Pubblichiamo un’intervista di Andrea Pensotti per Saluteuropa.org a Eric Larsen, giovane imprenditore che lavora attualmente per la Biohax International, azienda svedese leader nei microchip sottocutanei. Il “piccolo Elon Musk italiano” spiega tutto ciò che il microchip può fare nel presente e nel futuro. Per lui ci sono solo opportunità e nessun rischio. “E’ inevitabile che prima o poi tutti si dovranno adattare”. “Il mondo occidentale non può rimanere indietro rispetto alla Cina.” Una candida visione del prossimo Regime Globalista. Buona lettura.
Andrea Pensotti
Saluteuropa.org
Questo periodo di isolamento sociale causato dal COVID-19 ha fatto emergere con forza il tema del rapporto tra uomo e tecnologia. Una grossa fetta della nostra vita sociale si è totalmente trasferita nel mondo virtuale: dal lavoro ai rapporti con gli amici.
Anche chi era restio alla tecnologia si è trovato forzatamente a farne uso e molti ne hanno sperimentato i benefici. Ora si inizia a parlare sempre più frequentemente di applicazioni per il tracciamento delle persone e di digitalizzazione totale dei pagamenti. Verso quale futuro ci stiamo dirigendo?
Abbiamo intervistato per voi Eric Larsen, giovane imprenditore nel settore tecnologico. Potremmo definirlo un piccolo Elon Musk italiano. Già, perché anche se il nome tradisce le sue origini svedesi, Eric è nato in Italia si è laureato in economia a Parma e dopo una breve esperienza come export manager si è lanciato nell’imprenditoria tech.
La sua prima start up è stata Inkdome, un’app vetrina per migliaia di tatuatori italiani. Il progetto è andato così bene che ora si sta espandendo anche in altri stati europei.
Nel 2018 Eric è entrato nel “circuito Bocconi” diventando membro dell’I-CRIOS Research Center. Un centro di ricerca ed incubatore tecnologico che raggruppa 500 start up. Frequentando questi mondi Eric è entrato in contatto con Biohax International, l’azienda svedese leader nei chip sottocutanei. Un progetto che punta a racchiudere in un unico device tutte le carte che oggi abbiamo: dalle carte di credito alla carta sconto del supermercato, dalla patente alla tessera sanitaria.
Su questi argomenti c’è un dibattito acceso: la tecnologia semplificherà la vita di ciascuno di noi migliorando la società o snaturerà il nostro modo di vivere fino a condurci verso società distopiche come quelle dipinte in molti film di fantascienza?
La tecnologia libererà l’uomo dalle fatiche del vivere o lo renderà schiavo di un controllo globale? Sono questioni molto complesse che certamente riguarderanno tutti noi. Lo sviluppo tecnologico è un processo inarrestabile: oggi nessuno metterebbe in discussione l’utilizzo di macchine nelle industrie eppure nel ‘700 c’era chi le distruggeva temendo che potessero rappresentare una grossa minaccia per l’equilibrio sociale.
Oggi si inizia a parlare di transumanesimo ossia di fusione uomo-macchina. Una fusione che potrà potenziare le nostre capacità e migliorare, secondo alcuni, la nostra vita. Si tratta anche questa di una normale transizione del progresso o siamo di fronte ad un passaggio epocale che potrebbe rappresentare una reale minaccia per l’umanità?
Di fronte a queste domande crediamo che una scelta matura possa essere quella di informarsi e di riflettere. Informarsi su cosa sta accadendo nel mondo dell’innovazione tecnologica e riflettere sul senso di essere umani.
Con questa intervista vorremmo darvi la possibilità di conoscere più da vicino i progetti e la visione di futuro di uno degli attori nel campo del transumanesimo e dei chip sottocutanei.
Intervista ad Eric Larsen di Biohax Italia
Come sei entrato in contatto con Biohax?
