IL NUOVO LIBRO DI MEDIA LENS ED UN'INTERVISTA AGLI AUTORI

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blankALEX DOHERTY (UK WATCH) INTERVISTA MEDIA LENS

Media Lens è lieta di annunciare che il nostro nuovo libro, Guardians Of Power – The Myth Of The Liberal Media, è ora disponibile a questo indirizzo

Alcuni commenti:

John Pilger

Guardians of Power dovrebbe essere un testo adottato in ogni facoltà che si occupi di media. E’ il più importante libro sul giornalismo di cui io sia a conoscenza”.

Noam Chomsky

“Analizzare costantemente ed in maniera critica la situazione dei media, fornire anche le informazioni mancanti, correggere le distorsioni ideologiche, è necessario ora più che mai. Media Lens ha svolto un importante servizio pubblico, affrontando questo argomento con energia, attenzione e intelligenza”.

Edward Herman

“Media Lens sta esercitando una notevole pressione sui media “ufficiali” affinché seguano almeno i principi dichiarati e rispettino gli obblighi assunti in quanto servizio pubblico”.L’intervista di Media Lens con UKWatch

Alex Doherty di UKWatch ci ha intervistato, recentemente, a proposito del nostro nuovo libro
(http://www.ukwatch.net/article/1282)

Alex Doherty: Il vostro nuovo libro si intitola “Guardians of Power” (Custodi del Potere), chi sono i custodi del potere? Chi proteggono e perché?

Media Lens: I custodi sono i più potenti gruppi di media. Difendono gli interessi del gruppo di potere da cui dipendono e di cui fanno parte. In questo libro ci siamo concentrati in modo particolare sui protettori del potere che tradizionalmente vengono definiti “liberali”, come il Guardian, l’Observer, l’Independent, la BBC ecc. In pratica proteggono i loro stessi interessi. Ad esempio sono in molti a considerare la BBC come un baluardo simbolo del giornalismo onesto e obiettivo. Ebbene, il 2 dicembre, si è diffusa la notizia che la giornalista di Newsnight Kirsty Wark e suo marito Alan Clements hanno guadagnato 1 milione di sterline ciascuno dalla vendita, per 14 milioni di sterline, di IWC Media, la compagnia di produzione televisiva, alla RDF Media, creatrice del format Wife Swap (Cambio moglie). Ma anche gli altri presentatori di Newsnight – Jeremy Paxman ad esempio – non se la passano affatto male e vantano entrate per svariati milioni di sterline. E ancora… Il miliardario irlandese Sir Anthony O’Reilly, direttore esecutivo di Independent News & Media Plc, il gruppo editoriale che pubblica l’Independent e l’Independent domenicale a Londra, con un reddito di 1,3 miliardi di sterline, è l’uomo più ricco d’Irlanda. Il supplemento domenicale del Guardian nel marzo del 2004 consisteva di 128 pagine. Di queste, 90 erano occupate da inserzioni pubblicitarie, molte delle quali chiaramente indirizzate alle classi più agiate della società. Il “vestito di chiffon con profonda scollatura sulla schiena e stola di paillettes”, pubblicizzato a pagina 74, per esempio, costava ben 5.890 sterline. Il giornale liberale più importante del paese l’ha definito come un abito “assolutamente glamour”. Il Guardian fa parte del Guardian Media Group (GMG), che segue un solo principio ispiratore: fare soldi. Il sito web del gruppo chiarisce bene le idee a chiunque pensi ancora che il Guardian sia uno strumento liberale e coraggioso per la diffusione della verità in un mondo avido di denaro:

“Il Guardian Media Group ha un vasto portfolio di interessi nell’ambito dei media. Il fiore all’occhiello – testate come il Guardian, l’Observer, il Manchester Evening News, e l’Auto Trader – è accompagnato da tutta una serie di fortunate attività collaterali in ambito commerciale che fanno di questo gruppo una delle realtà più attive del Regno Unito. I nostri investimenti su web, radio e editoria elettronica ci assicurano una base commerciale di successo. Il Guardian Media Group è di proprietà della Scott Trust”. (http://www.gmgplc.co.uk)

[Non fidarti dei media aziendali]

Questi ovviamente sono solo degli esempi, ma evidenziano bene quale sia oggi il sistema dei media in mano ad una lobby che si è organizzata ed evoluta attraverso i decenni. Da sempre difende gli interessi del 5% della popolazione, ovvero di quella minoranza che detiene il 45 % del reddito nazionale e che guida e governa indisturbata lo stato. L’idea che questo sistema mediatico tratti con la stessa obiettività degli interessi di un gigante come O’Reilly e della situazione delle popolazioni del Terzo Mondo, o ad esempio dell’Iraq, è semplicemente assurda.

AD: L’attenzione del vostro libro è rivolta dunque ai gruppi mediatici liberali. Perché avete fatto questa scelta invece di occuparvi delle testate politicamente schierate a destra, che molti considerano di gran lunga peggiori?

ML: Come ha evidenziato Joel Bakan nel suo libro The Corporation, l’attuale stato delle cose è fondamentalmente malato: esso subordina sistematicamente il bene dell’umanità ed il futuro del pianeta al profitto. Molte delle sofferenze del Terzo Mondo sono il risultato di deliberati interventi militari ed economici atti a subordinare gli interessi delle popolazioni locali al profitto delle grandi multinazionali occidentali. Molte delle devastazioni ambientali che ne conseguono, per esempio gli effetti sul clima, sono il risultato di questa gerarchia malata di priorità. Ancora oggi nei siti web dei maggiori gruppi commerciali, come la National Association of Manufacturers e la Chamber of Commerce si leggono affermazioni molto scettiche riguardo ad esempio i cambiamenti climatici o la necessità e urgenza di aderire all’accordo di Kyoto. Sfortunatamente un sistema dei mezzi di comunicazione di tipo aziendale ed orientato al profitto, in mano alle elite benestanti e alle loro proprietà, così dipendente dalla pubblicità e dalle imprese commerciali, ha tutto l’interesse a mantenere inalterata questa situazione. Phil Lesley, autore di un manuale di comunicazione e pubbliche relazioni, consiglia alle aziende:


il pubblico generalmente non approva che vengano intraprese azioni per la risoluzioni di problemi non allarmanti, quando le motivazioni non sono bilanciate ed emergono chiari i dubbi. Al dubbio corrisponde l’immobilità, nel dubbio non si prende posizione. Per questo i media devono fornire informazioni equilibrate utilizzando fonti che il pubblico ritenga credibili. Non c’è bisogno di una vittoria netta… tutto ciò che serve è creare dubbi, dimostrare che le argomentazioni a sostegno dell’opposizione non sono chiare né convincenti.

Questa è la principale funzione del giornalismo ufficiale e del suo braccio “liberale”, come descritto anche dallo studioso dei media australiani Alex Carey:

“Da un importante studio effettuato in tempo di guerra è emerso chiaramente che, per ottenere i migliori risultati, alle persone con un basso livello educativo, va presentata solo una versione di un fatto o di un argomento. Una presentazione bi-partisan invece, influenza in maniera molto più efficace le persone con un livello culturale più alto e, in generale, chi inizialmente aveva assunto riguardo a quel particolare punto di vista una posizione contraria”.

