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La Redazione

 

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IL GOVERNO DEI BANCHIERI: LA REALIZZAZIONE DI UN'UTOPIA CAPITALISTA

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A cura di supervice
Il 19 Novembre 2011
42 Views

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DI JOHN BROWN
Johannesmaurus.blogspot.com

In ogni particolare repubblica,

il governo propriamente detto, ossia il supremo potere temporale, apparterrà

naturalmente ai tre principale banchieri.

Auguste Comte, Catechismo positivista

1. La risposta del potere all’ondata

di resistenza contro le politiche dettate dal capitale finanziario ha

la grande virtù di non essere ipocrita. Di fronte a quelli che nelle

piazze gridavano “La chiamano democrazia e non la

è” o “Non ci rappresentano”, l’oligarchia che è

al comando del potere ha deciso di non deluderci. La riforma costituzionale

“ad alta velocità” in Spagna è stata il primo mattone che poi,

con una terribile accelerazione storica, è stata seguita dalla nomina

dell’uomo di Goldman Sachs, Mario Draghi, come presidente della Banca

Centrale Europea, una banca formalmente “indipendente”, ma che è

indipendente solo da qualsiasi organo che derivi dalla volontà popolare.
La società che ha falsificato i conti pubblici perché la Grecia potesse entrare nell’euro e che poi ha palesemente speculato sul debito greco, tirerà le fila dei destini finanziari dell’Unione Europea. In Grecia, dopo la persecuzione e la deposizione di George Papandreou favoriti dalla Troika (FMI, Commissione Europea, BCE) che ha trattato la Grecia come fosse un paese coloniale, il nuovo primo ministro sarà un altro esponente dell’oligarchia finanziaria, Lucas Papademos, ex responsabile della Banca Centrale Europea. In Italia, Mario Monti – la persona imposta “dai mercati” e dai loro rappresentanti sul globo e in Europa per prendere il posto dell’infausto Berlusconi, è anche lui, secondo i dati della Commissione Europea, oltre che ex commissario, consigliere di Goldman Sachs.

In questo momento la Banca Centrale

Europea e due paesi dell’Unione sono guidati da persone apertamente

legate al capitale finanziario e, nel caso di Draghi e di Monti, a Goldman

Sachs. Sembrano realizzarsi le affermazioni dell’istrionico operatore

di borsa Alessio Rastani che, intervistato

dalla BBC, ha affermato:

I governi non governano il mondo;

è Goldman Sachs che governa il mondo.” Invertendo la formula

di Marx, possiamo dire, per descrivere quello che succede oggi, che

la storia si ripete due volte: una volta come scherzo, l’altra

come tragedia … greca”.

2. Il capitalismo ha sempre avuto

una relazione

difficile con la democrazia.

Diversamente dalla storia ufficiale che ci presenta capitalismo e democrazia

come termini di un binomio inseparabile, la democrazia formale ha impiegato

molto tempo per stabilirsi nel mondo capitalista e, visti i tempi attuali,

possiamo dire che sia durata ben poco. I regimi liberali del XIX secolo

e dei primi decenni del XX non erano democratici nemmeno nel senso limitato

che diamo oggi a questo termine: in quasi tutti, il suffragio era basata

sul censo o era fortemente limitato, e votavano solo gli uomini. La

rappresentanza politica era quindi possibile solo per coloro che avevano

introiti e un patrimonio notevole e che non erano sottoposti al potere

patriarcale nella sfera familiare. Quanto al pluralismo politico è

sempre stato molto limitato, e le opzioni anticapitaliste spesso erano

ritenute fuorilegge. Le cose cambiarono nel secondo decennio del XX

secolo, nel convulso periodo compreso tra la Rivoluzione Russa e gli

anni successivi alla crisi del ’29, quando, di fronte alla minaccia

della rivoluzione e della crisi, fu indispensabile per le borghesie

europee e nordamericane creare un ampio consenso attorno al capitalismo

che includesse il proletariato e i suoi rappresentanti. Con i governi

di Roosevelt negli Stati Uniti o del Fronte Popolare in Francia – ma

anche ai margini della democrazia liberale, con il fascismo e il nazismo

-, fu possibile stabilire un accordo sociale egemonico basato sull’ordine

capitalistico fondato sullo scambio tra disciplina sociale e lavorativa

con la protezione e i diritti sociali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale

e la vittoria sul fascismo, nell’Europa in ricostruzione fino agli

anni ’70 si consolidano regimi capitalistici con una forte componente

“sociale” e una notevole influenza delle sinistre, mentre i risultati

sociali e democratici dell’era Roosevelt si mantengono nonostante

alcuni tagli negli Stati Uniti.

