Moon of Alabama
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Il primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi sta ottemperando alla decisione del parlamento iracheno di rimuovere tutte le forze straniere dall’Iraq. Ma la sua richiesta di colloqui con gli Stati Uniti riguardanti le operazioni di ritiro è stata accolta con un sonoro “vaffa…!”:
Il primo ministro facente funzione iracheno ha chiesto a Washington di iniziare ad elaborare una road map per un ritiro delle truppe americane, ma venerdì il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha respinto senza mezzi termini la richiesta, asserendo che le due parti dovrebbero invece parlare di come “ricostituire” la loro partnership.
Nella capitale e nell’Iraq meridionale si erano radudati migliaia di dimostranti antigovernativi, molti dei quali chiedevano sia all’Iran che all’America di lasciare l’Iraq, manifestando così la propria rabbia e la propria frustrazione per i due rivali, entrambi alleati di Baghdad, che si stanno scontrando sul suolo iracheno.
L’istanza del Primo Ministro Adel Abdul-Mahdi indicava la sua determinazione nel volere l’allontanamento delle truppe statunitensi dall’Iraq, ulteriormente esacerbata dall’attacco del drone americano che, il 3 gennaio, aveva ucciso il più importante generale iraniano, Qassem Soleimani. In una telefonata, giovedì sera, aveva detto al segretario di Stato americano Mike Pompeo che i recenti attacchi statunitensi in Iraq costituivano una violazione inaccettabile della sovranità irachena ed una trasgressione degli accordi reciproci sulla sicurezza, secondo le dichiarazioni del ministero.
Aveva anche chiesto a Pompeo di “inviare delegati in Iraq per mettere a punto misure” che consentissero l’attuazione della risoluzione del Parlamento iracheno sul ritiro delle truppe straniere, secondo la dichiarazione.
“Il primo ministro ha affermato che le forze americane sono entrate in Iraq e che i loro droni stanno volando nello spazio aereo della nazione senza il permesso delle autorità irachene e che questa è una violazione degli accordi bilaterali,” aggiungeva la nota.
L’Associated Press sbaglia quando afferma che la mossa era stata “alimentata dall’attacco del drone americano del 3 gennaio che aveva ucciso il più grande generale iraniano, Qassem Soleimani.” La decisione era stata presa cinque giorni prima, quando gli Stati Uniti avevano ucciso 31 uomini delle forze di sicurezza irachene vicino al confine siriano, nonostante le richieste del primo ministro e del presidente iracheno di non farlo. Si era ulteriormente rafforzata quando gli Stati Uniti avevano assassinato Abu Mahdi al-Muhandes, vice comandante delle forze della milizia popolare ed eroe nazionale in Iraq.
Il Dipartimento di Stato ha fornito una risposta abbastanza aggressiva alla richiesta di Abdul-Mahdi:
L’America è una forza positiva per il Medio Oriente. La nostra presenza militare in Iraq ha lo scopo di continuare la lotta contro l’ISIS e, come ha affermato il segretario, ci impegniamo a proteggere Americani, Iracheni e i nostri partner della coalizione. Siamo stati inequivocabili su quanto sia cruciale la nostra missione D-ISIS [degrade and defeat] in Iraq. In questo momento, qualsiasi delegazione inviata in Iraq dovrebbe dedicarsi a discutere su come ricostituire al meglio la nostra partnership, non per parlare del ritiro delle truppe, ma della nostra appropriata e corretta posizione di forza in Medio Oriente. Oggi, una delegazione della NATO è al Dipartimento di Stato per discutere un aumento del ruolo della NATO in Iraq, in linea con il desiderio del presidente di condividere gli oneri di tutti i nostri sforzi di difesa collettiva. Tuttavia, è necessario che vi sia un colloquio tra i governi degli Stati Uniti e dell’Iraq non solo per quanto riguarda la sicurezza, ma anche per quanto concerne il nostro partenariato finanziario, economico e diplomatico. Vogliamo essere amici e partner di un Iraq sovrano, prospero e stabile.
Pompeo in breve: “Le nostre truppe rimarranno e farete meglio a fare come diciamo.”
Una forza straniera a cui viene chiesto di lasciare un paese e che non lo fa è una forza di occupazione. Deve essere e sarà contrastata.
L’omicidio dei 31 uomini delle forze di sicurezza e l’assassinio di al-Mahandes non sono ancora stati vendicati. Le Unità di Mobilitazione Popolare irachene faranno il loro dovere morale e combatteranno le forze di occupazione straniere fino alla loro partenza.