Dunque i media liberali ci raccontano entrambe le versioni della storia. Si preoccupano solo di enfatizzare quella “verità” che corrisponde ai voleri dello stato aziendale. Questa versione viene poi “bilanciata” da commenti che presentano argomenti contrari in maniera molto superficiale e che non possono seriamente attaccare la posizione ufficiale. Così per esempio, riguardo l’argomento delle armi di distruzione di massa in Iraq, le motivazioni ufficiali – che l’Iraq era una minaccia e andava disarmato se necessario con la forza – furono contrastate da altre motivazioni, banali – che tutto questo poteva anche essere vero ma che qualsiasi azione o intervento avrebbe comunque dovuto essere appoggiato dalle Nazioni Unite. La reale argomentazione contraria – che l’Iraq non costituiva una minaccia e che qualsiasi attacco all’Iraq, con o senza l’approvazione dell’ONU, sarebbe stato un vero crimine, dare avvio ad una guerra di aggressione – praticamente non ha avuto nessuna visibilità. Il risultato di tutto questo è ciò che Edward Herman descrive come “la normalizzazione dell’impensabile”. Il pubblico liberale – quella parte della popolazione che ci si aspetta essere più interessata al bene comune e più accanita contro i crimini del governo – è stata soggetta a una propaganda liberale senza fine che aveva il solo scopo di persuaderli della ragionevolezza e della rispettabilità della posizione dei governi anglo-americani. Questo processo ha sempre l’effetto di pacificare e neutralizzare proprio quella parte della società più preoccupata e motivata – ancora guidata da idee sinceramente liberali e progressiste. Dall’altro lato la stampa di destra si rivolge a tutte quelle persone che sono soddisfatte e protette dall’attuale stato delle cose e che operano dunque affinché esso non venga alterato.

AD: Ma i media liberali danno comunque spazio ad alcune voci chiaramente dissidenti. Il Guardian e l’Independent per esempio pubblicano articoli di scrittori radicali come George Monbiot, Mark Curtis, Naomi Klein, e Robert Fisk tra gli altri. Se i media liberali sono davvero i “guardiani del potere” perché danno comunque spazio anche a queste voci alternative?

ML: Le cose non stanno proprio così. I media liberali non permettono il vero dissenso quando questo vuole smascherare la corruzione ormai strutturale del sistema. Monbiot, Klein e Fisk non hanno scritto sostanzialmente niente a questo riguardo sul Guardian e l’Independent. Abbiamo controllato e verificato che Curtis non aveva mai neppure menzionato il ruolo cruciale dei mezzi di comunicazione nei suoi articoli sul Guardian. Fisk non ha mai criticato l’Independent – anzi ne ha tessuto le lodi, come ha fatto per i media britannici in generale. Fisk non pone alcuna attenzione al raccapricciante spettacolo offerto dalle testate liberali, sembra ritenere anzi che l’Independent sia realmente indipendente, un punto di vista che a noi pare sorprendentemente ingenuo. E se pensiamo che questi sono i nostri scrittori più seri… In realtà un’analisi seria della situazione dei mezzi di comunicazione è considerata dai media ufficiali un tabù assoluto. Pubblicammo un articolo in proposito nel dicembre del 2004 sul Guardian, ma fu un’azione straordinaria in risposta alle forti critiche espresse dai nostri lettori nei confronti di questa testata – ci sono voluti quattro mesi per piazzare l’articolo e non siamo più stati invitati! Il solo giornalista che si è da sempre dimostrato onesto e coerente nei riguardi del sistema è John Pilger. Ed è interessante vedere come viene trattato. Per noi Pilger è la maggiore espressione davvero alternativa del paese – il suo modo di scrivere è superbo, i suoi articoli sono acuti, attenti, denotano ricerche profonde e di ampio respiro, qualità che difficilmente ritroviamo in altri scrittori e giornalisti contemporanei… Eppure sembra proprio che per lui non ci sia posto nei giornali più importanti. Le persone parlano dell’editorialista del Guardian Seumas Milne come di un giornalista radicale – eppure non ha mai voluto pubblicare Pilger. E quando gli abbiamo chiesto spiegazioni a riguardo si è rifiutato di rispondere. Così il nostro migliore dissidente – e direi uno dei più grandi di tutti i tempi – è costretto a tenere una rubrica quindicinale sul New Statesman che viene letta da appena poche migliaia di persone. Quindi, perché viene trattato in modo diverso da Klein e Monbiot? Perché scrive in maniera diretta e sincera sul sistema mediatico, critica il Guardian, cerca di attirare l’attenzione sul ruolo cruciale che le testate liberali hanno nei confronti dei crimini contro l’umanità. Per questo è considerato persona non grata. E lo stesso si può dire per Chomsky. I dissidenti americani sono per tradizione molto più diretti e onesti riguardo al sistema media – qui si è appena compreso che non è il caso di parlarne – ed è per questo che non sono ben visti dalla nostra stampa. Non potrebbe essere più ovvio. Ci sono comunque alcuni paesi, che mai penseremo, in cui i media dimostrano una maggiore libertà e onestà di espressione. In paesi come la Corea del Sud o gli Emirati Arabi Uniti vengono pubblicati articoli a volte anche molto critici riguardo alla situazione nazionale della stampa e dei media. Qui siamo molto più vicini al vero centro del potere, per questo siamo controllati in maniera molto più attenta e rigida. I lettori non sono stupidi. Nell’Unione Sovietica era ormai palese per la maggior parte della popolazione come lo Stato controllasse pesantemente e censurasse i principali mezzi di comunicazione. Ne conseguì che furono molte le persone che, compresa questa mancanza di libertà, si unirono e si mossero in cerca di fonti di informazioni più credibili (come Samizdat) e agirono con grande energia per ottenere una maggiore libertà politica e di espressione. L’oppressione evidente fu la spinta principale verso il progressivo cambiamento. Al contrario, nel mondo democratico occidentale, l’apparizione in rare occasioni di articoli o notizie “libere e oneste” crea e mantiene la potente illusione di un accesso all’informazione libera, aperta e indipendente. E’ una sorta di vaccino che viene regolarmente inoculato alle persone per impedire loro di scoprire la verità sul controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica.

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[John Pilger]

AD: Perché pensate che i media nel Regno Unito non si comportino più come i media americani, dove le voci dissidenti sono state quasi del tutto allontanate? Quale sistema ritieni sia più efficace per il controllo dell’opinione pubblica?

ML: Bush e Blair sono ancora entrambi in carica invece che in prigione, quindi dobbiamo ammettere che entrambi i sistemi sono stati sicuramente efficaci. Il caso americano è insolito ed estremo. Storicamente, le lobby aziendali americane hanno sostenuto ciò che possiamo definire come un vero e proprio conflitto di classe, una grandiosa campagna propagandistica di controllo e manipolazione politica mirata a reprimere l’opposizione. L’opinione pubblica britannica non ne è a conoscenza, ma i movimenti sociali popolari più importanti negli USA della prima metà del ventesimo secolo sono stati ripetutamente oggetto di attacchi da parte del potere economico. Le campagne propagandistiche andarono oltre ciò che anche lo Stalinismo ed il Maoismo erano riusciti a fare: un enorme sforzo per tentare il lavaggio del cervello alla società (per maggiori dettagli si veda il lavoro di Elizabeth Fones – Wolf, Selling Free Enterprise). Anche qui, all’inizio, le cose non erano molto diverse. Già dagli inizi del diciannovesimo secolo, il governo e l’industria erano risolutamente determinati a reprimere la libera espressione delle idee. I primi strumenti utilizzati furono i provvedimenti legislativi sulla propaganda sovversiva e contestatrice, che praticamente misero fuori legge tutti gli attacchi allo status quo. Quando fu chiaro che questi tentativi non avevano sortito gli effetti desiderati, le lobby ricorsero alle imposte sulla stampa, alle tasse sulla carta e sulla pubblicità in modo da costringere i giornali radicali ad uscire con prezzi assolutamente fuori dal mercato. Tra il 1789 ed il 1815, le imposte sulla stampa crebbero del 266 per cento, assicurando così, come Lord Castlereagh aveva annunciato, che “le persone che esercitano il potere della stampa sono persone rispettabili”. Cresset Pelham affermava infatti in quegli anni che solo proprietari rispettabili avrebbero assicurato una gestione corretta di questo potere. L’arrivo in parlamento dell’opposizione socialista – che non poté mai godere di un tale successo negli USA – portò un naturale supporto alla stampa di sinistra. E da allora gli attacchi si sono succeduti senza tregua. Con la convergenza del partito laburista e tory nello stile politico americano, le pressioni sugli elementi di sinistra all’interno dei mezzi di comunicazione si sono sensibilmente rafforzate. Ci sono chiari segnali di come anche la stampa si stia adattando a questo sistema, l’Observer è ora come ora un organo di propaganda politica di destra. E anche il Guardian preferisce rifiutare cause radicali in favore di posizioni più centriste. Il centro è adesso la destra: dura, compatta, aziendale. E la realpolitik si camuffa da intervento umanitario. Ed a questo proposito è anche interessante notare come alcuni professionisti seri e qualificati del giornalismo e della politica che avevano assunto posizioni contrarie alla guerra abbiano perso il loro lavoro dal 2003 mentre giornalisti interventisti, come Aaronovitch, Cohen e Hari non siano stati toccati. Sicuramente un segno dei tempi.

