DI JONATHAN COOK
Counterpunch
I gruppi di ebrei di estrema destra
responsabili di una serie di incendi nelle moschee dei Territori Occupati
nell’ultimo anno sono entrati in una zona pericolosa la scorsa settimana,
quando hanno rivolto la propria attenzione per la prima volta ai luoghi
sacri all’interno di Israele. È stata incendiata una moschea, seguita
giorni dopo da un attacco ai cimiteri musulmani e cristiani.
In ogni caso i coloni hanno lasciato
la propria firma, le parole scarabocchiate a mano“Cartellino del Prezzo”, che indicano
un atto di vendetta.
Nessuno dei recenti attacchi contro
i palestinesi è arrivato in tribunale. La cosiddetta “divisione
ebraica” della polizia segreta dello Shin Bet, che è incaricata
di risolvere questi crimini, è nota per essere più che blanda nelle
proprie indagini. Come molte istituzioni statali, esercito compreso,
i suoi ranghi sono ricolmi di coloni.
Paradossalmente, un recente documento
dello Shin Bet aveva allarmato che le reti terroristiche ebraiche
non solo stavano fiorendo nelle serre degli insediamenti della West
Bank, ma che erano sempre più sfrontate per la propria impunità.
La dissacrazione della scorsa settimana
di una moschea nel villaggio beduino di Tuba Zangariya nel nord di Israele
non è per questo una sorpresa. È stata seguita nella fine settimana
dallo spoglio di due cimiteri a Jaffa, vicino a Tel Aviv.
L’obbiettivo del movimento dei coloni
è quello di distruggere ogni speranza per la soluzione dei due stati,
che viene considerata limitante per il diritto del popolo ebraico di
godere della terra promessa da Dio. Incitati da un numero crescente
di rabbini, gli integralisti in questo campo sono troppo ottusi per
comprendere che i dirigenti israeliani, compreso il Primo Ministro Benjamin
Netanyahu, hanno già invalidato il processo di pace.
Non è una coincidenza che l’incendio
alla moschea di Tuba sia giunto dopo la richiesta presentata lo scorso
mese alle Nazioni Unite da Mahmoud Abbas per riconoscere la sovranità
palestinese. Il presidente dell’Autorità Palestinese ha posto dei
paletti e lo stesso hanno fatto i coloni, includendo questa volta anche
la minoranza araba palestinese in Israele, un quinto della popolazione,
nel loro “cartellino del prezzo”.
La nuova strategia degli estremisti
ebraici è apparentemente quella di aizzare l’odio e la violenza dai
due lati della Linea Verde. Come è stato suggerito da Jafar Farah,
il direttore del Centro Mossawa, un gruppo di supporto arabo-israeliano,
l’intenzione è quella di far sfumare ogni sostegno residuo tra gli
ebrei israeliani a favore di uno stato palestinese convincendoli che
sono in una lotta apocalittica per la sopravvivenza.
L’obbiettivo è stato scelto accuratamente
per questo scopo. Tuba è una delle poche comunità arabe davvero “leali”
in Israele. Quando molti beduini furono espulsi nel corso del conflitto
del 1948 che creò Israele, le tribù di Tuba e Zangariya ottennero
una zona nei pressi delle comunità ebraiche come ricompensa per aver
combattuto al fianco delle forze armate israeliane.
Privati del lavoro e dovendo affrontare
la stessa discriminazione sofferta dal resto della minoranza araba,
molti ragazzi, come i loro avi, sono nelle file dell’esercito israeliano.
Dopo l’attacco alla moschea, un dirigente della comunità ha esclamata
a un giornalista israeliano: “Siamo tra i fondatori dello Stato
di Israele.”
Ma quando si sono diffuse le notizia
della dissacrazione della moschea, i giovani infuriati hanno bruciato
edifici del governo, hanno sparato in aria con i fucili dell’esercito
e si sono scontrati con la polizia. Il sogno dei coloni di mettere a
fuoco la Galilea è sembrato per un momento potersi realizzare.
Lo scorso sabato, in seguito all’attacco
ai cimiteri di Jaffa, è stata scagliata una Molotov alla vicina sinagoga
per rappresaglia, infiammando ulteriori tensioni.
Netanyahu era tra quelli che hanno
denunciato l’appiccamento delle fiamme alla moschea, ma la logica
del suo approccio al processo di pace è concorde a quella dei coloni
militanti. Assieme al Ministro degli Esteri di estrema destra Avigdor
Lieberman, hanno creato un clima in cui il racconto di un’epica battaglia
ebraica per la sopravvivenza sembra plausibile per molti israeliani
comuni.
Come i coloni, Netanyahu si oppone
alla nascita di un significativo Stato palestinese; anche lui ritiene
che la rabbia del mondo per Israele è alimentata dall’antisemitismo,
e anche lui vuole riaprire il “capitolo del 1948”, uno storico riconoscimento
in cui lo status della minoranza araba possa essere riesaminato.
E sempre come i coloni, Netanyahu affronta
le richieste di pace con il pugno di ferro che auspica al meglio la
capitolazione palestinese e che nell’ipotesi peggiore ci suggerisce
un futuro in cui potrà essere necessaria una seconda ondata di pulizia
etnica per “finire il lavoro” del 1948.
I festeggiamenti nei Territori Occupati
dopo l’iniziativa di Abbas all’ONU– un atto solitario di sfida
del leader palestinese– si faranno rapidamente tristi quando
diventerà chiaro che Stati Uniti e Israele non sono in vena di fare
concessioni. La domanda è: cosa avverrà poi? Malgrado i migliori sforzi
di Netanyahu e i coloni radicali per dar forma a una risposta, potrebbe
non essere di loro gradimento.
Senza alcuna speranza per una propria
sovranità, i palestinesi dovranno delineare una nuova strategia per
far fronte alla realtà di un sistema di apartheid in cui i coloni
ebraici diventeranno i loro vicini permanenti. Intrappolati in un solo
stato gestito dagli occupanti, i palestinesi potrebbero fare esperienza
dei loro cugini all’interno di Israele.
La comunità araba di Israele
sta lottando contro la marginalizzazione e la subordinazione dentro
lo stato ebraico da decenni. Hanno dato risposta con una campagna per
l’uguaglianza che si è inimicata la maggioranza ebraica e che ha
avuto come esito un’ondata di leggi anti-arabe.
Le due comunità palestinesi,
entrambe alle prese con un futuro più ostico sotto il governo
di Israele, hanno tutti gli incentivi per sviluppare una piattaforma
comune e per lottare unitamente – e con più forza – contro lo strabordante
regime del privilegio ebraico.
La loro risposta potrebbe essere una
risposta “occhio per occhio, dente per dente”, la preferita dai
coloni. Ma una strategia più efficace e forse più a lungo termine
è un movimento per i diritti civili come quelli che hanno combattuto
contro le leggi di Jim Crow negli Stati Uniti e contro l’apartheid
in Sud Africa. Un semplice grido di massa, alzata da un mondo esasperato
dall’atteggiamento autodistruttivo di Israele, potrebbe essere “una
persona, un voto”.
Netanyahu e i coloni sperano di domare
i palestinesi con l’istituzione della Grande Israele. Ma, come suggerisce
la conflagrazione delle moschee, alla fine potrebbero ottenere l’esatto
opposto. Ricordando ai palestinesi dall’altro lato della Linea Verde
il loro destino comune, Israele potrebbe scatenare una forza troppo
potente da controllare. Il cartellino del prezzo – questa volta richiesto
dai palestinesi – sarà davvero alto per i suprematisti ebrei.
Fonte: The Price of Torching Mosques
12.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE