DI GIDEON LEVY
Haaretz
Mercoledì una coalizione israeliana di organizzazioni per la pace ha pubblicato una lista di cinquanta ragioni per cui Israele dovrebbe sostenere uno stato palestinese. Ammettendo che ne accetti solo cinque, non sono abbastanza? Qual è esattamente l’alternativa, ora che i cieli si stanno chiudendo attorno a noi?
Cosa diremmo la prossima settimana alle Nazioni Unite? Cosa potremmo dire? Se fossimo all’Assemblea Generale o nel Consiglio di Sicurezza, dovremmo esporre la nostra più completa nudità: Israele non vuole uno stato palestinese. Punto. E non esiste un solo argomento persuasivo contro lo stato di fatto e il riconoscimento internazionale di questo stato.
Ci potremmo anche chiedere, a cosa si oppongono? Quattro primi ministri, Benjamin Netanyahu è tra loro, hanno detto che sono a favore, che tutto questo dovrà essere raggiunto con le trattative, e allora perché non l’hanno fatto ancora? Il nostro argomento è sempre che si tratta di misure unilaterali? Cosa c’è di più unilaterale degli insediamenti che continuiamo a costruire? O forse dovremmo dire che la strada per uno stato palestinese deve correre tra Ramallah e Jerusalem, e non da New York, à la Stati Uniti di America. Lo stato di Israele è stato creato, in parte, dalle Nazioni Unite.
La prossima settimana sarà il momento della verità per Israele, o più precisamente il momento in cui i suoi raggiri verranno rivelati al pubblico. Sia il presidente, il primo ministro o l’ambasciatore all’ONU, o anche il più seguito dei commentatori, sarebbe incapace di stare davanti ai rappresentanti delle nazioni del mondo e spiegare la logica di Israele; nessuno di loro sarebbe capace di convincerli che c’è un qualche merito nella posizione israeliana.
Trentatre anni fa Israele ha firmato un accordo di pace con l’Egitto in cui sottoscrisse “di riconoscere i diritti legittimi del popolo palestinese” e di stabilire un’autorità
autonoma nei Territori Occupati e nella Striscia di Gaza entro cinque anni. Niente di tutto ciò è mai avvenuto.
Diciotto anni fa il primo ministro di Israele ha firmato gli Accordi di Oslo, nei quali Israele ha sottoscritto di avviare colloqui per poter raggiungere un accordo definitivo con
i palestinesi, tra cui gli aspetti fondamentali, entro cinque anni. Anche questo non è avvenuto. La gran parte delle disposizioni dell’accordo da allora sono fallite, nella maggioranza dei casi per colpa di Israele. Cosa potrà dire di tutto questo il sostenitore di Israele alle Nazioni Unite?
Per anni Israele ha affermato che Yasser Arafat era il solo ostacolo alla pace con i palestinesi. Arafat è morto, e ancora una volta non è successo niente. Israele ha dichiarato che, se il terrorismo si fosse fermato, sarebbe stata trovata una soluzione. Il terrorismo si è fermato, e ancora niente. Le scuse di Israele sono diventate sempre più vuote e la nuda verità è sempre più appariscente. Israele non vuole raggiungere un accordo di pace che comporti la costituzione
di uno stato palestinese. La cosa non può essere ancora a lungo mascherata dalle Nazioni Unite. E cosa l’Israele di Netanyahu potrà aspettarsi dai palestinesi in questo caso, un altro giro di mostre fotografiche, come quelle realizzate da Ehud Barak, Ehud Olmert e Tzipi Livni che non hanno portato a niente?
La verità è che i palestinesi hanno solo tre opzioni, non quattro: arrendersi senza condizioni e proseguire sotto l’occupazione israeliana per almeno altri quarantadue anni; lanciare una terza intifada; o cercare di mobilitare il mondo. Hanno scelto la terza opzione, il minore dei mali dalla prospettiva israeliana. Cosa potrebbe dire Israele a riguardo, che è una mossa unilaterale, come hanno detto gli Stati Uniti? Ma non hanno acconsentito a fermare le costruzioni negli insediamenti, la madre di tutte le mosse unilaterali. Cosa è rimasto ai palestinesi? L’arena internazionale. E se non riuscirà a salvarli, nei territori ci sarà allora un’altra rivolta di popolo.
I palestinesi nei Territori Occupati, oggi tre milioni e mezzo, non vivranno privati dei diritti civili per altri quarantadue anni. Potremmo anche abituarci al fatto che il mondo non potrà sopportarlo. Riuscirebbero Netanyahu o Shimon Peres a spiegare perché i palestinesi non meritano un proprio stato? Hanno anche la più flebile delle ragioni? Niente. E perché non ora? Abbiamo già visto, ultimamente in modo particolare, che il tempo non fa altro che ridurre le alternative nella regione. E anche questa debole scusa è defunta.
Ieri una coalizione israeliana di organizzazioni per la pace ha pubblicato una lista di cinquanta ragioni per cui Israele dovrebbe sostenere uno stato palestinese. Ammettendo che ne accetti solo cinque, non sono abbastanza? Qual è esattamente l’alternativa, ora
che i cieli si stanno chiudendo attorno a noi? Potrebbe qualcuno, che sia Peres o Netanyahu, seriamente controbattere che l’ostilità contro di noi non si sia affievolita nel caso in cui l’occupazione finisca e che venga istituito uno stato palestinese?
Le verità sono così semplici, così banali, che fa male solo ripeterle. Ma, sfortunatamente, sono le sole che abbiamo. E qui di seguito una semplice domanda da porre
a chiunque ci rappresenti la prossima settimana alle Nazioni Unite: “Perché no, per il ben di Dio? Perché “no” un’altra volta? E a cosa diremmo di “sì”?
Fonte: Israel Does Not Want a Palestinian State. Period.
15.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE