DI CHRISTIANE PASSEVANTE E LARRY PORTIS
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Intervista con William Blum – autore di “Le guerre scellerate. Gli interventi dell’esercito americano
e della CIA a partire dal 1945” e di “Stato Canaglia”.
Howard Zinn, autore di “La bomba. L’inutilità
dei bombardamenti aerei”.
Due autori, due statunitensi, due prese
di coscienza e le stesse domande che ritornano: “Possiamo giustificare
le atrocità che i bombardamenti massicci tipici delle guerre moderne
infliggono a centinaia di migliaia di essere umani, con la scusa delle
necessità d’ordine militare, strategico o politico?”
Infatti la questione morale non può essere risolta distogliendo lo
sguardo e anche la responsabilità dei testimoni, diretti o indiretti,
non può essere spazzata via dall’indifferenza.
Al giorno d’oggi noi siamo letteralmente
assaliti/e dalle immagini della guerra, degli omicidi di massa in nome
del pragmatismo, del diritto d’ingerenza, della democrazia o dell’”umanitario”
– cinica e bella trovata, questa espressione “guerra umanitaria”
che permette tutti gli abusi- noi siamo assaliti/e dunque da immagini
che infine privano di umanità gli essere umani – distrutti sotto i
nostri occhi – e banalizzano l’insopportabile, l’inaccettabile.
La propaganda corrode le menti e fa
passare per vittorie degli orrori. Si tratta di un’altra maniera di
costruire la cattiva fede, di rendere complici quelli e quelle che non
reagiscono o non si rivoltano, in breve di legittimare una mancanza
di solidarietà e di rispetto dell’altro. Un tempo era la religione
a costituire una fonte di speranza in un meraviglioso mondo a venire
per uomini e donne che non avevano niente. Oggi la giustificazione è
che “voi siete bombardati/e, soffrite, ma
è per il vostro bene e domani vivrete in democrazia“.
Andate a dire questo alla popolazione
irachena, che non vive più sotto la dittatura di Saddam Hussein, ma
che ha subito “vent’anni di bombardamenti statunitensi, d’invasione,
d’occupazione e di tortura che hanno portato alla perdita delle loro
case, delle loro scuole, della loro elettricità, della loro acqua potabile,
del loro ambiente, dei loro quartieri, della loro archeologia, dei loro
impieghi, dei loro tecnici, delle loro imprese, della loro salute fisica
e mentale, del loro sistema sanitario, del loro sistema di sicurezza,
dei diritti delle loro donne, della loro tolleranza religiosa, della
loro sicurezza, dei loro bambini, dei loro genitori, del loro passato,
del loro presente, delle loro vite. Più
di metà della popolazione è o morta o mutilata o in prigione o in
esilio all’estero. La loro aria, il loro territorio, la loro acqua,
il loro sangue e i loro geni sono impregnati d’uranio impoverito. I
bambini nascono con malformazioni abominevoli. Le bombe a frammentazione
aspettano solo un bambino per esplodere.”
Tutto questo per la democrazia? Ma
quale democrazia? La vera ragione non è piuttosto che gli Stati
Uniti vogliono costruire la più grande ambasciata statunitense
in Medio Oriente, controllare i pozzi di petrolio e istallare le loro
basi militari sul territorio iracheno, in modo da avere un occhio sull’Iran?
Non è stato dunque sufficiente che l’egemonia statunitense abbia sfigurato
tutto un quartiere del Cairo nel costruire un bunker dedicato
alla grandezza della propria democrazia, è necessario diffondersi e
portare il cattivo gusto in tutta la regione.
