Storia da prima pagina
DI ZIAUDIN SARDAR
La fobia dell’Islam non è soltanto una malattia inglese: in ogni parte
d’Europa, i liberali manifestano apertamente pregiudizi contro i
musulmani. Si prospettano nuovi massacri?
Ziauddin Sardar riferisce dalla Germania, dai Paesi Bassi, dal Belgio e
dalla Francia.
E’ una fredda e rigida notte e il centro di Dortmund è deserto. Nei
giorni lavorativi, tutto chiude alle 22 in punto – racconta il nostro
tassista-. Non è facile trovare un posto dove mangiare. Alla fine, ci molla
al ristorante “la Cava” in Lindemannstrabe. C’è solo una coppia in
questo bistrot post-moderno ultra-chic. Ci sediamo vicino a questa coppia e
ordiniamo. Dortmund, in Germania, è il primo scalo del mio viaggio
attraverso il cuore industriale dell’Europa settentrionale. Dopo gli
attacchi terroristici a Londra e i disordini nei quartieri francesi, voglio
valutare lo spartiacque razziale, la paura e l’odio che pervadono così
tanto il nostro continente europeo.Christoph Simmons è un agente assicurativo quarantenne; la sua ragazza,
Baneta Lisiecka, è un’immigrante polacca. I due giovani ci invitano
adunirci a loro per far un giro di notte nella “città verde”. Noi ci
dirigiamo con la macchina sportiva di Christoph verso Limette, “l’unico pub
che resta aperto fino alle 6 del mattino a Dortmund”. Dortmund è una
città multiculturale ben integrata nell’economia globale –spiega
Christoph; una città un tempo mineraria che oggi è una base florida per la
ricerca di tecnologie avanzate.
“Le nostre comunità di immigranti sono bene integrate”-afferma
Christoph. Greci, Italiani, Spagnoli, Polacchi vivono in perfetta armonia con i
tedeschi. C’è solo un problema: i Turchi. “Loro non si integrano”.
Baneta sostiene che sono “per la maggior parte criminali” e lei ha paura di
loro. Christoph poi aggiunge: “I Turchi sono conservativi; le donne
coprono la loro testa. Il Corano dice loro di uccidere i Cristiani”. Gli
domando se ha mai incontrato un uomo turco. Christoph risponde di no.
“Loro stanno sempre tra loro e non frequentano i nostri pub”. Parlo con
altre persone che si trovano nel pub Limette. Jasmine, una donna
cattolica che viene dalla Corsica, riassume il sentimento generale. “Non mi
piacciono i Turchi. Non so perché: So però che non mi piacciono”.
E tuttavia scopro che queste aperte manifestazioni di razzismo non
sembrano essere contraccambiate dai Turchi tedeschi. Nel bar “Orhan
Narghilé Grill”, nella parte turca di Dortmund, incontro Suniye Ozdemir, una
mamma single nata in Germania. “Non so perché i Tedeschi ci odino così
tanto. Non so perché siano spaventati dalla gente turca. Forse sono
gelosi. Forse temono che noi rubiamo loro il lavoro” afferma la donna con
meraviglia. Lei mi presenta a un gruppo di ragazze che frequentano la
“Helmholtz Grammar School”. Queste ragazze dell’età tra i 16 e i 18 anni,
sono sicure di sé e distinte, e parlano bene inglese. Vogliono
diventare professioniste ed avere successo. Gulsum, che porta la hijab,
sostiene che loro si confrontano col razzismo ogni giorno: a scuola con gli
insegnanti, nei bus, per le strade. La sua amica, che non porta la hijad,
afferma:“Noi siamo nate in Germania e siamo tedesche. Noi stiamo tutte
insieme per tutelarci, per evitare ostilità”.
