DI GIUSEPPE SANDRO MELA
rischiocalcolato.it
«Godetevi la guerra finché dura: la pace sarà terribile». Questa frase correva in Germania nell’ultimo anno di guerra: è terribilmente vera ed espone un concetto generalizzabile a molte altre situazioni, quali quella odierna dell’Europa e dell’Italia.
Il movente psicologico che la sottende è sottile. Nel momento della lotta si possono sopportare anche severe privazioni perché sostanzialmente si nutre la speranza – vera, presunta, pia illusione od anche franco delirio paranoico – che quel momento passerà e che il futuro potrebbe essere anche tollerabile. Nel momento un cui il conflitto armato od economico termina subentra invece la presa di coscienza dei danni subiti e della stabilità di una situazione fortemente avversa. Irreversibile per la generazione che la vive.Ben lo sanno i popoli dei paesi dell’ex Est europeo, che per quasi cinquanta anni dovettero soggiacere al regime comunista sovietico, caduto il quale ancora adesso, a distanza di più di venti anni, non si sono ancora ripresi.
L’Europa e l’Italia sono entrate in una fase intensamente depressiva.
Esula il nostro scopo argomentare di cause e concause. Prendiamo soltanto atto come questa depressione affondi le sue radici nell’inadeguatezza delle strutture economiche, sociali e statali europee a comprendere, affrontare e risolvere le problematiche attuali, a reggere sui mercati, a causa dell’errata Weltanschauung che le sottende. Questa depressione terminerà soltanto quando esse saranno completamente mutate, perché sono proprio essere a generare strutturalmente la depressione che ci attanaglia. Il fenomeno depressivo non potrà arrestarsi altro che quando la causa sarà stata completamente rimossa. Solo in quel momento potrà riavviarsi un sia pur lento processo di crescita e sviluppo.
La coriacea inerzia dimostrata dal sistema ad adattarsi alle situazioni emergenti consente già fin d’ora di trarne un primo criterio previsionale. L’attuale sistema farà di tutto per auto sostenersi, utilizzando tutte le risorse disponibili. Proprio come i tedeschi durante l’ultima guerra mondiale. Il risultato non potrà essere altro che l’utilizzo di tutte le ricchezze disponibili nel tentativo di sopravvivere senza alcuna mutazione, cosa che renderà ancor più difficoltosa la ripresa post-depressiva per obiettiva carenza di mezzi. Tenendo conto dell’entità della ricchezza media mobilizzabile delle famiglie europee in ragione degli attuali volumi di spesa statale, sembrerebbe lecito inferire che serviranno ancora otto – dieci anni di depressione per ottenere il suo totale azzeramento. Terminata anche l’ultima risorsa, allora il sistema imploderà, come a suo tempo implose il socialismo sovietico. In fondo non è altro che un déjà vu, nihil novi sub sole.
A quel punto, sembrerebbe altrettanto ragionevole inferire un tasso di disoccupazione superiore al sessanta per cento della popolazione attiva, con totale scomparsa di ogni possibile forma di ammortizzatori sociali e di possibilità di intervento dello stato sia in economica sia nel sostentamento di una qualche forma di welfare.
Un secondo criterio previsionale si fonda sui recenti studi di Feldstein (*) , che indicano come l’Eurozona potrebbe trovare riequilibrio momentaneo svalutando la propria valuta di circa il 20%. In altri termini, per l’Italia il Pil ppa passerebbe da 1,500 a 1,200 mld. Tenendo conto di altri otto – dieci anni di depressione, ad essere proprio ottimisti, ed calo del Pil agricolo ed industriale del 5% annuo, all’uscita dalla crisi il Pil ppa italiano dovrebbe essersi attestato attorno agli attuali 720 mld ppa.
Grosso modo, sempre come stima alquanto arrotondata, i redditi delle persone ancora occupate dovrebbero risultare essere dimezzati in confronto dell’attuale. In uno scenario di tal fatta appare del tutto ragionevole che lo stato non sia più in grado di erogare pensione alcuna o, se proprio si volesse grondare ottimismo da tutti i pori, le pensioni saranno ridotte almeno del 60% rispetto ai valori attuali. Va di conserva che le persone ancora in grado di generare una qualche forma di reddito dovranno farsi carico del sostentamento dei parenti inabili, disoccupati od in età non più lavorativa.
Sembrerebbe lecito domandarsi chi riuscirà ad uscire dalla depressione meno penalizzato rispetto la media.
Certamente tutti coloro che avranno avuto l’accortezza di non utilizzare tutte le riserve economiche e finanziarie, allocandole per tempo in modo tale da renderle irraggiungibili da parte dello stato. Costoro sono destinati a diventare la nuova classe imprenditoriale ed a sopravvivere meno peggio degli altri.
In una fase di acuta restrizione del lavoro, riusciranno a continuare ad avere una qualche forma di occupazione, e quindi di reddito, solo coloro che avranno investito nella propria istruzione e che si saranno messi in grado svolgere un lavoro indispensabile alla Collettività. Non solo, queste caratteristiche sono necessarie ma non ancora sufficienti. Ad esse si dovrà associare una elevata duttilità mentale di adattamento alle future esigenze, cosa che richiederà un netto cambiamento di modo di concepire vita e lavoro.
Non sembrerebbe che la gente comune abbia chiara percezione di dove andremo a finire.
Giuseppe Sandro Mela
Fonte: www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2013/01/il-nostro-futuro-chi-e-quanto-guadagnera-a-depressione-finita.html
6.01.2013
* http://www.rischiocalcolato.it/2012/11/non-credete-alle-profezie-di-stregoni-ed-economisti-una-frase-caduta-nel-vuoto-il-futuro-nostro-e-delleuropa.html
Nota.
Le cifre sono espresse in unità “ppa“, ossia per potere di acquisto. É quindi ininfluente la valuta in cui siano espresse.
Terminologia.
Definiamo “recessione” una diminuzione del Pil per due trimestri consecutivi.
Definiamo “crisi economica” una diminuzione a/a del Pil inferiore all’1%.
Definiamo “recessione economica” una diminuzione a/a del Pil superiore all’1%.
Definiamo “stagflazione” una recessione associata ad inflazione, cui consegua aumento dei prezzi.
Definiamo “depressione economica” una consistente diminuzione della produzione, associata ad altrettanto consistenti decrementi degli investimenti, con significativi aumenti dei fallimenti e del tasso di disoccupazione.