Il capitalismo ammette in questo modo,

al suo interno, un margine per la rivendicazione dei diritti sociali

e per un qualche gioco politico pluralista e democratico, contenuto

negli ambiti stabiliti dal sistema della rappresentanza, nella “democrazia

dei partiti” e nella preservazione delle condizioni minime per il

funzionamento dello stesso capitalismo.

Questo idillio del capitalismo con

la democrazia non dura più di trent’anni (i trenta “anni gloriosi”

della crescita successivi alla Seconda Guerra Mondiale) e entra in crisi

quando le conquiste popolari nei paesi del centro capitalista e il raggiungimento

dell’indipendenza dei paesi del Terzo Mondo riducono fortemente il

margine di profitto del capitale per dover aumentare i salari e anche

i prezzi delle materie prime. Il capitalismo democratico si trova di

fronte a un limite. Siamo davanti a quello che la Commissione Trilaterale

definirà come “la

crisi della democrazia

e che si caratterizzerà come una crisi di “governabilità”. La

soluzione a questa crisi sarà, come si sa, la controrivoluzione liberale

con i suoi diversi capisaldi: Pinochet, Reagan, Thatcher, Felipe Gonzalez-Solchaga,

eccetera. I suoi strumenti saranno la deregolamentazione finanziaria,

il monetarismo, la sostituzione del contratto lavorativo e della contrattazione

collettiva con il contratto mercantile e la contrattazione individuale,

e la liquidazione progressiva dei diritti sociali.

3. Nel regime neoliberista iniziale

si mantengono le forme democratiche: i governi vengono eletti dalla

maggioranza parlamentare e gli interessi privati si differenziano dall’interesse

pubblico, anche se quest’ultimo tende a tradursi ogni volta di più

nei termini di efficacia e di redditività commerciale. La democrazia

perde, alla fine, i suoi contenuti una volta introdotta la dottrina

di Margaret Thatcher “TINA” (There Is No Alternative

– Non c’è alternativa), visto che sono oramai praticamente impossibili

le politiche socialdemocratiche. Tuttavia, quando all’inizio del 2008

e della crisi dei titoli spazzatura, il capitale finanziario si trasforma

in un creditore spietato degli stessi poteri che hanno salvato le banche

dalla propria sparizione, il margine di trattativa dei diritti e degli

interessi delle categorie sociali maggioritarie sparisce completamente.

L’unica priorità degli Stati è il pagamento del debito e la salvaguardia

della credibilità davanti ai mercati. A partire da questo momento,

i rappresentanti politici non possono mantenere la finzione dell’

“interesse generale” e diventano apertamente pupazzi nelle mani

del capitale finanziario. Le immagini patetiche e le dichiarazioni di

Papandreu, Zapatero e, in diversa misura, degli altri dirigenti delle

nostre democrazie in questi ultimi mesi danno un buon esempio di questa

totale sottomissione del potere politico formale al potere privato.

In un certo modo il capitalismo, dopo aver conosciuto una fase democratica

abbastanza breve, sta tornando alla sua iniziale costituzione liberale

e oligarchica. I governi di diversi regimi capitalistici si trovano

oggi sempre più nelle mani di coloro che amministrano il capitale.

I sogni della sovranità popolare, della rappresentatività, della mediazione

degli interessi svaniscono e resta la realtà di un regime che mai ha

avuto molto a che vedere con la democrazia, se non fosse per la diretta

emanazione delle dinamiche di mercato di cui sognavano Hayek e Friedman.

4. Il capitalismo sta trasformando

in realtà la propria utopia. Non quella di una democrazia di mercato

– anarchico – dove, come sosteneva Hayek, il mio denaro è la mia

scheda elettorale, ma quella di un capitalismo del debito, dove chi

governa è il capitale finanziario tramite i propri agenti. Alla fine

del secolo XIX, questo sogno che oggi si fa realtà venne descritto

da Auguste

Comte in vari suoi testi.

Per il fondatore del positivismo, ogni costituzione politica deve rispondere

allo stato della civilizzazione che le corrisponde. Secondo la legge

dei tre Stati, l’umanità avrebbe conosciuto prima uno stadio teologico (coi

suoi tre momenti: feticismo, politeismo e monoteismo), un secondo stadio

dominato dalle rappresentazioni astratte della metafisica e un

terzo stadio di maturità dominato dalla scienza e dall’industria,

lo stadio positivo. In questo ultimo stadio della civiltà, l’osservazione

dei fenomeni naturali e, in particolare, di quelli sociali deve essere

la base di ogni organizzazione politica. La base dell’ordine politico

è la “”sociocrazia”, il potere delle leggi della società enunciate

dalla sociologia. In questo Comte è un erede diretto dei fisiocratici, che già avevano appoggiato un governo basato

