DI JOHN CHAN
World Socialist Web Site
L’annuncio degli Stati Uniti di una vendita di armi, che si attesta sui 6,4 miliardi di dollari, a Taiwan, ha provocato una forte reazione da parte della Cina così come un forte aumento delle tensioni tra le due grandi potenze. La determinazione, da parte di entrambe, di prendere una posizione dura senza preoccuparsi delle conseguenze, fa nascere lo spettro di una frattura aperta nelle relazioni diplomatiche e politiche dei due paesi.
La decisione di annunciare questa vendita dal momento che si sapeva bene che la Cina avrebbe reagito con forza, era, da parte degli Stati Uniti, una mossa calcolata, destinata a contrastare la crescente influenza economica e politica di Pechino, nel mondo. Un articolo del New York Times, di lunedi’, dichiara che l’amministrazione Obama aveva cominciato un “ripiegamento”. Annunciando questa vendita d’armi, gli Stati Uniti avevano “lanciato un colpo dritto al cuore della questione diplomatica piu’ sensibile esistente tra i due paesi, da quando l’America ha aderito alla politica di una sola Cina nel 1972.”.
Il New York Times spiega che la vendita era doppiamente esasperante per Pechino dato che è giunta a così poca distanza dall’annuncio di Bush, nel 2008, di una vendita simile a Taiwan e giusto nel momento in cui Pechino e Taiwan si trovavano in una sorta di distensione nelle loro relazioni. L’annuncio fu dato lo stesso giorno che la segretaria di Stato americana agli Affari esteri, Hillary Clinton, aveva criticato Pechino pubblicamente per non aver accettato nuove misure punitive nei confronti dell’Iran e del suo programma nucleare. Washington ha affondato il coltello nella piaga insistendo perchè l’incontro tra Obama e il Dalai Lama avesse luogo malgrado le obiezioni cinesi.
Il rifiuto della Cina di lasciarsi intimidire e farsi forzare a mitigare la sua posizione nei confronti dell’Iran è solo una delle numerose cause di frustrazione per Washington. Durante la sua visita a Pechino, lo scorso anno, Obama aveva spinto i suoi omologhi cinesi a rivalutare lo yuan rispetto al dollaro e ad accettare delle limitazioni definitive per le emissioni di CO2. Il presidente americano non ha solamente fallito riguardo la questione di una rivalutazione monetaria ma gli è anche stata data una lezione sul bisogno di una gestione economica sana. Il primo ministro cinese gli ha inflitto un affronto al summit sul clima di Copenaghen, inviando, all’ultimo minuto, a dei negoziati cruciali, dei responsabili di secondo piano.
Washington ha deciso per un “ripiegamento” sulle questioni particolarmente sensibili. Steve Clemons, direttore di politica estera della New America Foundation, ha dichiarato al New York Times che “la Cina si sente particolarmente sicura in questi giorni, ma la questione per la quale i cinesi se la prendono regolarmente, è quella della sovranita’. Quindi tutto quello che riguarda Taiwan o il Tibet li fa reagire”.
Pechino considera Taiwan come una provincia rinnegata e ha minacciato di invaderla se Taipei dovesse dichiarare una indipendenza formale. Washington ha sostenuto la dittatura del Kouo-min-tang, impostosi sull’isola dopo la rivoluzione cinese, ma nel 1972 c’era stato un riavvicinamento con la Cina. L’accordo tra i due paesi è sempre stato pieno di contraddizioni, gli Stati Uniti riconobbero il controllo di Pechino sull’insieme della Cina, Taiwan compresa, ma continuando ad opporsi a qualunque unificazione con la forza e la vendita di armi a Taiwan malgrado le obiezioni cinesi.
La Cina è particolarmente sensibile alla questione di Taiwan perchè ogni passo verso una indipendenza da parte di questa, incoraggerebbe movimenti separatisti in altre regioni, tra cui il Tibet e nel cuore della popolazione Uighur , nella provincia dello Xinjiang. Quando gli Stati Uniti avevano alluso alla vendita delle armi in questione, il mese scorso, Pechino aveva manifestato il suo dissenso procedendo con delle prove del suo sistema di missili anti-balistici e distruggendo un missile che aveva inviato nello spazio.
