DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
Adesso c’è qualcuno che pensa di mandare l’esercito a Napoli per ridare un minimo di sicurezza e di decenza alla città. Ma non servirà a niente. Perchè il problema è un altro. Il problema sono i napoletani. Se Napoli è ridotta com’è ridotta i principali responsabili sono innanzitutto loro, la loro mentalità, il loro modo anarchico e pressapochista di porsi verso la vita che andava bene un tempo – anzi era di grande sapienza – ma che oggi, per una serie di ragioni, non funziona più. A Napoli esiste una illegalità capillare, diffusa in tutti i ceti sociali, dal più alto al più più basso, che fa da sostrato alla criminalità vera e propria.
Quest’estate me ne venivo in taxi dall’aeroporto canicolare e patibolare di Napoli, dove anche un bambino potrebbe introdurre un kalashnikov, per andare al porto. Il taxista, socievole come son quasi sempre i partenopei a meno che non appartengano alla linea triste Eduardo-Totò, ad un certo punto mi fece notare che non aveva il bollo: “Se non ce l’ho io, che faccio il taxista – disse ridendo – immagini gli altri”. A Napoli nessuno si sogna di pagare il canone Tv o di rispettare un senso unico. Ognuno, come si sa, si arrangia a modo suo. Le pensioni d’invalidità sono un ottavo del totale nazionale. Non c’è chi, anche nelle classi benestanti e ‘Hight educated’, non abbia almeno un cugino camorrista al quale si rivolge, invece che allo Stato, quando ha da risolvere un qualche problema, piccolo o grande che sia.
La contiguità fra Napoli-bene e Napoli-male è un dato storico, un retaggio del periodo borbonico e feudale, ai tempi in cui signori e ‘pezzenti’ vivevano gomito a gomito. Di tale contiguità feci io stesso esperienza quando, a metà degli anni sessanta, con la prima macchina mi spinsi fino alla capitale partenopea e ricevetti dai napoletani un paio di salutari lezioni di vita di cui sono loro ancora grato. Posteggiai al limitare dei Quartieri spagnoli, con tutti i bagagli dentro, davanti a un grande bar, che mi pare si chiamasse ‘Scarpinato’, noto ritrovo di malandrini. Ad unica mia scusante c’è che avevo solo 21 anni. Poi con la mia ragazza ci addentrammo per le viuzze. Quando ritornammo della macchina naturalmente non c’era più traccia. Stavamo seduti, sporchi e immalinconiti, davanti a una minuscola postazione di caramba, dove avevamo fatto l’inutile denuncia, quando passò un ragazzo poco più grande di noi. Ci vide in quello stato e ci chiese cosa fosse successo. Glielo raccontammo. “Beh” disse “vi ospito io finchè non avrete ritrovato la macchina”. Viveva in una splendida casa a Mergellina. I suoi erano via per un viaggio di piacere. Per tre giorni ci portò in giro per Napoli facendoci vedere soprattutto i bassifondi e la città sotterranea. Passato questo tempo decise che era venuto il momento di ritrovare la macchina. La sera andammo sul lungomare di Mergellina, pieno di luci, di colori, di suoni e di bancarelle di cozzicari. A colpo sicuro si diresse verso uno di loro, un monoculo soprannominato ‘U’ Scurnacchiato’, che pareva uscito dalla Corte dei Miracoli, e gli spiegò la situazione. ‘U’ Scurnacchiato’ ci squadrò, poi, rivolgendosi a me, disse: “La macchina la ritroverete senz’altro”. Ma, ridendo col suo unico occhio, aggiunse: “I bagagli no, altrimenti che mariuoli saremmo?”. Alle sette di mattina del giorno dopo ci telefonarono i carabinieri che, con aria piuttosto soddisfatta, ci annunciarono che avevano ritrovato la macchina. Un mese dopo mi arrivò, a Milano, una busta chiusa e anonima con dentro tutti i documenti.
Ma quella di quarant’anni fa era ancora la Napoli dei ‘bassi’, dell’economia del vicolo, che nei suoi bassifondi, viveva soprattutto di contrabbando di sigarette. Quando pochissimi anni dopo, già giornalista, fui mandato a Napoli per un’inchiesta il questore mi confidò: “Noi il contrabbando facciamo solo finta di combatterlo. Ogni tanto sequestriamo un motoscafo, ma sostanzialmente lasciamo fare, altrimenti l’economia di mezza Napoli andrebbe a pezzi”.
