DI ALESSIO MANNINO
lavocedelribelle.com
Qual è il nuovo nome dell’eterno trasformismo italiano?
Civismo
Sotto il manto delle liste civiche si riciclano gli spurghi della partitocrazia italiana, sempre immaginifica e prolifica. Liste civiche locali ce ne sono sempre state, e sono la norma nei Comuni sotto i 15 mila abitanti. Ma da un po’, fra gli addetti di marketing politico, si è fatta strada la pensata di travestire i partiti in quanto tali da “liste civiche nazionali”. Tira una pessima aria per il prodotto “partito”, quindi meglio escogitare un marchio adatto ai tempi. E cosa c’è di più neutro, indolore, ecumenico e rassicurante della veste civica? Fa tanto asettico, quasi tecnico. L’ideale per cambiare i mezzi affinchè gli uomini rimangano gli stessi. Trasformismo puro, per l’appunto. La concorrenza è ai massimi livelli, fra i gruppi di potere che si litigano le prime pagine. Ha cominciato il redivivo Berlusconi immettendo nel dibattito, per tastare il terreno, la sua lista civica nazionale. Obbiettivo tattico: non disperdere le sue truppe disorientate per mancanza di guida e prospettiva. Ma già oggi sembra che il test sia fallito, dato che ha lanciato il ritorno al format Forza Italia, o comunque ad una formazione più tarata sulla nostalgia degli antichi fasti. Sull’altro lato della barricata, zona De Benedetti-Scalfari, si è avanzata la proposta niente meno che di una “lista Saviano”. Naturalmente civica, si capisce. Ma il Fondatore della Repubblica non ha fatto breccia: l’interessato non è interessato, e il Pd non ha gradito. Del resto, non ne ha mai azzeccata una, quel genio di Eugenio.
Il fatto è che il civismo vorrebbe essere sinonimo di novità libera dalle scorie del passato. Una parola magica per far scomparire il ricordo di ciò che si era e che non si vuole più essere. Purtroppo per i maghi del mercato politico, la memoria a breve termine degli italiani non è così lasca. Anche i trans più sfacciati devono passare per un periodo non brevissimo prima di piroettare e spadroneggiare in scena. Berlusconi civico non è una barzelletta, è di più: un controsenso. Una sinistra civizzata, con o senza Saviano, costituirebbe la negazione vivente di quella tenace fede nella forma-partito e nel “centralismo democratico” che i sinistri di ogni categoria covano in sangue e da cui non riescono a emendarsi.
Se gli uomini al comando son sempre quelli, la mentalità non cambia di un ette. Apparatchicki come Bersani o pupazzi come Alfano provengono da una storia precisa, che è la storia degli ultimi venti anni: impasto di videocrazia e politicismo autoreferenziale, alimentato da un marchettificio a getto continuo di sigle senza profondità culturale e pregnanza sociale. Ulivo, Unione, Pd da una parte; Casa della Libertà, Polo della Libertà, Popolo della Libertà, dall’altra. Non c’è sostanza, non c’è appartenenza ideale, non c’è identità politica. C’è solo una divisione fra fazioni sorretta dagli esili strascichi della dicotomia destra-sinistra. Un’inconsistenza che conosciamo fin troppo bene.
Sullo sfondo, a terrorizzare le vecchie carampane delle segreterie, c’è il movimentismo di Beppe Grillo. Non immune dalla balordaggine neo-civica. Sì, perché i volonterosi ma acerbi grillini si sentono i veri civici, e ne hanno di che. Il guaio, però, è che se si sentono tali, mostrano di non aver afferrato la potenzialità del proprio ruolo. Che non si riduce, o almeno non si dovrebbe ridurre, a fare i bravi e buoni boy-scout dell’ordinaria amministrazione per semplice spirito civico. Ma fare di più: rompere i giochini e smascherare i camuffamenti della vecchia classe dirigente, proponendosi come alternativa a tutti gli altri nei fondamentali, nei presupposti del sistema. Un povero civico non concepisce neppure di intaccare le basi dell’ordine costituito. Un movimentista con aspirazioni alla tabula rasa, sì. E infatti in questa ambiguità si affloscia sovente la carica sovversiva delle 5 Stelle. Fra il dire ribellistico di Grillo e il fare timorato dei grillini, c’è di mezzo il mare di uno scontento lasciato macerare inutilmente.
Sul territorio, la soluzione civica è più congeniale ai ras del quartiere. Maggiorenti e capetti di partito hanno facile gioco a pavoneggiarsi sfoggiando la loro lontananza dalle alte sfere romane. Non importa che in realtà il più delle volte si guardino bene dal tagliare il cordone ombelicale che li lega al proprio partito: importante è che il popolino credulone ingurgiti la storiella del sindaco “slegato dai partiti” o del responsabile locale coraggiosamente in rotta con Roma. In pratica, portano acqua al mulino delle strutture verticistiche che dichiarano di osteggiare, con un contrasto solo esteriore e invece sostanzialmente e reciprocamente utile a mantenere lo status quo. Ecco perché è decisivo togliere la maschera ai falsi civici, cioè ai politici che si presentano come tali ma non si oppongono dichiaratamente e concretamente contro la sarabanda partitocratica. Sono soltanto una riverniciatura di fresco fatta ad un’auto di quarta mano, con l’autista che se ne inventa di ogni pur di apparire sempre attuale. Il problema non è il guidatore né il colore della carrozzeria: è l’auto, che va buttata via.
Alessio Mannino
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27.07.2012
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