Per tutta la durata del viaggio, dalla Germania ai Paesi Bassi, oltre
il Belgio e infine in Francia –oggetto di molta attenzione- incontro
persone pronte a descrivere i musulmani usando le tinte dell’oscurità. La
fobia dell’Islam non è una malattia inglese: essa è un comune, seppur
differente, fenomeno europeo. È uno scoglio particolare contro il quale
si infrange la marea del liberalismo europeo.
Ci sono temi comuni ma anche sottili differenze nel modo in cui la
storia di ogni nazione influenza l’attuale atteggiamento della gente nei
confronti delle comunità di immigrati. Parte di quest’atteggiamento è
radicata nelle varie storie coloniali. In Germania il nazionalismo e il
colonialismo giunsero in ritardo ma furono entrambi vissuti come
avvenimenti negativi. Nel 1880 si lottò duramente per comprovare l’importanza
della nazione. Le radici dei problemi etnici affondano, tuttavia, nella
storia e nella cultura. Molti dei precedenti principati e degli
staterelli che formavano la Germania erano parti del Sacro Romano Impero di
Carlo Magno, un’unità costruita sotto assedio e in reazione della reale
minaccia rappresentata dalla civiltà musulmana. I Tedeschi abbracciarono
le Crociate con gran forza: la prima infame crociata cominciò a casa
con i massacri contro gli Ebrei. La causa scatenante le Crociate fu
l’affermazione dell’importanza della Germania; l’odio nei confronti dei
Turchi era spesso espresso attraverso un linguaggio crociato –anche se
espresso in termini liberali.
La popolazione dell’attuale minoranza etnica in Germania è l’eredità
dell’alleanza militare in tempo di guerra con la Turchia. Sotto la
politica del gastarbeiter (“il lavoratore ospite”), i Turchi erano buoni
abbastanza per essere importati in massa per ricostruire la Germania
lacerata dalla guerra ma non abbastanza buoni per ottenere la nazionalità
tedesca. Essi esistevano al di fuori dei confini dell’identità tedesca.
Ciò rappresentava la continuazione della purezza razziale in una forma
diversa. Ora che essi possiedono la carta di identità nazionale –mi
chiedo- è ancora il problema di ein Volk –un popolo- la nozione nazista
della purezza razziale?
“Mi spiace ma è così”-afferma Wolfram Richter, professore di economia
all’Università di Dortmund. Ci sono molti motivi per i quali i Turchi
sono odiati –sostiene Richter. Fattori sociali per i quali, ad esempio, i
Turchi comprano solo nei negozi turchi; ragioni culturali per cui le
donne turche si coprono il viso; problemi linguistici per cui le
generazioni più vecchie non parlano ancora tedesco. Sono considerati infedeli.
C’è inoltre la sindrome “della sposa”: i Turchi che vivono in Germania
sono soliti tornare in Anatolia per sposarsi e portare le loro spose in
Germania. Ma il motivo principale che determina la paura e l’odio verso
i Turchi –sostiene Richter- è il razzismo di un tempo. “Mi spiace ma
non abbiamo imparato nulla dalla nostra storia. La mia paura più grande è
che noi facemmo agli Ebrei quello che oggi facciamo ai Musulmani. Il
prossimo olocausto sarebbe contro i Musulmani”.
Attraversando i confini nei Paesi Bassi, giungiamo a Eindhoven, una
vivace città culturale con una popolazione giovane, dove la paura dei
musulmani è ugualmente evidente. Ci sono meno di 5 mila musulmani a
Eindhoven e vivono tutti nascosti in un quartiere chiamato Woensel. Ma prova a
chiedere ad un tassista di portarti lì. La nostra tassista, Kim de
Peuyssenaece, è decisa: “E’ una zona pericolosa dove potresti anche essere
ucciso”- ci dice. Kim ha il ragazzo marocchino; ci mostra la sua foto
sul display del telefonino; nonostante ciò afferma che “la maggior parte
dei marocchini è criminale” ed aggiunge che “stanno rovinando il nostro
Paese”. Ci lascia di fronte a un bar marocchino che si trova a fianco
del nuovo quartiere, una specie di “John Lewis-meets-porn”. All’interno
del Bar Safrak, l’atmosfera è pesante a causa del fumo. Gli uomini
giocano a backgammon, a scacchi e a domino. “Noi non facciamo parte della
comunità olandese”-afferma il proprietario del bar, un uomo marocchino
alto, aggressivo che non vuole dirci il suo nome. “Loro non ci trattano
con rispetto e dignità. Loro pensano che noi siamo separati da loro,
allora noi ci appartiamo”.
