Guerre per bande
Roma come Ramallah
Mentre il rais Berlusconi pensa a risorgere
DI CLAUDIO LANTI
Roma 17 novembre (La Velina Azzurra) – In queste ore Roma assomiglia molto a Ramallah, la capitale del piccolo regno palestinese in balia delle bande armate per la spartizione degli ultimi soldi e dell’ultimo miserabile potere.
Il Rais Berlusconi potrebbe cadere o meglio molti spingono per farlo cadere. Il governo non riesce a definire la legge finanziaria, cioè il bilancio dello Stato, che è il suo obbligo minimo. Non è riuscito ancora, dopo gli scandali Cirio e Parmalat, a presentare la bozza di legge per la tutela del risparmio, che i mercati internazionali esigono per dare ancora un briciolo di fiducia al nostro Paese. Non vi è riuscito perché il governatore Antonio Fazio non vuole.
Tremonti è caduto nei suoi vani assalti contro le trincee dove sono asserragliati banchieri, burocrati e tecnici della prima repubblica. Siniscalco, che non vuole morire anche lui, ha bloccato il provvedimento, riprendendolo di nuovo dalle mani del Parlamento. Ma perché Fazio non vuole le nuove norme per la tutela del risparmio? Perché sicuramente dovrebbe lasciare Bankitalia. E, immaginando che il potere di verifica sui bilanci delle banche vada in mani non amiche, c’è il caso che si scopra che sono falsi. Potrebbe saltare l’intero mercato dei bond. Potrebbero venir fuori responsabilità penali molto gravi. Quindi la resistenza del vecchio Politburo è diventata disperata. Sembra di essere nell’URSS di Cernenko, la penultima, quella decrepita e timorosa di qualsiasi minima novità. Tanto che quando Gorbaciov tentò le prime riforme crollò tutto.
Intanto, come a Ramallah, servono soldi che non ci sono per mantenere le poche milizie mercenarie rimaste, i reduci affamati di quella che fu da noi l’armata lanzichenecca della prima repubblica. Qualcuno ha rilanciato l’idea di mettere le mani sulle aziende municipalizzate, dandole in regalo alle solite Fondazioni, che si sono già mangiate le banche. Si cerca di spremere gli ultimi spiccioli anche azzuffandosi sul Mezzogiorno Berlusconi è stato accerchiato all’improvviso: An e Udc da un lato e Montezemolo dall’altro. Il sottosegretario siciliano di Forza Italia Micciché, uno sempre sotto gli occhi della magistratura e di chissà chi altro, pugnalava il Cavaliere anche lui minacciando di dimettersi. Quand’ecco che, sempre da Palermo, addirittura il capo dello Stato rilanciava la “questione meridionale”. “E’ intollerabile .. etc”, azzardava. Qualcuno in grado di influenzarlo lo ha spinto a questa improvvisa scoperta, dimenticando che Ciampi è stato alla Banca d’Italia per 47 anni di cui 14 da governatore. Poi è stato capo del governo per un anno e ministro del tesoro e bilancio per altri tre anni prima di passare al Quirinale già 5 anni or sono. E si è accorto del divario nord sud proprio nel giorno in cui il Cavaliere barcollava. Coincidenze, immaginiamo.
Sembrava comunque la spallata finale. Così Berlusconi correva nella clinica di Umberto Bossi a farsi una terapia urgente. La situazione era talmente brutta che i capi padani neanche pronunciavano troppo chiaro il loro appoggio al Cavaliere per non provocare contraccolpi. A sua volta, l’opposizione non spingeva. Come sempre nelle manovre contro il governo di centro-destra D’Alema, Rutelli, Prodi, etc si defilavano fischiettando. Se il Cavaliere cade, la sinistra vuole che la crisi sbocchi in un governo politico, non cedere il potere al “partito del politburo”. Mentre quest’ultimo vorrebbe un governo tecnico che duri, non solo quattro mesi per arrivare alle elezioni anticipate, ma molto di più. Per fare cosa? Bella domanda, per resistere, per aggrapparsi alle scialuppe, per tentare tutti una via di fuga, magari con le ultime banconote.
Così il fronte nemico del Cavaliere si è frantumato ancora di più. La candidatura di Montezemolo a capo del sospirato governo tecnico sembra proprio tramontata. Il personaggio sembra impazzito, corre per l’Italia eccitato, non si sa bene da che cosa. Non fa discorsi ma comizi, grida slogan e invettive, come nessun capo della Confindustria ha mai fatto. E’ finito alla berlina generale. Si è bruciato oppure l’hanno bruciato. Il Corriere della Sera di lunedì, supplemento economico, l’ha massacrato denunciando la sua brama di sovvenzioni pubbliche “a pioggia” , contrastata persino da una parte dagli imprenditori. Perché quest’attacco all’ex candidato del Quirinale proprio dal Corriere quirinalizio di Stefano Folli? E che cosa significa l’improvvisa attenzione del quotidiano milanese per Giuliano Amato? Le bande in guerra non sono più neanche identificabili. E nella confusione, il Cavaliere non può nemmeno sloggiare da Palazzo Chigi perché non c’è proprio nessuno in grado di prendere il suo posto.
Così siamo alla tragicomica finale. Il nostro Rais affida le ultime speranze di sopravvivenza alla manciata di euro da erogare con l’impossibile riduzione delle tasse. Quasi i pacchi di pasta che Achille Lauro distribuiva a Napoli in campagna elettorale. Ma Siniscalco non gli da retta perché evidentemente i suoi referenti sono altrove. Berlusconi non ha la forza di rimuovere un secondo ministro del tesoro in quattro mesi. Ma ha scoperto di poter scaricare le colpe del suo suicidio politico sui tecnici che si è tenuto per tre anni e mezzo. Qualcuno gli ha suggerito di cercare il responsabile, anzi il “traditore” a pochi metri dalla sua scrivania. Chissà se si alludeva al capo dei mandarini Gianni Letta. E’ un classico di fine regime quando un governo cerca di addebitare il proprio fallimento alla burocrazia di cui si è servito. Di solito è quest’ultima che la spunta. E quindi, un giorno o l’altro potremmo avere un governo Letta.
Lo stesso Berlusconi sta pensando a una via di fuga. Prima o subito dopo Natale arriverà la sentenza al processo Sme dove il pubblico ministero Ilda Boccassini ha lanciato l’offensiva finale chiedendo per il premier 8 anni per gli stessi reati già esclusi per Cesare Previti. Se va, è fatta. Nessun capo di governo può restare in piedi con una condanna a 8 anni di carcere in primo grado. A quel punto, secondo certe analisi, il Cavaliere starebbe pensando di risorgere dalla sua bara politica assumendo nuove spoglie: in pratica un ruolo vampiresco intermedio tra quelli svolti da Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia. La sua megalomania avrebbe immaginato questo disegno: vendere Mediaset a Murdoch, realizzando una cifra da capogiro con la quale acquistare il controllo di Telecom, ripulita dei debiti, più altre partecipazioni qua e là, magari un pezzo di Ferrari e un altro di Alfa Romeo.
Ed ecco, in una repubblica distrutta e svuotata della propria classe dirigente, eccolo acquattato al centro della tela, al riparo dai veleni della politica e della giustizia, eccolo rinato più potente di sempre a gestire un potere reale, come ai tempi gloriosi di Craxi e Forlani. Ecco il nuovo sogno del Berlusca.
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