Ho conosciuto Biohax ed il suo fondatore due anni fa. Sono stato da sempre interessato al rapporto uomo-macchina e al transumanesimo. Dopo la laurea questi interessi sono diventati la mia professione e ho iniziato a fare uno screening sul mercato per identificare le società più interessanti del settore. Così ho trovato Biohax, che non è l’unica azienda che si occupa di chip sottocutanei ma è quella con le caratteristiche più interessanti: è un’azienda con un team molto forte con diversi PhD medici che lavorano a Londra ed ha avuto un grande successo mediatico sia a livello nazionale svedese che a livello internazionale. Non ultimo è svedese, come le mie origini. Così ho deciso di entrare in contatto con il loro fondatore ed amministratore delegato ed è cominciata la nostra collaborazione. Ci tengo però a precisare che prima di contattarli non avevo alcun collegamento diretto con loro.
Su cosa state lavorando in questa fase?
Sul fronte tecnologico siamo a buon punto: il sistema informatico che permette di gestire le informazioni contenute nel chip e di farlo interagire con gli smartphone e i sistemi di riconoscimento esterni è già funzionante in Svezia e Norvegia. Tra l’altro questo sistema è stato sviluppato da un’azienda italiana, la IG Solutions. Ora noi siamo concentrati su due fronti: da un lato stiamo sviluppando partnership per poter far crescere il numero di servizi collegati al chip, dall’altro lato stiamo lavorando per ottenere le certificazioni necessarie per poter commercializzare il chip. Questi dispositivi vengono impiantati sotto pelle e quindi sono equiparati a dispositivi medici più che a semplici tecnologie. Siamo quindi concentrati per ottenere tutte le certificazioni di sicurezza necessarie per poter ricevere l’approvazione dai ministeri della salute e dalla European Medicine Agency.
Quindi come sarà classificato dal Ministero della Salute il chip sottocutaneo?
Forse verrà classificato come medical device ma stiamo prendendo in considerazione anche l’ipotesi che si possa creare una nuova categoria ad hoc per questo tipo di impianto. Per questa seconda strada dovremo avviare un dialogo con le autorità regolatore europee e non sarà facile. Per noi però sarebbe la soluzione ideale. In futuro aumenteranno sempre di più gli impianti tecnologici nel corpo ed è giusto che ci siano regolamentazioni e linee guida precise a garanzia di qualità e sicurezza.
Avete già idea di quando potrete ottenere queste certificazioni?
Noi speriamo di riuscire ad ottenere le prime certificazioni per il nord Europa entro 5-6 mesi ma è tutto da prendere con le pinze, c’è una grossa complessità dietro questo lavoro. Colgo l’occasione per fare chiarezza su una notizia uscita in modo errato. Su Euronews si è detto che entro 6-8 mesi saremo pronti per i primi test su volontari italiani. No, non è vero. L’iter burocratico per le approvazioni è molto complesso e prima intendiamo concentrarci sul mercato nord europeo dove c’è molta più apertura a questo genere di tecnologie.
Quanti chip avete installato al momento?
Per ora in due anni sono stati installati circa 3.000 impianti in Svezia. Stoccolma è stata la prima città a rendersi disponibile coinvolgendo direttamente tutta la rete di mezzi pubblici.
Avete già dei dati su questo primo test?
Certo. Il sistema che stiamo testando in Svezia permette essenzialmente di integrare nel chip tutti i badge delle persone: da quello della palestra fino agli abbonamenti per i mezzi pubblici. Si è già visto che il chip ha ottimizzato i tempi dei viaggi in treno e degli spostamenti in città. Ci sono stati poi importanti miglioramenti a livello di sicurezza sul lavoro, parlo sopratutto per le aziende con aree e computer riservati il cui accesso può essere dato solo a chi possiede badge speciali. Nei test realizzati su alcune aziende si è registrato un efficientamento dell’operatività del 40%. Significa meno tempo perso in ingresso e uscita e migliori controlli sugli accessi negli spazi riservati. Inoltre con il chip RFID sottocutaneo è già stata testata la possibilità di effettuare certi tipi di pagamenti come ad esempio quelli per le macchinette di caffè.