Nel 1945 lo scopo dei bombardamenti
atomici era uccidere i civili. Le città di Hiroshima e Nagasaki
non erano state scelte a caso o per la presenza di basi militari, erano
le città più popolate del Giappone. L’uso di bombe nucleari
era una dimostrazione di forza, definita dal presidente Truman “il
più grande avvenimento della storia” e destinato a spaventare
i sovietici. Da qui la domanda posta dal sociologo Kai Erickson nel
libro di Howard Zinn, “La bomba. Dell’inutilità dei bombardamenti
aerei”: “In quale stato d’animo un popolo essenzialmente onesto,
in quale genere di perversione morale deve cadere per essere pronto
ad annientare 250.000 esseri umani al solo scopo di marcare dei punti?“
L’attacco atomico è costato la vita
a centinaia di migliaia di persone, il 6 e il 9 agosto 1945. Gli anni
successivi la morte ha continuato a colpire con la contaminazione e
le radiazioni subite dai civili. Era necessaria dunque una buona dose
di cinismo e d’indifferenza per parlare di “più grande avvenimento
della storia”.
In una frazione di secondo,
in un raggio di 800 metri, le persone esposte alla palla di fuoco provocata
da Little Boy sono stati carbonizzati ridotti a un ammasso fumante,
i loro organi interni evaporati.[…]
Pieni di strade, di
ponti, di marciapiedi di Hiroshima, questi cumuli neri si contavano
a migliaia. Allo stesso tempo, degli uccelli prendevano fuoco in volo.
In un crepitio, insetti, scoiattoli e animali da compagnia erano annientati.
Una donna, che allora
aveva soltanto dieci anni, ricorda: “Tutti gridavano a squarciagola
[…]. Non so più quante volte ho implorato che mi amputassero le braccia
e le gambe bruciate.”
(Howard Zinn, La bomba,
cit.)
Gli stessi orrori si ripetono con le
stesse giustificazioni abominevoli affinché la potenza di uno stato
possa esercitare il suo diritto a “commettere delle atrocità,
che sia ad Auschwitz, a My Lai, in Cecenia, a Waco o a Filadelfia, dove
le famiglie membri del gruppo MOVE hanno subito le bombe incendiarie
della polizia.”
Le bombe sono al cuore della strategia
militare statunitense, da Hiroshima, all’Iraq, alla Libia oggi. Ma
gli Stati Uniti sono un modello e il governo francese, come tanti altri,
non resta immobile, né tanto meno lo ha fatto l’esercito israeliano
nella guerra in Libano del 2006 o nei massacri di civili nel 2008/2009,
durante l’operazione “piombo fuso”.
L’industria e la tecnologia militare
non smettono d’inventare nuovi modi d’uccidere più civili, con
l’idea di garantire un’egemonia, una supremazia. E se, per di più,
questo permette di fare crescere il mercato delle armi, tanto meglio!
Allora la domanda essenziale, primordiale,
resta la stessa: fino a quando sopporteremo questa violenza e l’onnipresenza
del complesso militare-industriale nelle nostre società e nelle nostre
vite?
William Blum è scrittore, giornalista
e storico.
Nato nel 1933 negli Stati Uniti, all’inizio
segue il percorso dello statunitense medio, anticomunista e convinto
di vivere in una democrazia ideale. Dopo i suoi studi, lavora per il
Dipartimento di Stato, nei servizi informatici. Ma la guerra del Vietnam,
come per molti altri, gli fa prendere coscienza delle trappole e dei
“miti” della vulgata ufficiale. Diventa allora attivo nel
movimento pacifista e lascia il Dipartimento di Stato nel 1967 per diventare
giornalista free-lance e co-fondatore del Washington Free Press, primo
giornale contro corrente della capitale.
Il suo lavoro si focalizza essenzialmente
sulla critica della politica estera degli Stati Uniti e sul ruolo della
CIA, della quale denuncia gli intrighi e gli omicidi. In quanto giornalista
indipendente, ha lavorato in Europa e in America del Sud, soprattutto
in Cile. A partire dagli anni ottanta, ha pubblicato numerosi libri,
tra i quali “Killing Hope: U.S. Military and Cia Interventation
Since World War II“, che ha ricevuto un’accoglienza entusiastica.
La produzione di un documentario, realizzato
da Oliver Stone, basato su questo saggio, non è stata purtroppo
portata a termine.
William Blum tiene anche delle conferenze
nei campus universitari, ma, come ci ha confidato, a partire dal 2006,
dopo che Osama Bin Laden ha raccomandato il suo libro “Lo stato
canaglia”, le università – o meglio l’amministrazione universitaria-
lo invitano molto meno.
