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La Redazione

 

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IN MARGINE ALL'INCONTRO TRA BEPPE GRILLO E MATTEO RENZI. ECCO QUELLO CHE PENSO

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A cura di Davide
Il 20 Febbraio 2014
57 Views

DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
sergiodicorimodiglianji.blogspot.it

L’immagine che vedete qui riprodotta in bacheca, a tutti coloro che sono nati dopo il 1970, non dice molto, perché appartiene alla memoria storica appresa sui libri e non al loro vissuto personale civile. Per i più anziani, invece, rimane un ricordo indelebile della nostra storia recente, della nostra eredità, il memento di come eravamo, di che cosa accadeva.

E’ un’immagine tragica per noi italiani, che ci ricorda la nostra provenienza, quali impervie strade siamo stati costretti ad attraversare, ed è emblematica dell’aspetto feroce della lotta politica per la conquista del potere.
Non a caso l’ho scelta oggi come “testimonial” di questo post che scrivo come mio commento personale all’incontro tra Beppe Grillo e Matteo Renzi.

L’immagine è relativa allo statista democristiano Aldo Moro, sequestrato dai terroristi delle brigate rosse, che finirono per scegliere di ucciderlo. La scelta estrema di eliminarlo fu provocata, allora, dalla posizione netta, dura, inconciliabile, intransigente, da parte dei due personaggi politici più importanti di quella tragica primavera del 1978: Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga. Entrambi, in quei tragici momenti, parlavano con voce unica: “con i terroristi non c’è trattativa” dichiaravano ogni giorno; oppure “chi usa la violenza e si pone al di fuori delle istituzioni, provocando paura e terrore nella popolazione, non ha il diritto di essere considerato un interlocutore valido a nessun livello. Mai”.

Ci fu un terzo incomodo, allora, un giovane ambizioso, da poco giunto alla ribalta della grande politica, Bettino Craxi, che scelse, invece, di essere identificato come l’alfiere della trattativa.
Non credo che per Enrico Berlinguer sia stato facile, in nessun modo, compiere quella scelta; nonostante fossero oppositori politici, condivideva con Aldo Moro un sodalizio, un fronte di costante dialogo aperto, entrambi decisi a cambiare in meglio l’Italia.
Aldo Moro non era un santo, ma non era neppure un mascalzone corrotto.
La sua intuizione (nota soltanto agli storici e a chi si occupava allora di politica) nel 1973, durante la più grave crisi economica del dopoguerra -si chiamava “la crisi del petrolio”- si dimostrò vincente e cambiò davvero il paese. Nel pieno dell’occhio del ciclone, chiamò nell’ottobre di quell’anno Enrico Berlinguer per una serie di incontri privati finalizzati alla risoluzione dei gravi problemi del paese. Usando termini odierni era come avere oggi lo spread a 600 punti; la lira era stata svalutata tre volte in un anno; l’inflazione era arrivata al 18%, la gente era disperata e furibonda, il malessere poteva esplodere in un momento qualsiasi. L’Italia si trovava incastrata tra la Nato e il Patto di Varsavia e il PCI era ufficialmente legato a Mosca. L’esito di quei colloqui portò a una scelta nazionale e i due siglarono un patto. Forte dell’accordo, Aldo Moro partì per Washington con l’intento di riferire personalmente a Richard Nixon la nuova situazione: i comunisti erano disposti a lanciare ufficialmente “la via italiana al socialismo” sulla base di un compromesso dovuto alle circostanze, dichiarando fedeltà alla Nato; in cambio, gli americani davano il via alla DC per trattare con i comunisti considerandoli interlocutori politici alla pari affinché, insieme, risolvessero i conflitti sociali interni (la crisi stava erodendo i salari e la disoccupazione stava per esplodere) affidando a Francesco Cossiga il ruolo di grande tessitore del raggiunto accordo. Così fu.