Era ancora una Napoli umanissima e splendida pur nella sua già evidente decadenza che ne ‘La pelle’ Malaparte aveva così crudamente descritto, lo scrittore inglese John Horne Burns ne ‘La galleria’ e il neorealismo cinematografico con film come ‘Paisà’ di Rossellini e ‘Sciuscià’ di De Sica. Ma che ‘economia del vicolo’ ci può essere, oggi, in quartieri come il ‘Traiano’, nei comuni dell’immenso e impressionante hinterland vesuviano, in paesi come Torre del Greco o Torre Annunziata, un tempo deliziosi, e ora uniti da un’unica colata di cemento. Che umanità ci può essere? Scriveva già nel 1977 Antonio Ghirelli in ‘Napoli italiana’: “Distrutta l’economia del vicolo la popolazione più povera viene ammassata nei comprensori della cintura esterna…e si compie una mutazione antropologica che cancella gli ultimi tratti della gentilezza partenopea…Posillipo, il Vomero, i colli Aminei sono presi d’assalto mentre la costruzione dell’ignobile rione San Giuseppe-Carità estende la metastasi nel cuore del centro storico, riducendo ai minimi termini la popolazione dei vecchi quartieri e le sue possibilità di sopravvivenza…la colata di cemento continua ad avanzare in tutte le direzioni, verso Secondigliano e Ponticelli, verso Camaldoli e la Cappella dei Cangiani, verso Pomigliano e Nola…”.
La degradazione di Napoli è stata innanzitutto ambientale e ha trascinato con sè quella esistenziale, sociale e criminale. “Anche un ragazzo povero può crescere felice col sole e con il mare” scriveva Albert Camus. A Napoli il sole non c’è più. Se la si lascia con la nave la si vede immersa in una caligine fosca. Se guardate il mare da terra vi può sembrare ancora azzurro per un’abitudine ottica. Ma visto dall’aereo è marrone quasi fino a Capri. I napoletani vivono in questa abitudine ottica e credono ancora – o fingono – di avere ‘O sole mio’, il mare e il ‘golfo più bello del mondo’. Ma non è più così. Da tempo. E questo, come notava Ghirelli, ha cambiato il loro carattere. “Hai un bel dire del buon carattere partenopeo – mi diceva tempo fa un mio giovane amico di Napoli- “ma quando ti tocca perdere ogni giorno tre ore del tuo tempo nel traffico, in una città caotica e sporca, quando la sera torni a casa sei stressato, peggio di un milanese”. E fa male al cuore, per contrasto, vedere in certi dettagli, per esempio nell’eleganza con cui nei caffè del centro il cameriere ti serve, i residui malinconici dello splendore di una città che fu fra le capitali della cultura europea.
Con la città è cambiata profondamente anche la sua malavita che non è più quella bonaria, ironica, scanzonata e professionale dei tempi di ‘U’ Scurnacchiato’. E’ la malavita feroce che si è enormemente arricchita con la speculazione edilizia e non traffica più con le sigarette ma con la droga e i suoi colossali profitti. La guapperia si è mutata in violenza belluina che informa di sè il mood dell’intera città, soprattutto nelle generazioni più giovani, come dimostra anche l’omicidio compiuto l’altro giorno dal sedicenne Salvatore, ragazzo di buona famiglia. E la contiguità, un tempo in fondo innocua, fra Napoli-bene e Napoli-male si è mutata in un diretto intreccio di affari e di interessi in cui è difficile fare distinzioni.
La fantasiosa anarchia napoletana ha distrutto prima il tessuto ambientale della città poi quello esistenziale e sociale. Poteva funzionare quando la società era più semplice, più piccola, più trasparente, più controllabile, più umana. Adesso è solo autodistruttiva. Nella complessità e nell’anonimato della modernità ha finito per cancellare l’habitat in cui era possibile. Napoli, con o senza esercito, non è più redimibile. E’ marcia fino al midollo. Perchè non più redimibili sono i napoletani. E l’impressione è che anche l’Italia, se continuerà sulla strada , che ha imboccato da tempo, dell’anarchia, della faciloneria, del pressapochismo, dello ‘stellone’, del ‘mi arrangio come posso’, dell’illegalità non solo diffusa ma anche sotterraneamente ammirata, come, sotto sotto, è ammirato il guappo che con un coltello ha messo sotto due ragazzi più grandi di lui, diventerà un’unica avvilente e invivibile Napoli.
Massimo Fini
(www.massimofini.it)
Fonte: http://gazzettino.quinordest.it/
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1.11.06