Quindi al momento il chip non è ancora in grado di sostituire la carta di credito?
I test fatti fino ad ora, ed andati in porto, consistevano nel prendere il token ID delle carte di credito ed inserirlo all’interno del chip sottocutaneo. Quest’operazione però prevede che ogni singolo cliente vada in banca e si faccia autorizzare a trasferire il token ID. Ovviamente una procedura così complessa limiterebbe molto l’utilizzo del chip come metodo di pagamento. Ora stiamo lavorando per costruire partnership con intermediari di pagamento come Paypal. In questo modo eviteremmo il passaggio diretto con le banche.
Qual’è il vostro modello di business, vendere i chip o i servizi collegati?
Questo è il cuore del progetto. Il nostro valore sta in tutta l’infrastruttura open source che permette di far transare moneta ed informazione. Abbiamo già chiuso accordi importanti come ad esempio quello con Medic Scan, azienda leader nel settore delle cartelle cliniche digitali. Ci sono poi molti altri grossi gruppi con cui siamo in trattativa ma per ovvie ragioni per ora teniamo tutto riservato.
Su che tecnologia si basa il funzionamento dei chip sottocutanei?
La tecnologia di base esiste da molto tempo, si tratta della NFC ossia Near Field Communication. E’ la stessa tecnologia usata in tutte le carte di credito contactless e nei badge. Funzionano solo se entrano in contatto ravvicinato con un sistema di riconoscimento come il POS. Questo è importante perché nei chip sottocutanei non ci sono né circuiti elettrici, né GPS. E’ una tecnologia passiva. Noi però abbiamo fatto dei miglioramenti. L’attuale NFC usata dalle carte di credito contactless o dai badge non ha un vero e proprio scudo protettivo. Chi vuole può leggere tutte le informazioni contenute, può sottrarre una carta e clonarla. Poi c’è la questione della privacy.
Giusto, come farà la vostra tecnologia a garantire la privacy?
Possiamo garantire molta più privacy di quanta ne abbiamo oggi con le carte di credito. Forse non tutti lo sanno ma ogni volta che facciamo un pagamento elettronico rilasciamo una quantità enorme di dati che vengono riutilizzati, in modo aggregato, dai gestori delle carte. Di fatto oggi i nostri dati vengono venduti a nostra insaputa da terzi che ci guadagnano. Noi siamo in grado di garantire due tipi di sicurezza. La prima è ovvia: se hai un chip impiantato non rischierai più di perdere la carta o il badge. La seconda è ancora più interessante. Abbiamo implementato un sistema di protezione che si basa sulla tecnologia della blockchain. Questa tecnologia garantisce la massima sicurezza: è così complessa che se qualche hacker volesse rubare i dati e avesse a disposizione i computer più potenti del mondo ci impiegherebbe almeno 90 anni.
Quindi con i chip sottocutanei nessuno saprà cosa abbiamo comprato e dove?
Esatto, ma solo se lo vuoi tu! Abbiamo implementato un sistema di smart contract (contratti intelligenti). Sei tu a decidere se vuoi o non vuoi rendere disponibili certi dati. E qui viene il bello: se decidi di condividere i tuoi dati, come già avviene oggi con la tua carta di credito, tu ci guadagnerai. Abbiamo sviluppato un sistema per redistribuire i guadagni dei grossi gruppi che vendono i dati per studi di marketing. Al momento guadagnano loro sui tuoi dati a tua insaputa, in futuro deciderai tu se metterli a disposizione e se guadagnarci.
Come gestirete l’obsolescenza tecnologica dei chip impiantati?