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Che gli Olandesi considerino i musulmani una comunità separata da loro
non è una novità. L’Olanda ha alle spalle una storia coloniale brutale
così come l’Inghilterra, e il gioiello nella sua corona era la nazione
più popolosa esistente sulla terra:l’Indonesia. La rivolta islamica ad
Aceh è l’eredità di una lunga guerra con l’Olanda, una guerra che i
colonizzatori mai vinsero e che mai terminò. La schiavitù ed il lavoro
forzato nelle piantagioni olandesi appoggiarono un severo sistema che
separava i padroni da coloro i quali venivano governati. Gli olandesi erano
interessati a categorizzare e ad organizzare bene le diversità dei
popoli su cui governavano; facevano il meglio che potevano per mantenersi
distinti e indipendenti. La politica coloniale ora riecheggia a casa.
In un’altra parte di Eindhoven incontriamo Jamal Tushi, una consulente
IT di 30 anni. “Ci trattano come soggetti coloniali”- ci dice. “Secondo
loro, tutti i musulmani sono terroristi”. Tushi è nato ed è stato
educato ad Eindhoven e parla benissimo olandese, ma pensa che sia difficile
trovare un lavoro. “Se sei un giovane marocchino, dimentica l’idea di
trovare un lavoro”- ci dice. Nei colloqui di lavoro, il liberalismo
olandese più volte acclamato sparisce. “Vogliono sapere che tipo di
musulmano sei. Preghi? Frequenti la moschea?”.
Il liberalismo olandese aveva significato solo per l’Olanda. Oggi si
estende alla prostituzione e alla droga, ma non agli immigranti
musulmani. E’ come la “politica etica” che l’Olanda ha sviluppato per le sue
colonie. La politica riguardava la superiorità olandese; ha poco a che
vedere con la realtà quotidiana della gente che essi governano, e fa poca
differenza alle loro condizione. Le colonie servivano la città, senza
tener conto di come loro parlavano e discutevano. Il linguaggio
dell’etica concerneva sempre il “Ci” del colonizzatore e mai il “Loro” del
popolo colonizzato, così come tutte le discussioni sul multi-culturalismo
in Olanda è alla base di che tipo di Nazione “Noi siamo”, ora che
abbiamo sorpassato il “Loro”. Includere l’altro, ieri ed oggi, non era il
problema. Il liberalismo olandese riguarda quanto buoni e aperti “Noi”
siamo –non si tratta di una negoziazione aperta su cosa il liberalismo in
realtà significhi per le minoranze.
Noi prendiamo il treno per Antwerp. Il Belgio rappresenta un esempio
interessante di multi-culturalismo, diviso come è tra gli
Olandesi/Fiamminghi che parlano fiammingo e i Valloni che parlano francese. Esiste
anche una divisione religiosa, tra Cattolici e Protestanti. Nel 1994 una
revisione della costituzione introdusse il decentramento nel tentativo
di affrontare la divisione tra le comunità, esistente da molto tempo e
riconobbe tre regioni e tre gruppi linguistici. Tuttavia, affrontare la
questione del multi-culturalismo in tutte le sue fratture interne, non
significa aprirsi del tutto alle comunità di immigranti.