Di passaggio a Parigi il 18 maggio
scorso, alla vigilia di una conferenza sulla politica estera e i suoi
miti, ha concesso un’intervista ai cronisti ribelli di Radio Libertaire.
Intervista con William Blum
18 maggio 2011
Larry Portis: Quali sono le
ragioni che l’hanno portata a lavorare per il governo e per il Dipartimento
di Stato?
William Blum: Volevo lavorare
nella politica estera e soprattutto volevo fare il mio dovere, saper
combattere il comunismo. Ero un anticomunista onesto e convinto.
Larry Portis: Lei aveva dunque
delle motivazioni politiche?
William Blum: Certo. Ero programmatore
informatico per il Dipartimento di Stato in attesa di passare il test
per il servizio di politica estera. Ma è arrivata la guerra del Vietnam
e tutti i miei progetti sono stati sconvolti. La mia vita è completamente
cambiata. Io ero completamente contrario alla guerra e sono diventato
uno dei leader del movimento pacifista a Washington.
Larry Portis: Quando è cominciato
tutto questo?
William Blum: Nel 1965. Finalmente,
il Dipartimento di Stato mi ha convocato. Avevano un dossier su di me
e sapevano tutto, e nel dettaglio, sulle mie attività: le manifestazioni
alle quali avevo partecipato, gli amici che frequentavo, la posta che
inviavo e che ricevevo, le informazioni inviate al Washington Post e
perfino gli articoli che non erano stati pubblicati. Alla fine del colloquio,
mi hanno suggerito di lavorare per il settore privato.
Larry Portis: Un suggerimento
gentile!
William Blum: E me ne sono andato
poco tempo dopo.
Larry Portis: In quale anno?
William Blum: Nel 1967. Non
sono rimasto che due anni al Dipartimento di Stato. La guerra ha trasformato
tutta la mia vita. Prima, come ho detto, ero un anticomunista sincero.
Larry Portis: Come ha fatto
la guerra a modificare le sue convinzioni fino a questo punto?
William Blum: La guerra mi ha
aperto gli occhi. Si commettevano delle tali atrocità mentre ci parlavano
della nobiltà della lotta contro questo orribile comunismo! Questo
mi ha fatto mettere in dubbio tutto quello che avevo sempre pensato
fino ad allora. Sono andato a degli incontri, mi sono unito a dei gruppi
di discussione, a dei gruppi di riflessione marxista che mi hanno molto
influenzato. Inoltre, ho studiato molto, ma la mia presa di coscienza
non mi ha trasformato in un comunista. Tuttavia, io non ero più lo
statunitense fedele che ero stato.
Larry Portis: In questi gruppi,
ci sono delle persone che l’anno particolarmente influenzata?
William Blum: Ho viaggiato molto
per qualche anno. Infatti, ero membro di tre gruppi trotskisti, due
a Londra ed uno a San Francisco. Ma essere membro di un partito, qualunque
esso sia, non mi si addice, ci sono troppe formalità. Ne sono dunque
uscito e sono diventato un militante indipendente.
Larry Portis: E in cosa consisteva
il suo impegno, il suo modo di militare a quell’epoca?
William Blum: La mia principale
preoccupazione all’epoca era quella di scrivere per la stampa underground,
la stampa libera, soprattutto per il Washington Free Press, primo giornale
alternativo della capitale di cui io sono il co-fondatore. Così ho
cominciato a scrivere seriamente. Poi mi sono trasferito in California,
nella regione della baia di San Francisco e ho lavorato come giornalista
free-lance, soprattutto per due giornali di Berkeley. Scrivere per i
media underground, per la stampa libera, è stato molto importante
per me, ha profondamente cambiato la mia vita e mi ha portato a fare
delle conferenze.
Larry Portis: Cosa ha appreso
sulla politica estera che le è sembrato importante rivelare? Parlo
degli anni Sessanta e dell’inizio dei Settanta.