AD: Ci parli un po’ di Media Lens? Com’è iniziato questo progetto? Quali sono le vostre speranze in proposito?

ML: Abbiamo pubblicato libri di analisi e critica radicale su politica e mezzi di comunicazione. Siamo anche riusciti a pubblicare alcuni articoli e recensioni sulla stampa ufficiale. Ma è stato un lavoro faticosissimo, ci era già chiaro che sarebbero usciti articoli servili a sostegno delle tesi contrarie, che ci sarebbero state resistenze e punizioni per gli innocenti! Naturalmente sapevamo di dover accettare le regole del gioco, non ci sognavamo certo di poter attaccare seriamente il sistema aziendale dei media. David Cromwell ha progettato un sito per presentare il suo libro, Private Planet (www.private-planet.com ), e David Edwards ha suggerito la creazione di un sito che si occupasse dell’analisi critica dei media. La nostra idea all’inizio era semplicemente quella di diffondere informazioni utili all’interno di un gruppo ristretto di amici interessati – l’idea di come raggiungere un più vasto pubblico in quel momento neppure ci sfiorò. Pensavamo saremmo rimasti pressoché sconosciuti, semplicemente ignorati. Pensavamo che sarebbe stato interessante condurre un esperimento, vedere cosa succede quando non si tiene conto delle indicazioni diplomatiche degli editori ufficiali e semplicemente si riporta la verità, così come la si vede. Così abbiamo deciso, consapevolmente, di rinunciare a qualsiasi possibilità di carriera, di rinunciare all’idea di fare soldi scrivendo, e di scrivere semplicemente ciò che ritenevamo fosse importante scrivere. Abbiamo deciso di rifiutare qualsiasi tipo di compromesso. Siamo entrambi legati all’idea che la motivazione sia la chiave, crediamo sia vitale che il nostro lavoro sia il risultato di una motivazione profonda, di un atteggiamento di partecipazione verso gli altri piuttosto che di una preoccupazione personale ed egoistica.

AD: Parte importante di ciò che voi fate è invitare le persone ad attaccare regolarmente giornalisti ed editori. Pensi che questi attacchi abbiano effettivamente avuto un qualche impatto sul modo in cui vengono riportate le notizie?

ML: E’ molto difficile giudicarlo, e forse noi non siamo le persone giuste a cui chiedere un’opinione in proposito. Ci sono stati esempi evidenti in cui i lettori hanno sconvolto le aspettative, sulla BBC sono state fatte delle domande ai veterani della politica che crediamo difficilmente sarebbero state fatte se noi non avessimo espresso questi inviti.

AD: Medialens si è comprensibilmente concentrata sui crimini dei media e sul raggiungimento di una maggiore consapevolezza a questo riguardo. Per passare ad un altro aspetto del problema, che tipo di media vorreste vedere? In quale modo i media dovrebbero cambiare e come si dovrebbe verificare il cambiamento?