Nel centro di Antwerp ci imbattiamo in Noor Huda e la sua amica Fatimah
Zanuti. Huda, appena ventenne, è un tecnico medico nell’ospedale della
città. Ci dice: “Il multi-culturalismo in Belgio ha senso per i Belgi”,
ed aggiunge: “Noi non veniamo considerati Belgi”. Huda è nata ad
Antwerp,come i suoi genitori. “Appartenere alla terza generazione belga non è
importante. Noi siamo ancora soggetti coloniali”. Ci racconta che il
razzismo e l’odio nei confronti dei musulmani sono così endemici in
Belgio che “tu devi sempre stare attento a cosa dici. Noi abbiamo paura a
manifestare i nostri pensieri. Tu non hai il diritto di dire cosa in
realtà vorresti dire”.
Le barriere in Belgio, come in ogni parte d’Europa, sono nate con la
storia coloniale e gli atteggiamenti che ne sono scaturiti. E il Belgio
ha alle spalle una delle storie coloniali più immorali e disumane. Cuore
di tenebra di Conrad e il suo ritratto di Kurtz nella sua prigione
circondato da capi severi è basato sulla realtà, non è un’allegoria o la
metafora di una finzione. Nelle colonie belghe come ad esempio il Congo,
i nativi rappresentavano un problema – e il problema esisteva perché
non lavoravano abbastanza duramente, non producevano abbastanza gomma per
la città. Ecco perché la polizia armata avrebbe invaso i villaggi,
catturato donne e bambini, li avrebbe imprigionati, e avrebbe ucciso alcuni
di loro fino a che la quantità di gomma richiesta non sarebbe stata
consegnata dagli uomini.
La polizia armata è bene in vista nella stazione in Lange Nieuwstraat.
Un agente non perde tempo nel farci notare che i musulmani
rappresentano un problema. Dice: “E’ una strada a senso unico. Stiamo aspettando
che si avvicinino a noi”. Chiedo se “dovrebbero anche loro avvicinarsi”.
Senza esitare, l’agente risponde “No! Noi non rappresentiamo un
problema. E’l’Islam il problema. Se l’Islam è coinvolto, non è possibile fare
nulla”. L’agente si aspetta che avvenga una rivolta, prima o poi.
Una rivolta, o meglio una serie di rivolte, avvennero a Lille, l’ultima
fermata del nostro viaggio. Lille, una città industriale nella Francia
settentrionale, sperimentò alcune tra le peggiori agitazioni recenti.
Emmanuel Peronne, un disegnatore di moda nel quartiere Roubaix, non ha
alcun dubbio sulla causa delle rivolte. Egli afferma: “Si tratta di
ingiustizie economiche e disuguaglianze che per generazioni musulmani
marocchini e algerini hanno sofferto nel trovare lavoro, casa e nella
possibilità di avere un’educazione, anche se il razzismo vero e proprio
dipende dalla società francese”. “Non hanno nessun mezzo per sopravvivere.
Tutto è sopravvivenza”. Roubaix, sfondo delle più violente rivolte, è
una zona agiata in rovina. “Loro ci chiamano immigrati” –dice un
macellaio piuttosto arrabbiato- “ma noi siamo nati qui. Noi non abbiamo nessuna
legittimazione per gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza”.
Davvero! I caratteri della rivoluzione francese non erano mai stati
tradotti come pluralistici. Piuttosto si fondavano principalmente su una
uniformità totalitaria – il flagello che inflisse quasi fosse un
sostegno alla modernità e al nazionalismo europeo. Rappresentava anche la base
del colonialismo francese, il quale creò diversi mondi paralleli:
l’universo francese superiore e gli altri mondi ad esso inferiori.
L’assimilazione nell’essere francesi e il compito indiretto sulle differenze
erano le tracce gemelle del colonialismo francese. Quindi, ufficialmente,
perché la Francia riconosca soltanto l’essere francese, essa pretende
di essere neutrale e anti-razzista, sebbene sia altamente razzista e in
sintonia con tutti i divieti rivolti a persone di colore.