A seguito dell’annuncio della scorsa settimana, il regime cinese ha preso la misura senza precedente di minacciare di sanzionare le industrie americane implicate nella vendita delle armi- una mossa che avrebbe conseguenze importanti per societa’ come Boeing, United Technologies, Lockheed Martin e Raytheon. La Boeing si preoccupa del terreno che potrebbe perdere nei confronti del suo rivale, Airbus, su un mercato stimato a 3770 aerei e che si attestera’ ad un valore di 400miliardi di dollari nel 2028. la Cina ha anche annunciato un congelamento immediato di scambi militari con gli Stati Uniti e ha convocato l’ambasciatore americano a Pechino per protestare formalmente.
Esiste già un aumento delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Pechino aveva reagito duramente all’imposizione di tariffe doganali sui prodotti siderurgici e sui pneumatici cinesi, minacciando gli Stati Uniti di rappresaglia. Il presidente Obama prosegue, nel frattempo, sulla sua linea, ha detto ai democratici del Senato, la scorsa settimana, che l’amministrazione si dimostrera’ molto piu’ dura nell’imposizione di regole commerciali gi esistenti, esercitando una pressione costante sulla Cina e altri paesi perche’ aprano i loro mercati in modo piu’ reciproco”. In questo situazione incandescente, le sanzioni cinesi nei confronti della Boeing potrebbe innescare una guerra commerciale aperta.
Questa scalata di tensione è l’espressione di profondi cambiamenti geopolitici. Gli Stati Uniti fronteggiano, in quanto potenza in declino ma ancora dominante, una sfida economica e strategica crescente da parte della Cina e questo in ogni angolo del globo, visto che Pechino cerca di garantirsi un accesso alle risorse e ai mercati. Gli Stati Uniti tentano, in modo aggressivo, di consolidare le proprie occupazioni neocoloniali in Afghanistan e in Iraq, per assicurarsi una posizione egemone nelle regioni ricche di risorse energetiche del Medio Oriente e dell’ Asia centrale. La Cina cerca di consolidare le proprie alleanza al fine di cacciare gli Stati Uniti da quella che considera la propria zona d’influenza, l’Asia centrale, e di garantire consegne di petrolio di petrolio e di gas, per lei vitali.
Dopo aver preso le sue funzioni, l’anno scorso, nel bel mezzo della crisi finanziaria mondiale, Obama ha cercato l’assistenza della Cina. Facendo fronte a dei deficit enormi, i responsabili dell’amministrazione Obama ne hanno parlato a Pechino perchè continui ad acquistare obbligazioni americane e hanno incluso il governo cinese nelle discussioni sulla crisi, attraverso il gruppo del G 20. Certi, piu’ ottimisti, hanno allora anche speculato sulla formazione di un G2- Stati Uniti e Cina- che risolverebbe i problemi economici del mondo con spirito di cooperazione.
L’approccio per un confronto adottato ora dagli Stati Uniti e la risposta determinata della Cina sottolineano le contraddizioni economiche, politiche e sociali insolubili ai quali fa fronte la classe capitalista dei due paesi. Di fronte alla disoccupazione a due cifre e la necessita’ di tagli immensi nei budget, Obama gioca la carta cinese con aggressivita’ al fine di dare un vantaggio all’economia americana a spese dell’economia cinese e, sul piano politico, per spostare l’attenzione da una sua responsabilita’ nella crescita della crisi economica, in America.
Quanto alla Cina, essa affronta, malgrado un tasso di crescita da “periodo di prosperita’”, una disoccupazione in aumento ed una agitazione sociale crescente che si aggraveranno ancora se le sue industrie chiave nell’esportazione fossero scosse da misure protezionistiche. Le immense misure di rilancio prese dal regime cinese hanno condotto ad un’orgia di speculazione sulle azioni e sull’immobiliare, facendo nascere la paura di un affondamento finanziario. Così come Obama, i dirigenti cinesi giocano la carta dello sciovinismo, dichiarando che difenderanno gli interessi cinesi, al fine di nascondere il loro ruolo nella creazione di una delle societa’ meno egualitarie del mondo.
Esiste un reale pericolo, che Taiwan, il Tibet o un altro problema non divengano punto di cristallizzazione di un affondamento rapido delle relazioni tra le due potenze e dello scoppio di una guerra economica e per finire di un conflitto militare- come fu il caso dell’ultima grande crisi del capitalismo mondiale degli anni ’30.
Titolo originale: “La montée dangereuse des tensions entre la Chine et les Etats-Unis”
Fonte: http://www.wsws.org/
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11.02.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICOL BARBA