Perno dell’accordo che portò nel 1977 a un governo di larghe intese gestito da Cossiga (appoggio esterno del PCI) era quello di fare “le riforme strutturali dello Stato”.
A Mosca, quell’accordo non piaceva.
A Washington, neppure.
Come ciliegia sulla torta della guerra fredda, arrivarono le brigate rosse.
I terroristi volevano trattare con lo Stato.
Cossiga e Berlinguer (entrambi amici intimi di Moro) si rifiutarono, spiegando al paese che la base dell’indipendenza, dell’autonomia, della libertà di una nazione sovrana, consisteva nel non trattare mai con chi non seguiva e non perseguiva un solido percorso di alternativa democratica finalizzata al bene comune.
E tennero duro, sapendo che sarebbe costata la vita al loro amico. Come accadde.
Molti, moltissimi (anche tra i democratici comunisti e tra i democratici democristiani) erano, invece, per trattare, nel nome della pietà, della compassione, del dialogo a tutti i costi.
Aldo Moro morì assassinato.

Fu l’inizio della fine delle brigate rosse e l’Italia voltò pagina riprendendosi, con la consapevolezza collettiva che esisteva uno Stato forte e le istituzioni erano in grado di poter reggere l’urto contro qualsiasi nemico.
Ma quella tragica lezione storica non venne incorporata.
Quindici anni dopo si ripresentò, per i motivi opposti, quando l’Italia era diventata la quinta potenza economica al mondo ed era leader industriale in Europa. Il comunismo non esisteva più e invece delle brigate rosse (scomparse) venne fuori la criminalità organizzata che voleva far parte -d’accordo con i circuiti cinici della finanza internazionale anti-italiana- del circolo dirigente politico nazionale per poter mettere le mani sulla dovizia di appalti sia pubblici che privati.
Lì, lo Stato cedette.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Fine del riferimento storico, utile come premessa, per ricordarci sempre da dove veniamo.

Leggendo gli svariati commenti di migliaia di cittadini, twittati e feisbuccati, sull’incontro tra Grillo e Renzi, mi è ritornato alla memoria questo passaggio del nostro background civico collettivo.
Oggi, nel mondo post-moderno a gestione mediatica, cavalcato dai social networks e dall’immediatezza emotiva di un evento, i teatri e gli scenari politici sono diversi.
Con l’aggiunta che la chiave di lettura della realtà politica passa attraverso i due paradigmi fondamentali della sintassi mediatica in Italia: il Paradosso e l’Ossimoro. Se non si comprende questo, si finisce per diventare vittime di un abbaglio, di una illusione ottica, di una manipolazione e si perdono i contorni che definiscono la realtà per ciò che essa è.
Veniamo dunque al punto: Matteo Renzi è un giovane politico. Il suo valore reale politico è pari a quello di Flavio Tosi, Ignazio Marino, Luigi De Magistris, colleghi che amministrano grandi città. E’ diventato il segretario di un partito che non ha vinto le elezioni e che ha costituito un governo con un altro partito che ha perso le elezioni, guidato da un pregiudicato che le istituzioni hanno stabilito non essere degno di far parte del Senato, condannandolo alla decadenza del suo ruolo e della sua funzione, in quanto condannato a “non poter svolgere nessuna mansione in ambito pubblico istituzionale”. Siccome messa così era davvero troppo perfino per i votanti piddini, a ottobre del 2013 si è verificata una specie di spaccatura nel PDL (che se è vera sembra finta). Il paradosso consiste nel fatto che la spaccatura si è verificata perché il PDL era “contro questo governo”, ma ha votato la fiducia al governo. Matteo Renzi, nel frattempo, dichiarava che non avrebbe mai fatto nè le larghe intese nè un accordo con Berlusconi su nessun punto. Lo ha accolto nella sede del PD e con lui ha stabilito il varo di una legge elettorale. Qui entriamo nell’ossimoro: i perdenti decidono le leggi. E qui proseguiamo nel grande paradosso: il sindaco di una città di media grandezza che non è stato mai votato a livello nazionale in una regolare votazione politica (le primarie sono un evento privato) ha comunicato al primo ministro in carica che lui era decaduto e l’ha licenziato. L’aspetto folle consiste nel fatto che il primo ministro ha accettato come se si trattasse di un evento normale. Anche il Presidente in carica l’ha ritenuto normale, così come ha ritenuto normale che non venisse fatto neppure un accenno, un dibattito, una votazione, nè alla Camera nè al Senato (perché non c’è tempo, è stato detto). Questo sindaco è diventato il Presidente del Consiglio incaricato comunicando che a) avrebbe fatto esattamente lo stesso tipo di alleanza e di governo che aveva fatto la persona da lui licenziata per aver fatto quel tipo di alleanza e di governo; b) che escludeva qualunque tipo di alleanza con la compagine di SEL che faceva parte della coalizione elettorale del suo partito.