A Lille così come a Parigi e in altre parti della Francia, esiste un
netto parallelo che dimostra la continuità dell’etica coloniale. Nel Nord
Africa, da dove proviene la maggior parte degli immigranti francesi, le
medine, città antiche a cultura musulmana, sono rinchiuse nella loro
diversità. Le medine sono considerate caotiche, confuse e non adatte alla
modernità –esse rappresentano nella loro fisicità cosa i francesi
pensano degli abitanti delle medine e della loro cultura. Intorno a questi
vecchi inaccettabili centri venivano costruite moderne città secondo il
modello francese, e lì i colonizzatori vivevano e da lì governavano.
Oggi, Lille ha il suo centro tradizionale, è una città legata i cui
confini sono gelosamente protetti. Intorno a questo centro inviolabile ci
sono i deprimenti banlieues: moderni quartieri di baracche grigie,
inospitali e in condizioni disumane costruite per alloggiare i lavoratori
immigrati. L’aspetto razionale della colonia è nettamente invertito e
riportato alla città. E’ una metafora per tutto quello che non è cambiato.
Durante il nostro viaggio, noi ci stupivamo di quanti pregiudizi
manifesti la gente avesse nei confronti dei musulmani. Ogni paese ha il
proprio partito di estrema destra, guidato da esponenti come Jean-Marie Le
Pen in Francia o Pim Fortuyn, che venne ucciso in Olanda nel 2002. In
Belgio, la destra draconiana è rappresentata dal Vlaams Blok, un partito
nazionalista fiammingo fondato nel 1977. Philippe Van der Sande, il suo
portavoce ad Antwerp, sostiene che “gli immigranti non si adattano. Non
vogliono imparare la lingua. Non mostrano alcun interesse a conoscere
la nostra cultura; vogliono solo guadagnare denaro facile”. La gente con
cui abbiamo parlato era gente comune che considerano sé stessi liberali
e individui illuminati.
Il liberalismo europeo oggi rappresenterebbe una conseguenza della
decolonizzazione. Sembra però più un rifiuto dei caratteri più scomodi e
non-analizzati che un vero superamento del passato. L’Europa è sì
post-coloniale ma è anche ambivalente. Persino tra la gente che ha degli
atteggiamenti più aperti ai rapporti interrazziali, il razzismo è spudorato
e di ampie vedute. In pratica, oggi come in passato, alcune relazioni
non fanno differenza perché comunque richiedono subordinazione da parte
del partner che fa parte di una minoranza etnica. Essi possono quindi
lavorare per accrescere il senso di superiorità e di divisione. Questo
significa meno enfasi sulla razza, ma più sulla cultura come fosse la
quinta essenza della linea separatrice.
Ovunque andassi, mancava nel pensiero comune della gente il presupposto
di accogliere le minoranze. Le minoranze sono buone come lavoratori
servili, sono una classe subordinata. E’ quando le minoranze cercano di
elevarsi socialmente, provano a vivere il moderno governo liberale come
essi credono giusto –e questo era il desiderio più grande che i
musulmani giovani che ho conosciuto avevano- che cominciano i problemi e i
pregiudizi latenti divengono attuali.
La moschea centrale di Lille si trova nella zona Wazemmes. E’ una
struttura piuttosto irrilevante: sembra di aver messo insieme tre case alla
meglio e di aver aggiunto una piccola cupola e un minareto in modo
piuttosto crudo. La moschea serve anche come scuola musulmana in Francia.
E’ stata nominata dopo Averroes, il grande filosofo razionalista ed
umanista spagnolo del secolo XII. E’ un peccato che l’Europa si appropriò
del suo razionalismo ma si liberò del suo umanismo pluralistico. Ibn
Rushd, per usare il suo nome musulmano, chiederebbe che l’ordine stabilito
che definisce onorevole e etico, liberale e tollerante, offrisse una
giusta spiegazione a quelli che esso continua a discriminare,
disumanizzare e avvilire.
Ziauddin Sardar
Fonte: www.newstatesman.com
Link:http://www.newstatesman.com/200512050006
5.12.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LORY & STEFY