William Blum: La mia consapevolezza
non era quella che ho oggi ed io avevo meno elementi per analizzare
la situazione. Gli orrori perpetrati dalle truppe statunitensi in Vietnam,
nel Laos e in Cambogia mi sconvolgevano e li denunciavo. Ma io non avevo
questa consapevolezza dell’impero, al quale infatti non mi ero opposto
e di cui non ero nemmeno cosciente. Ora, io parlo continuamente dell’impero
e di ciò che questo implica in termini di politica estera. Serve del
tempo per diventare consapevoli.
Nel 1972 andai in Cile, fu un lungo
viaggio a partire da San Francisco. Allende era al potere. Fu un’esperienza
importante per me. Ho visto in diretta quello che è successo,
l’implicazione della CIA, la complicità del governo statunitense,
e tutto questo ha fortemente rimesso in questione le mie nozioni di
liberalismo e di patriottismo. E così sono diventato fortemente critico,
ma non anti-americano. Io correggo sempre chi mi definisce anti-americano,
io sono prima di tutto contro la politica estera degli Stati Uniti.
Larry Portis: Lei parla dell’impero
ed ha studiato questa nozione, ma cosa ne è dell’imperialismo? Lei
usa questa espressione?
William Blum: Ho discusso molto
su questa espressione negli anni Settanta, nei gruppi di riflessione
ai quali partecipavo, ho letto Marx ed altri pensatori sulla questione.
Ma poco a poco e ineluttabilmente ho pensato che la nozione d’impero
fosse più chiara e più descrittiva della politica estera statunitense,
spoglia di ogni moralità, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali.
Larry Portis: Cos’è cambiato
dopo la guerra in Vietnam, dopo gli anni Sessanta e Settanta? Quali
sono stati i cambiamenti nella politica estera degli Stati Uniti?
William Blum: È peggiorata.
Tutti i nostri interventi assomigliano a delle spedizioni di omicidi
di massa senza scopo. Le ragioni ufficiali, “aiutare le popolazioni”,
sono una menzogna. Noi sganciamo migliaia di bombe sui Paesi… Come
possiamo pretendere di evitare di uccidere dei civili? Io non voglio
dare l’impressione di ripetere sempre le stesse cose, ma la mia percezione
è di giorno in girono più dura.
Larry Portis: Perché la situazione
è peggiorata?
William Blum: Io non penso che
i fondamenti della politica estera statunitense siano cambiati. Non
c’è stata grande differenza tra la politica estera di Johnson, Bush
e di Obama. Quello che possiamo affermare è che i mass media sono peggiorati.
Negli anni Sessanta e Settanta era ancora possibile leggere un articolo
contro corrente, che dava una prospettiva diversa rispetto alla vulgata
ufficiale, ma attualmente questo non è più possibile. Io leggo il
Washington Post tutti i giorni, la politica estera e gli editoriali
non presentano mai più di una sola visione dei fatti, delle analisi.
Ci sono uno o due giornalisti di politica estera che,ogni tanto, scrivono
un articolo un po’ più analitico, ma è raro.
Il governo ha criticato il Venezuela
e Chavez per la soppressione dei media, ma il Venezuela ha una stampa
d’opposizione che noi non abbiamo. Nessun quotidiano si è opposto
alla guerra in Iraq e al bombardamento della Yugoslavia. Esistono tuttavia
non meno di 1400 giornali, ma nessuno che si oppone alle posizioni ufficiali.
Io parlo di questi problemi nelle mie conferenze e domando degli esempi
contrari a chiunque possa fornirne. Una sola volta qualcuno mi ha citato
un giornale che si è opposto alla guerra in Iraq. Un solo esempio su
migliaia di pubblicazioni. Vedere fino a che punto la popolazione statunitense
viene manipolata è sorprendente.
Larry Portis: Al di fuori dei
governanti, delle istituzioni, il pubblico in generale sembra ancora
più che in passato mantenuto all’oscuro?
William Blum: Anche se c’è Internet,
la popolazione è tenuta all’oscuro. Il mito principale è
che qualsiasi cosa facciamo all’estero le nostre intenzioni sono buone.