I manifestanti di Baghdad non saranno in grado di impedire che ciò accada. È interessante, tra l’altro, che la responsabile dell’ufficio del Washington Post a Baghdad sapesse già quali sarebbero state le richieste dei manifestanti, prima ancora che si fossero radunati:
Louisa Loveluck @leloveluck – 9:48 UTC · 10 gennaio 2020
Gli attivisti hanno richiesto per oggi nuove manifestazioni a Piazza Tahrir a Baghdad ed è prevista una folla dopo la preghiera di mezzogiorno. I manifestanti respingono la decisione del parlamento di opporsi alla presenza delle truppe americane, temendo le ripercussioni che potrebbero seguirne.
Poche ore dopo, la Loveluck aveva dovuto ammettere che, come al solito, aveva torto:
Louisa Loveluck @leloveluck – 11:13 UTC · 10 gennaio 2020
“No all’Iran, no all’America” dicono i cartelli e gli slogan nella Piazza Tahrir di Baghdad mentre la folla inizia a traboccare. I manifestanti affermano di essere stanchi del fatto che il loro paese sia il campo di battaglia di qualcun altro. “Meritiamo di vivere in pace,” afferma Zahraa, 21 anni.
…
Rifiutare un voto parlamentare di stretta misura, sostenuto dalle élite politiche sciite non vuol dire sostenere apertamente gli Stati Uniti. Gli slogan di oggi a Piazza Tahrir rifiutano sia gli Stati Uniti che l’Iran.
Gli Stati Uniti dovranno pagare “attivisti” iracheni più in gamba, se vorranno far chiedere loro ciò che desidera Donald Trump.
Come ha spiegato il primo ministro iracheno (anche qui):
Dopo il mio ritorno dalla Cina, Trump mi aveva chiamato e mi aveva chiesto di annullare l’accordo, allora avevo nuovamente rifiutato e così aveva minacciato di [scatenare] dimostrazioni di piazza che mi avrebbero rovesciato. In effetti, le manifestazioni erano iniziate e poi Trump aveva richiamato, minacciando di intensificarle nel caso in cui non avessi collaborato e fatto come chiedeva …
L’Iraq sta nuovamente negoziando con la Russia per acquisire i sistemi di difesa aerea S-300. Ne avrà bisogno perché gli Stati Uniti dovranno andarsene e certamente se ne andranno. L’unica scelta per soldati americani è tra andarsene in posizione verticale o orizzontale, vivi o morti.
Come scrive Elijah Magnier nella sua sintesi degli eventi della scorsa settimana: un nuovo Medio Oriente “made in Iran” sta per nascere.
Il presidente degli Stati Uniti, che aveva promesso di porre fine alle “guerre senza fine,” ha ucciso il comandante iracheno Abu Mahdi al-Muhandes e il più famoso generale iraniano, Qassem Soleimani, credendo di poter ottenere il controllo dell’Iraq e un cambio di regime in Iran. Sul punto di innescare una grossa guerra, Trump ha perso con l’Iran in modo spettacolare e sta per perdere con l’Iraq.
“Le superbe attrezzature militari non governano il mondo, la gente governa il mondo e la gente vuole che gli Stati Uniti se ne vadano dalla regione,” ha dichiarato il Ministro degli Esteri iraniano Jawad Zarif. In Medio Oriente il presidente Trump non ha molte persone dalla sua parte, nemmeno tra i suoi alleati, i cui leader sono stati ripetutamente insultati. L’Iran non avrebbe potuto sognare un presidente migliore per rinvigorire la propria posizione a livello nazionale e regionale. Tutti gli alleati dell’Iran sono esultanti, uniti dietro la “Repubblica Islamica” che ha mantenuto la sua promessa di bombardare gli Stati Uniti. Un “Nuovo Medio Oriente” sta per nascere; non sarà “Made in USA” ma “Made in Iran.” Speriamo che l’era dei guerrafondai sia finita. È giunto il momento di riconoscere e fare affidamento, negli affari mondiali, sulla diplomazia intelligente.
Nel 2006, il Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, era salita alla ribalta per aver esaltato l’assalto israeliano contro il Libano paragonandolo ai “dolori del parto di un nuovo Medio Oriente.” Il bambino che sognava non era mai nato. Israele aveva perso quella guerra contro Hezbollah e l’Asse della Resistenza da allora ha continuato a vincere, mentre gli Stati Uniti hanno continuato a perdere. È tempo per gli Stati Uniti di porre fine a quell’inutile impegno e di ritirarsi dal Medio Oriente.
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Fonte: moonofalabama.org
Link: https://www.moonofalabama.org/2020/01/in-iraq-the-us-is-again-an-occupation-force-as-it-rejects-to-leave-as-demanded.html#more
10.01.2020