ML: Noi stessi siamo un esempio del tipo di media che vorremmo vedere. Tralasciamo per un attimo il problema della struttura del sistema, di cosa abbiamo veramente bisogno? Abbiamo bisogno di individui che siano motivati dall’attenzione e dalla partecipazione per le sofferenze altrui piuttosto che dall’avidità e dall’ambizione, persone che abbiano voglia di scrivere seriamente di tutto questo. Abbiamo bisogno di giornalisti che non vedano compromesse le loro aspirazioni a causa del denaro, di uno status sociale e del potere, persone che trovano ripugnante l’idea di mescolarsi con ricchi e famosi, se questo significa subordinare gli interessi della collettività alle proprie ambizioni. Abbiamo bisogno di giornalisti che capiscano che la felicità personale ed il benessere sociale sono definitivamente radicati nella preoccupazione per gli altri ed in qualità come la sensibilità, la generosità, l’altruismo, la non-violenza. Noi non pretendiamo di diventare o di essere esempi di tali virtù, ma davvero cerchiamo di averli come principi ispiratori come crediamo debba essere per ogni serio tentativo di fare giornalismo. Possiamo ragionevolmente sostenere che metà del nostro compito è di attaccare l’avidità, l’odio e l’ignoranza con i fatti e gli argomenti. E l’altra metà è mantenere e far crescere le motivazioni per ciò che facciamo.

AD: Che cosa pensi della condizione dei media alternativi in questo paese? Saranno mai capaci di soppiantare i media ufficiali?

ML: Lo sono già per alcune persone e fino ad un certo punto. Quelle poche persone che vogliono comprendere la verità su Haiti, Colombia ed Iraq etc.. si rivolgono a fonti d’informazione alternative piuttosto che cercare argomentazioni confuse, compromesse e devianti nei media ufficiali. Abbiamo scritto spesso di come speriamo che la crescente consapevolezza dell’opinione pubblica a proposito dei limiti della libertà della politica e dei media arrivi a generare strumenti di informazione veramente alternativi e democratici che abbiano il potere di imporre ai media ufficiali una nuova agenda o di rimpiazzarla come fonte di notizie. Idealmente, media alternativi potenti dovrebbero aspirare a motivare e ad informare grandi movimenti popolari e anche nuovi e libertari partiti politici che potrebbero poi essere nella posizione di riformare la struttura profonda dei media per limitare l’influenza degli interessi aziendali.

AD: Quali sono le tue speranze per il libro? Cosa vorresti che rimanesse di questo libro, al pubblico?

ML: Le persone non cercheranno mai la liberazione da una situazione di oppressione finché si sentiranno libere. L’illusione della libertà dei media è incredibilmente potente. E’ sostenuta dal potere della tecnologia, incarnata da un’infinità di celebrità e di eroi globali che ci dicono o ricordano che il sistema dei media è fondamentalmente positivo, libero, aperto e onesto. E’ molto difficile uscire da questa propaganda e pensare con la propria testa. Abbiamo raccolto i più potenti e importanti esempi che siamo riusciti a trovare per dimostrare come anche i migliori media impongano sistematicamente una versione falsa, controllata, oppressiva e letale del mondo al pubblico. Naturalmente noi abbiamo letto tutto questo 100 volte ed eravamo convinti che l’impatto su di noi sarebbe stato minimo o persino noioso. Siamo stati invece entrambi piacevolmente colpiti dal fatto che dopo aver letto il libro sia in bozza e poi finalmente nella redazione definitiva, sia stato di nuovo chiaro come sia ovvia la situazione di compromissione e distruzione del sistema dei media. Ci ha aperto gli occhi! Se il libro riuscirà ad avere il medesimo effetto anche sugli altri lettori, beh, allora sarà un risultato molto positivo!

I lettori potrebbero essere anche interessati alla seguente intervista con Gabriele Zampirini:

http://www.thecatsdream.com/blog/2005/12/guardians-of-power.htm

Scriveteci a: [email protected]

Questo è un servizio gratuito ma potete fare una donazione a Media Lens:

http://www.medialens.org/donate.html

Informazioni:

Autori: Media Lens e Alex Doherty (UKWatch)

Data: 4 gennaio 2006

Fonte: http://www.medialens.org

Link: http://www.medialens.org/alerts/06/060104_new_medialens_book.php

Traduzione dall’inglese a cura di MEGANA per www.comedonchisciotte.org

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