Certamente la ricerca e lo sviluppo non si fermeranno. Un chip tra 10 anni potrà essere più evoluto di uno di oggi. La tecnologia di base però è semplice. Non ci sono circuiti elettrici e non ci sono problemi di ricarica o quant’altro. Può durare anni senza problemi e per sostituirlo sarà facilissimo: basta una micro incisione.
E non saremo mai tracciati?
No, come detto decideremo noi se condividere le nostre informazioni. Oggi siamo tracciati in tutto, basta solo pensare a GoogleMaps che ci informa in tempo reale sulle condizioni di traffico in strada. Lo può fare perché riceve i dati aggregati da tutti i telefoni che sono in circolazione. Il chip sottocutaneo invece è un sistema passivo, senza GPS. Paradossalmente se uscissimo di casa senza cellulare ma con il chip nessuno saprebbe dove siamo e GoogleMaps non ci potrebbe più aggiornare in modo affidabile sulle condizioni del traffico.
Una persona oggi in Italia potrebbe farsi impiantare un chip?
Se qualcuno vuole può acquistarlo per uso personale ma solo firmando delle autocertificazioni che diano una manleva sia alla Biohax, sia alla persona che glielo installa sotto pelle. Come detto non abbiamo ancora nessuna certificazione dai ministeri della salute europei. Ciascuno col suo corpo può fare quello che vuole, ma sotto la sua responsabilità. L’azienda non garantisce nulla, l’unica cosa che fa è aggiornare sui suoi avanzamenti in ricerca e partnership.
Come fa a mantenersi la Biohax se al momento il progetto non è ancora partito?
Ci sono degli investitori importanti dietro al sistema. Persone che mettono a disposizione capitali di rischio e determinati fondi di investimento. Ma come è facile immaginare non voglio far sapere chi sono.
Quali saranno secondo te le rivoluzioni tecnologiche dei prossimi 5-10 anni?
Il mondo cambierà a dismisura. Fino a 10 anni fa il 90% delle tecnologie attuali non esisteva. Siamo stravolti dalla tecnologia. E anche questo recente COVID-19 ci ha fatto capire quanto sia importante l’innovazione tecnologica. Anche per il mercato italiano che generalmente è più resistente.
Oggi il mondo ti spinge a dare il massimo per far carriera e abbiamo tutti sempre meno tempo a disposizione per noi stessi. Possedere delle tecnologie in grado di farci risparmiare tempo e denaro sarà fondamentale. Se devo dire cosa vedo per il futuro, ad esempio, immagino che le cucine presto scompariranno dalle case. Oggi acquistare cibo con Just Eat costa meno che fare la spesa. In USA è già così in molti luoghi e si parla di black kitchen: ristoranti che si riconvertono per cucinare e consegnare a casa i pasti. Nasceranno poi nuovi settori come quello dell’efficientamento energetico, quello dei nuovi materiali, quello della mobilità intelligente, etc..
Pensi che quest’uso forzato della tecnologia sotto emergenza COVID-19 abbia avviato un nuovo processo?
Si. Durante la quarantena per il COVID-19 siamo stati in letargo due mesi e abbiamo avuto un balzo in avanti di 5 anni a livello tecnologico. E’ avvenuto un importante cambiamento socio-culturale, politico ed economico. Questo virus ci porterà sempre più a distanziarci e la tecnologia sarà fondamentale per costruire nuovi modi di relazionarci. Quando veniamo privati della nostra quotidianità inevitabilmente ci affidiamo alla tecnologia.
Quali opportunità e quali rischi vedi nell’integrazione sempre più pervasiva delle tecnologie nella vita dell’uomo?