Noi siamo il Bene. E se si cerca di dire il contrario, è come parlare
ad un muro di pietra. Poco importa ciò che facciamo e ciò che accade
realmente, le nostre intenzioni sono onorevoli. Questo è ciò che tento
di spiegare e di analizzare nei miei scritti e nelle mie conferenze,
tutte le volte che parlo ad un pubblico.
Larry Portis: Lei pensa che
i governanti siano cinici?
William Blum: Sì, anche se
io non utilizzo questo termine.
Larry Portis: Detto in altri
termini, non si preoccupano delle conseguenze umane delle loro azioni.
William Blum: Assolutamente.
Vogliono soltanto raggiungere gli scopi dell’impero. Quando intervengono,
è soltanto per ottenere più basi militari, un accesso al petrolio.
In Afghanistan, una volta morto Bin Laden, le persone pensavano non
fosse necessario restarci e mantenervi delle truppe. Ma noi non eravamo
in Afghanistan per Bin Laden! Non è mai stata questa la ragione! L’importante
era avere delle basi militari in Afghanistan, per essere vicini all’Iran.
Questa è la vera ragione, perché l’Afghanistan è uno spazio strategico,
in mezzo a dei territori dove si trovano le più grandi riserve di petrolio,
nel mar Caspio e nella regione del Golfo. Il petrolio e il gas sono
vitali.
Le compagnie petrolifere hanno tentato
di stabilire dei contatti con le autorità, dal tempo dei Talebani,
ma senza successo. Eventualmente, il governo statunitense autorizzerà
un accordo con i talebani. Bisogna comprendere che il governo non si
preoccupa per nulla delle azioni dei talebani fino a quando queste favoriscono
i suoi piani nella regione. All’occorrenza, potrà aggiudicare un appalto,
affinché non ci siano attacchi contro l’istradamento di petrolio e
di gas provenienti dalla regione del mar Caspio.
Larry Portis: Degli economisti
e specialisti in scienza politica statunitensi ed europei pretendono
che gli Stati Uniti non abbiano più bisogno di questo petrolio.
William Blum: Il petrolio ha valore,
è un’arma di potere. Noam Chomsky ama dire che se la principale
ricchezza dell’Iraq fosse stata la coltivazione delle banane non ci
sarebbe stata nessuna invasione. Si tratta della stessa situazione per
l’Iraq. La sua localizzazione è molto importante per l’impero.
Larry Portis: Lei pensa che
sia l’inizio della fine dell’impero?
William Blum: Io penso che l’opposizione
cresce nel mondo contro la politica statunitense. Si parla spesso della
sofferenza provocata dai Gis e molti soldati che tornano dal fronte
la evocano. Io non posso predire il declino dell’impero e la sua fine,
senza dubbio io non assisterò a quest’evento. Ma tutti gli imperi crollano.
La domanda è: quando?
Larry Portis: Lei pensa che
gli Stati Uniti siano più fragili ora sul piano economico?
William Blum: Si parla molto
della debolezza del dollaro, ma non sono né il governo né le classi
superiori a soffrirne. Questa situazione può avere una durata indefinita,
anche se è più dura per la popolazione.
Larry Portis: I recenti avvenimenti
in Africa del Nord possono apportare degli elementi di speranza per
un cambiamento positivo?
William Blum: Mi piacerebbe
pensarlo. Ma la situazione è complicata, perché se consideriamo la
Libia che, ironicamente, era il Paese con il miglior standard di vita
della regione e un governo secolare, la Libia sarebbe dovuto essere
l’ultimo Paese a essere attaccato dalla coalizione. Tuttavia lo è stato,
e ancora una volta per delle ragioni “umanitarie”. Che cosa
significa tutto questo?
Larry Portis: Anche l’Iraq è
stato attaccato per ragioni “umanitarie”, anche l’Iraq era
un paese prospero.
