IN VAL DI SUSISTAN RADDOPPIA L'OCCUPAZIONE MILITARE
DI MARCO CEDOLIN
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DI MARCO CEDOLIN
La notizia campeggia sui titoloni dei giornalacci mainstream e il sito del Corriere della Sera le dedica perfino la posizione d’onore, per
mezzo di un titolista che in tutta evidenza non conosce neppure l’argomento, dal momento che ritiene che a Chiomonte si stia scavando il tunnel di base del TAV e non una galleria geognostica propedeutica
all’opera, come invece sta accadendo in realtà.
Il governo dell’inciucio avrebbe scelto la linea dura, decidendo d’inviare in Val di Susistan 200 nuovi soldati di occupazione ed a Torino un nuovo prefetto (di ferro) nella persona di Paola Basilone,
attuale vice capo della polizia…..
In parole povere, la mafia del TAV decide di stringere i tempi il più
possibile, temendo che il boccone possa scivolare via, prima di
averlo addentato e si cautela per evitare qualsiasi sorpresa.
Dopo le azioni deliranti della magistratura, volte ad incriminare decine e
decine di NO TAV, con accuse gravissime prive di qualsiasi riscontro,
dopo gli attentati “misteriosi” che negli ultimi mesi hanno
bruciato decine di mezzi movimento terra, dopo l’immenso spazio
mediatico dedicato ai piagnistei di molto improbabili “onesti”
imprenditori, ridotti sul lastrico dalla protesta contro l’alta
velocità, ecco che il più assurdo governo (pro tempore) della
storia repubblicana, decide di calare l’asso, nella speranza di
chiudere la partita.
Per
eliminare la protesta popolare contro il TAV in Val di Susa,
partecipata da decine e decine di migliaia di persone, inizialmente
si è provveduto a gasarle con i lacrimogeni al cs, sfoltendo per
forza di cose le fila, dal momento che non tutti sono disposti a
rischiare la vita e la salute per difendere la terra in cui vivono.
Ridotta la contestazione militante a qualche migliaio di
“coraggiosi”, insieme al cs è entrata in campo la
magistratura, con incriminazioni farsa, perquisizioni a tappeto,
arresti, intimidazioni ed ogni altro atto che rientri nel novero
della repressione selvaggia di una protesta legittima. Con la
conseguenza di ridurre ulteriormente le fila dei “coraggiosi”,
perché anche chi è disposto a rischiare la vita e la salute per
difendere la terra in cui vive, non sempre può permettersi di
perdere il lavoro con il quale sostenta la propria famiglia.