La fusione uomo-macchina, che è la base del transumanesimo, è l’unica opzione data per il futuro. Da sempre l’uomo ha desiderato vivere meglio e più a lungo possibile. La tecnologia oggi ci offre la possibilità di avvicinarci a questo sogno. Siamo vicini al momento in cui la ricerca medica ci metterà a disposizione soluzioni tecnologiche da integrare nel nostro corpo. Potremo prevenire molte malattie, il chip sottocutaneo stesso, una volta installato, ci potrà dire se abbiamo bisogno di fare attività fisica, se i nostri livelli di glucosio sono alti e dobbiamo regolare la dieta, se siamo troppo stressati, etc..
In futuro prevedo che con la tecnologia potremo trattare anche disturbi mentali e determinate patologie che immobilizzano le persone. Elon Musk ad esempio sta lavorando con il suo progetto Neuralink ad impiantare microchip nel cervello.
Sinceramente non vedo rischi ma solo opportunità.
Non pensi che chi non riuscirà a stare al passo coi tempi potrà non adattarsi e rimanere escluso?
A vederla tutta sicuramente ci potrà essere una grande differenziazione tra chi avrà la fortuna di usare macchine per migliorare il proprio corpo e chi no. E’ lo stesso discorso che si fa per i vaccini: c’è chi non lo vuole e chi si. Esistevano persone che mandavano a scuola i propri figli anche se non li avevano vaccinati. Per fortuna ora lo Stato è intervenuto ed esclude dalla scuola chi non si vaccina.
Certo, ci saranno differenziazioni sociali, e anche grandi. Ma come ogni processo anche questo è inarrestabile. Ci vorrà tempo perché ci vuole una fase di accettazione ma è inevitabile che prima o poi tutti si dovranno adattare.
Cosa pensi sul fatto che tutte queste tecnologie potranno modificare i nostri comportamenti sociali?
Lo faranno sicuramente. Se vogliamo dirla tutta già oggi in Cina si sta monitorando il comportamento sociale delle persone e si sta dando ai cittadini un punteggio o social rating. Per me questa sarà una delle prossime frontiere che dovrà essere sviluppata. Avremo un rating sociale in base a come ci comportiamo. In certe città della Cina ci sono già milioni di telecamere a riconoscimento facciale che monitorano la vita delle persone: se qualcuno non attraversa sulle strisce pedonali perde dei punti, se fa tafferugli per strada, perde dei punti. Al contrario se rispetta le regole li guadagna. In base ai punti che ha potrà accedere a più possibilità, come ad esempio acquistare un biglietto d’aereo. E’ un modo per educare le persone al benessere della nazione e al diventare cittadini modelli.
La Cina però è un paese dittatoriale
Si infatti. Noi in occidente abbiamo l’opportunità di prendere il meglio da queste tecnologie per migliorare la nostra società senza le derive autoritarie della Cina. Non si può però non osservare che oggi la Cina, anche per via del suo scarso rispetto dei diritti umani, nel campo tecnologico sta viaggiando molto più velocemente rispetto a noi e la tecnologia sarà il petrolio del futuro. Il mondo occidentale non può rimanere indietro rispetto alla Cina.
Ti risulta se il chip sottocutaneo è in uso anche in Cina?
Si, in Cina il chip lo hanno testato ma non ci sono molte informazioni. Sono secretate ma si sa che lo hanno utilizzato. Il problema è che la Cina è letteralmente un universo parallelo ed è impossibile reperire informazioni.
Come vedi il prossimo futuro?
Sicuramente pieno di opportunità. Dal punto di vista globale questo COVID-19 ha fatto emergere tutte le debolezze dell’attuale Unione Europea, sopratutto se confrontata con quella degli Statu Uniti d’America. Credo che sia fondamentale una maggior integrazione tra gli stati per poter diventare più competitivi in ambito tecnologico che come ho detto penso sarà il petrolio del futuro. Temo che senza una vera e propria Unione Europea rischieremmo battaglie tecnologiche tra i diversi stati europei, e sarebbe un peccato. Per fortuna sembra che l’agenda di sviluppo europea dia un buono spazio alla digitalizzazione e questo fa ben sperare.