Davide Bartoccini
Insideover.com
La divisione militare per la ricerca avanzata del Pentagono può impedire la propagazione di un virus e fermare sul nascere lo scoppio di quella che potrebbe rivelarsi una potenziale pandemia? Sembrerebbe di sì, e se l’ente governativo che negli Stati Uniti si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici darà la sua approvazione. Probabilmente già entro l’anno prossimo. Promettendo di dare al mondo (attraverso il finanziamento dei militari) una nuova “arma” nel post-coronavirus.
La Darpa – Defense Advanced Research Projects Agency – divisione di ricerca ipertecnologica del Dipartimento della Difesa americano ha sviluppato un “biosensore” che potrebbe rivelarsi fondamentale nell’individuare la contaminazione da nuove infezioni grazie al riconoscimento preventivo dei sintomi non appena essi inizino a manifestarsi. Le “pandemie” – come lo è diventata oggi il Covid-19 – sono così difficili da contrastare perché il virus si muove più velocemente di qualsiasi misura venga adottata per contenerlo: si tratti di blocchi di voli in entrata e uscita, di merci, embarghi di navi, zone rosse, quarantene coatte o volontario/preventive. Per questo il Dipartimento della Difesa statunitense ha deciso di contribuire – nell’era della guerra batteriologica – a un piano estremamente innovativo per trovare tra le altre una soluzione alle minacce del presente e del futuro. L’idea è quella di finanziare ulteriormente uno studio atto a determinare se davvero un biosensore impiantato sotto la pelle può aiutare i cosiddetti tracker a tenere il passo con l’espandersi di un’epidemia in modo da “frenarla” prima de si tramuti in una pandemia. Fantascienza? Ad un primo approccio potrebbe sembrare. Ma non secondo i funzionari della Darpa, che già tre anni fa sono stati in grado, per esempio, di far pilotare con la forza del “pensiero” una caccia d’ultima generazione F-35 ad una donna tetraplegica. Parliamo dunque di uomini e donne che evidentemente non hanno limiti in quanto a visioni futuristiche – anche se inquietanti e dai risvolti vagamente distopici.
Il sensore “Lumee” sviluppato da Profusa, società privata specializzata in biotecnologie con sede a Emeryville, in California, è composto da due componenti: una è una piccola barretta da 3 mm di idrogel, “materiale la cui rete di catene polimeriche” viene utilizzata ad esempio in alcune tipi di lenti a contatto e altri impianti, da inserire sotto la pelle con “l’ausilio di una siringa”, provvista di una particolare molecola progettata appositamente per cambiare colore quando il corpo che ospita l’impianto inizia a “combattere un’infezione”; e un secondo componente: un piccolo dispositivo elettronico che andrà applicato sulla pelle e che rilevando il colore del sensore interno, evidenzierà la “situazione”. Inviando attraverso un’applicazione le informazioni in tempo reale al proprio medio o a una persona cara. Il sito specializzato DefenseOne lo ha definito come una specie di ” laboratorio del sangue che può raccogliere la risposta del corpo alle malattie prima che il presenza di altri sintomi”: si tratti di una semplice influenza o di una malattia più invasiva, ma basta guardare il video divulgato dalla società che lo ha inventato, e che adesso attende il finanziamento dei militari per passare ad uno step successivo, per capire come questa nuova e fantascientifica tecnologia possa consentire in futuro molto di più.
La notizia è stata rilasciata proprio mentre gli Stati Uniti iniziano a guardare seriamente alla minaccia del coronavirus, che come previsto ha attaccato l’Europa e l’America continentale dopo essersi propagato dal focolaio di Wuhan al resto della Cina e in altri Stati dell’Asia. Il biosensore che i miliari hanno deciso di finanziare potrebbe infatti rilevare, secondo i progetti, i focolai di un’influenza “fino a tre settimane prima che sia possibile rilevarli utilizzando i metodi attuali”. E potrebbe essere anche impiegato per fornire in tempo reale dati riguardanti le condizioni fisiche di un soldato inviato dietro le linee nemiche. Un dual-use dunque, che però sembra essere più orientato all’applicazione nel campo civile, ora che sembra manifestarsi la sua impellente necessità, rispetto a quella immaginata per il campo militare. La collaborazione tra Darpa e Profusa, secondo le parole dell’amministratore delegato di quest’ultima, sembra essere iniziata nel lontano 2011, quando il dipartimento della Difesa ha iniziato a sovvenzionare l’azienda californiana per consentirgli di procedere nelle sue importanti ricerche. “Ci hanno dato finanziamenti per aiutare la nostra ricerca” ha dichiarato Ben Hwang, Ceo di Profusa. L’obiettivo iniziale di Darpa sembrava quello di trovare un supporto che potesse essere applicato sui membri dell’Ussocom, il Comando Operazioni Speciali degli Stati Uniti, inviati in missioni di alto rischio. Il comando delle forze speciali però non ha rilasciato commenti a riguardo.
Ora che tutti i conflitti attivi sullo scacchiere mondiale sono passati in secondo piano rispetto al rischio di una pandemia globale che rischia di mettere a dura prova popolazione ed economia globalizzata, la possibilità di accelerare questo programma per renderlo un pilastro della prevenzione futura sembra quanto mai puntuale. Per questo il Pentagono intende assumere un “ruolo di primo piano nella ricerca” compresa quella sui vaccini. Il generale M. Milley è stato molto chiaro: “I nostri laboratori di ricerca militare stanno lavorando febbrilmente intorno al Covid-19 qui per cercare di inventare un vaccino“. Vaccino che stanno cercando di sviluppare anche ricercatori militari israeliani e cinesi, e che tutti sperano ottenere “nei prossimi due mesi “. Ora, nonostante la psicosi da coronavirus si stia imponendo in tutto l’Occidente e la comunità mondiale stia davvero facendo i conti con un nemico tanto microscopico quanto devastante, la domanda che sorge spontanea: davvero l’umanità sarebbe pronta a farsi impiantare un sensore sottocutaneo per sventare una eventuale futura pandemia?
Fonte: Il Pentagono ha un modo per sventare la prossima pandemia
Visto su: Nogeoingegneria.com