Quindi, oltre a non rispettare nessuna promessa elettorale, non è stato rispettato neppure l’alleato di coalizione, il quale (Vendola) -anche questo incomprensibile- non ha protestato più di tanto, considerando normale che l’alleato scelga di allearsi con l’oppositore: altro paradosso inspiegabile. Il Presidente ha ricevuto al Quirinale le delegazioni, accogliendo un senatore decaduto, condannato in via definitiva, che per Legge non può esercitare funzioni pubbliche, facendola apparire come prassi normale.
L’immagine che si è offerta al Paese è stata inevitabilmente quella delle istituzioni che sono state sequestrate dai privati, perchè le scelte di governo, le cariche, i ruoli, le mansioni, le modalità di legiferare, avvengono tra soggetti privati che decidono sulla base di un loro capriccio personale -sorretto dai media- di andare ad occupare dei luoghi pubblici.

E veniamo quindi all’incontro tra Grillo e Renzi.
E’ l’incontro tra il leader che rappresenta le istanze di gran parte dell’elettorato italiano e un segretario di partito che non si sa nemmeno se e quanto rappresenti la base di quel partito.
Poichè gli italiani sono, oltre che spaesati, avviliti, depressi, stanchi, demoralizzati, immotivati, soprattutto addormentati, non hanno preso atto della gravità di ciò che sta avvenendo.

Il leader di M5s, facendosi carico delle istanze della base, comunica il suo punto di vista: “è inutile andare all’incontro, si tratta di una farsa” ma prende atto dell’umore generale e lancia un sondaggio il cui esito viene rispettato e allora si va.
Il tutto a Palazzo Chigi, luogo ormai completamente esautorato da ogni funzione di autorevolezza esecutiva pubblica, si svolgono incontri tra soggetti privati.
C’è quindi l’incontro che Grillo gestisce sapendo che sta vivendo un paradosso e finisce come tutti sanno: a pesci in faccia.
Meno male.
Avevano ragione Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga: con i terroristi non c’è trattativa.
I poteri forti hanno sequestrato le istituzioni della Repubblica.
Hanno scelto e deciso di non rispettare la formalità del dettame della Legge.
Dicono notizie false, danno cifre false e bugiarde, e vengono smentiti dall’Europa.
Diffondono paura e terrore che aumentano la depressione sociale e la disperazione.

La mia parte interiore di sincero democratico e di grande amante del dialogo e della comunicazione con ogni tipo di interlocutore (sono uno che parla anche con i sassi) era a favore dell’incontro.
La stessa parte di sincero democratico è stata contentissima dell’esito: pesci in faccia da parte di chi ha vinto le elezioni ed è costretto a vedersela con un vero intruso nelle istituzioni.
Ci hanno sequestrato l’anima e vogliono anche trattare.
Hanno diffuso soltanto paura e terrore psichico.
A coloro che sono rimasti delusi perché si aspettavano da Grillo un armonico dialogo, non posso che dire: aveva ragione lui, si trattava di una farsa.
Io sono rimasto deluso da me stesso, per aver pensato che valesse la pena l’incontro.
Ho esagerato in ottimismo.

L’unica possibilità per le istituzioni italiane di dimostrare di non essere una società privata consiste nel prendere atto della situazione attuale e indire nuove elezioni politiche, immediatamente.

Avevano ragione Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga: con i terroristi non c’è trattativa.
Mai, e per nessun motivo.
Chi non rispetta la Legge, è fuori dal sistema.

Sergio Di Cori Modigliani

Sergiodicorimodiglianji.blogspot.it

Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/02/in-margine-allincontro-tra-beppe-grillo.html

19.02.2014

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