William Blum: L’Iraq e la Libia
erano entrambi paesi prosperi e secolari e li abbiamo messi nello steso
paniere. Ho fatto una lunga lista di quello che la popolazione irachena
ha perduto. L’ho pubblicata nel mio bollettino mensile di informazione,
The Anti-Empire Report.
Larry Portis: Vorrei porle una
domanda sui suoi scritti, che io trovo eccezionali per chiarezza e lucidità:
lei ha un metodo?
William Blum: Prima di tutto
grazie per questa domanda, perché il mio obbiettivo è proprio essere
chiaro, preciso e aggiungere un po’ di humour quando possibile.
È facile diventare un denunciatore tonante dell’imperialismo, ma cerco
di evitarlo.
Larry Portis: Lei ha anche una
profonda conoscenza delle istituzioni, è ciò che emerge nel suo libro,
“Killing hope“, che è una fonte inestimabile per comprendere
la politica estera degli Stati Uniti.
William Blum: Sono un vecchio
e ho degli archivi di cui mi servo senza sosta. Mi accade anche di auto-citarmi.
Christiane Passevant: Per quanto
riguarda la situazione in Egitto, lei pensa che possa verificarsi un
cambiamento in merito all’apertura della frontiera tra Egitto e Gaza?
Lei pensa che possiamo sperare in un cambiamento della politica statunitense
nei confronti della popolazione palestinese?
William Blum: Io non sono più
capace di altri di predire quello che accadrà. Spero che ci siano dei
miglioramenti, ma l’esercito a capo dell’Egitto non mi sembra particolarmente
liberale o progressista. Le persone vengono ancora arrestate e torturate.
Ma il fatto che aprano la frontiera tra l’Egitto e Gaza è incoraggiante.
Christiane Passevant: Questo
può avere un impatto sull’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti
della popolazione palestinese per un regolamento della situazione?
William Blum: Il governo statunitense
è prigioniero della lobby israeliana e i segni di un cambiamento
sono invisibili. Ma tutto può eventualmente cambiare. Tuttavia Obama
è lo schiavo d’Israele come lo era Bush. L’influenza della lobby
israeliana sui politici è incredibile. Questo fa paura.
Larry Portis: Non so se lei
lo ha scritto, ma molti dicono che Obama è peggio di Bush.
William Blum: Io dico che la
sua politica è la stessa di Bush. Io penso che Obama non abbia delle
convinzioni profonde. Non crede in niente, se non nel fatto di essere
presidente degli Stati Uniti. Mi fa paura, è una persona vuota. È
solo uno spettacolo. Io mi domando cosa ne pensi sua moglie, lei sicuramente
lo conosce bene, ma lo sa quanto è vuoto? Obama ama essere presidente,
giocare a basket, mangiare hamburger. È un tipo ordinario ed
è questo che piace a una parte della popolazione, lui è come loro.
Ma le persone non vedono quanto è vuoto, emozionalmente ed intellettualmente.
Christiane Passevant: Lei vuole
dire che Obama è una marionetta?
William Blum: Obama non è una
marionetta, è sé stesso. Lui sa, voi sapete e io so come si deve comportare
un presidente degli Stati Uniti in materia di politica estera. Non c’è
nessun mistero. Conosce le regole e non si pone nessuna domanda. Gioca
il suo ruolo come tutti i presidenti che lo hanno preceduto.
Larry Portis: È una questione
interessante e sono quasi d’accordo, ma non è una decisione personale
diventare vuoti?
William Blum: È una riflessione
profonda, ma io non ho mai visto un bambino dire consciamente di voler
diventare vuoto crescendo.
Larry Portis: Intendo inconsciamente.
William Blum: Il processo è
incosciente, ma chi sa? Non è importante. Io credo che Obama abbia
molto da nascondere. Sua madre e lui stesso hanno lavorato per la CIA
per degli anni, anche per la fondazione Ford. Quando Obama era a New
York per esempio. Non ho mai capito perché sia stato scelto come candidato
alla presidenza, ma credo che i suoi legami, come quelli di sua madre,
con la CIA abbiano giocato un ruolo per la candidatura presidenziale.
Fonte: Entretien avec William Blum
04.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA IPPOLITI