultimamente (Euroschiavi, ed. Arianna): privatizzazione ed esterizzazione dei centri di potere e dei mercati nazionali – centri economici, finanziari, monopolistici, informatici. Per arrivare a governare e riformare l’Italia dal di fuori dei suoi confini e senza gli intralci della forme democratiche. L’Italia, come si fa con le grandi aziende in crisi e incapaci di risanarsi, viene smembrata e svenduta alla concorrenza, pezzo dopo pezzo, sotto i nostri occhi. Molte forze politiche italiane sono sostenute e sponsorizzate per realizzare questa strategia.

Strategia che è assistita dal potenziamento per legge della dipendenza di cittadini e imprese dalle banche, nonché della capacità delle banche di “tracciare” (leggi: spiare e schedare) tutti i movimenti di denaro: come alcune delle cosidette “liberalizzazioni” di Bersani, che obbligano a passare per la banca e i suoi balzelli per ogni pagamento, e la recente istituzione del SAF, o Servizio di Analisi Finanziarie – una funzione pubblica affidata, ossia donata, alle banche private come già erano state donate la Centrale Rischi Interbancaria e la Centrale di Allarme Interbancaria (quelle su cui le banche ti segnalano come inaffidabile, bloccandoti commercialmente, quando non si fidano di te o ti permetti di contestare le loro pretese).

Coronata da una presa più forte del governo sulle istituzioni di sicurezza mediante la simultanea sostituzione del capo dei Servizi Segreti, del capo della Guardia di Finanza e del capo della Polizia di Stato (un regime che teme di soccombere perché non riesce a gestire i problemi strutturali tende a proteggersi mettendo le mani sulle forze dell’ordine).

Sostenuta dal salvataggio finanziario dei partiti politici oberati di debiti da parte di soccorrevoli banchieri amici.

Cementata da nuovi e più stretti bavagli per giornalisti e magistrati.

Rassicurata dalla persecuzione fiscale (studi di settore inaspriti) delle categorie sociali elettoralmente resistenti, che spinge molti lavoratori indipendenti a chiudere o emigrare.

Canonizzata con una riforma della “giustizia” che sottopone i singoli magistrati al potere del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia del sindacato dei magistrati (sarà un caso, che magistrati e banchieri hanno in comune il privilegio di autogovernarsi, attraverso il CSM e la Banca d’Italia rispettivamente?)

Perfezionata dalla monopolizzazione dei servizi pubblici essenziali nelle mani di società private, notoriamente greppie del sottogoverno; e dalla facoltà, per le società pure private che hanno ricevuto in gestione l’esazione dei tributi, di prelevare i soldi direttamente dal conto corrente del cittadino senza passare per il vaglio e l’autorità di un giudice terzo.

Questo, solo per citare alcune delle tessere del mosaico del più grande e sistematico attacco da parte delle istituzioni contro le libertà civili e i diritti politici dei cittadini che si sia mai visto in Italia dal Fascismo in poi.

Per inciso, analoghi attacchi sono portati avanti in vari paesi occidentali, parallelamente; ma in ciascun paese con pretesti diversi (adatti ciascuno alla mentalità dei vari paesi): in Italia viene giustificato col pretesto (perché sia un pretesto, lo spieghiamo in Euroschiavi) del debito pubblico e dell’evasione fiscale; e negli USA con quello del terrorismo e della guerra preventiva.

Si sperava in un risveglio, a difesa dei diritti costituzionali, da parte di categorie imprenditoriali e di gruppi politici dell’area della CDL. In effetti, Berlusconi, alla fine della precedente legislatura, aveva impostato una graduale nazionalizzazione della Banca d’Italia. Nazionalizzazione che avrebbe consentito di recuperare decine di miliardi l’anno che oggi doniamo agli azionisti di Banca d’Italia per la stampa delle banconote e per interessi sul debito pubblico, tagliando le tasse. Nazionalizzazione prontamente bloccata dal Governo Prodi.

Quelle speranze sono state vanificate. In questi stessi giorni, gli artisti del mosaico stanno segnando successi decisivi: il 12 giugno 2007 la Camera respinge l’ordine del giorno dell’on. Buontempo volto a sensibilizzare i rappresentanti del popolo circa la piaga anticostituzionale del signoraggio privato. Poi si diffonde una notizia di ancor maggiore peso politico: la Goldman Sachs ha arruolato Gianni Letta, l’abile e inesauribile collaboratore fidato di Silvio Berlusconi. Pare quindi che anche il Cavaliere sia passato alla Goldman Sachs, sia entrato nel mosaico. È possibile che tale conversione sia stata un passaggio necessario per accreditarsi a rimpiazzare a breve Romano Prodi. Parigi val bene una messa. O no?

Sta di fatto che, immediatamente, i proprietari di qualche network vicino alla CDL, che aveva dato spazi alla informazione economica alternativa, alla diffusione della conoscenza del signoraggio e sull’espandersi del dominio di Goldman Sachs sull’Italia, hanno pensato bene di chiudere questi spazi. Intanto, dai vertici di Confapi (la confederazione dei piccoli imprenditori) pare sia stato diramato l’ordine di non parlare più di questi temi monetari e bancari nei convegni dei suoi associati, come nel Veneto e in Lombardia la base e i giovani avevano iniziato a fare.

Nessuna forza significativa sembra oramai rimasta ad opporsi alla colonizzazione bancaria del Paese. Il cerchio si chiude. Oggi, per i malcapitati cittadini italiani. Domani, probabilmente, per i pupi “usati”. Persino per i più svegli tra loro – quelli che, sapendo che cosa fa la differenza tra un pupo e un puparo, sognavano di salvarsi dalla rottamazione diventando banchieri.

Marco Della Luna*
Fonte: www.ilconsapevole.it
Link: http://www.ilconsapevole.it/articolo.php?id=8530
Tratto da “Ilconsapevole” N° 12 – www.ilconsapevole.it
agosto/settembre 2007

*Avvocato e psicologo. Autore di Euroschiavi (Arianna 2005) – giunto, per successo di pubblico, alla terza edizione, e Le Chiavi del Potere (Koiné Nuove Edizioni 2003).
È possibile contattare direttamente l’autore all’indirizzo di posta elettronica [email protected].
Marco Della Luna sta lavorando al suo nuovo libro dal titolo Basta Italia: ovvero ciò che La Casta non dice sulla situazione politica ed economica del nostro paese.

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