sulla natura (fisiocrazia o governo naturale). La democrazia, per Comte,

rimane relegata all’ordine delle anticaglie dello stadio metafisico,

dato che si basa su astrazioni come la sovranità popolare o l’eguaglianza

dei diritti che non coincidono con le conclusioni dell’osservazione

scientifica e delle leggi che da esse derivano: “In politica tutto

è fissato in conformità a una legge realmente sovrana, riconosciuta

come superiore a tutte le forze umane, visto che in ultima analisi deriva

dalla nostra organizzazione, sulla quale non si potrebbe esercitare

alcuna azione. In una parola, questa legge esclude, con la

stessa efficacia, l’arbitrarietà

teologica, ossia il diritto divino dei re, e la arbitrarietà

metafisica, la sovranità dei popoli” (“Piano di lavori

scientifici necessari per riorganizzare la società”, 1822). Per Comte,

lo stato positivo è la fine dell’arbitrarietà rappresentata dal

pensiero teologico e da quello astratto-metafisico. Il principio unico

di governo è il rispetto delle leggi scientifiche, naturali e inviolabili

scoperte dalla sociologia. La politica diventa completamente naturale

e assoggettata, come la natura stessa, a un sapere scientifico e a un

intervento tecnico. Per questo motivo, non ha senso mettere in discussione

l’ordine positivo, dato che si impone non con l’arbitrarietà della

volontà umana, ma per la forza dei fatti che corrisponde a un dispotismo

non arbitrario: “Se qualcuno volesse vedere nell’imperio supremo

di questa legge una trasformazione dell’arbitrarietà

esistente, bisognerebbe chiedere loro che si lamentino anche del dispotismo

inflessibile esercitato su tutta la natura dalla forza di gravità

(Ibid.)

Per Comte, la fine dell’arbitrarietà si traduce in un nuovo tipo

di governo, basato sulla politica scientifica, in cui gli uomini smettono

di governare e sono le cose a farlo: “In questa politica la specie

umana viene considerata come soggetta a una legge naturale che può

essere determinata dall’osservazione e che prescrive, in ogni epoca

e nel modo meno equivoco, l’azione politica che si può

esercitare. Quindi l’arbitrarietà

cessa necessariamente. Il governo delle cose sostituisce quello

degli uomini.” (Ibid.) Il problema è che il governo delle

cose sugli uomini ha bisogno sempre di alcuni intermediari tra le cose

e gli uomini che possano formulare e interpretare le leggi positive

dettate dalle cose.

I banchieri occupano, nella scala dell’industria, un posto privilegiato

dato che, nella classe degli imprenditori, la loro funzione è più

astratta e generale, ed è quella che meglio gli consente di conoscere

le leggi fondamentali della società e di applicarle. La gerarchia sociale

degli imprenditori si eleva, in effetti, “dagli agricoltori ai

fabbricanti, da questi ai commercianti, per salire da ultimo fino ai

banchieri, e ogni classe si poggia sulla precedente. Quelle operazioni

più indirette, che vengono affidate ad agenti più

selezionati e poco numerosi, richiedono quindi concezioni più

generali e più astratte, così come una più

ampia responsabilità” (Catechismo positivista). Per questo motivo

un triumvirato di banchieri deve assumere il potere temporale in

ognuna delle repubbliche che configurano l’ordine mondiale positivista:

In ogni repubblica particolare, il governo propriamente detto,

cioè il supremo potere temporale apparterrà

naturalmente ai tre principali banchieri” . Si profila così l’utopia

di un governo mondiale del capitale attraverso i suoi agenti: “Duemila

banchieri, centomila commercianti, duecentomila produttori e quattrocentocinquantamila

agricoltori mi sembrano dirigenti industriali sufficienti per centoventi

milioni di abitanti che compongono la popolazione occidentale. In questo

piccolo numero di patrizi, si concentrano tutti i capitali occidentali

la cui attiva applicazione dovranno dirigere liberamente, sotto la loro

costante responsabilità morale, a beneficio di un proletariato trenta

volte più numeroso.”

5. L’idea che

chi governa realmente il mondo non sono i governi ma Goldman Sachs è

stato considerata una barzelletta e si è anche creduto per alcuni giorni

che l’intervista di Alessio Rastani alla BBC fosse uno scherzo degli

Yes Men. La psicoanalisi ci ha insegnato, invece, che una battuta

non è solo una battuta, perché ha una forte relazione con l’inconscio.

La battuta (Witz) come manifestazione dell’inconscio ci apre,

secondo Freud, a un sapere che non conosce sé stesso, perché sarebbe

insostenibile. Nelle forme liberali e democratiche assunte fino ad oggi

dal capitalismo, affermare che viviamo sotto la dittatura del capitale

sembrava un’esagerazione che poteva essere espressa solo attraverso

una parodia. Si poteva obiettare a chi lo affermava che nei nostri paesi

ci sono le elezioni e che il popolo può cambiare la linea del governo,

cosa oltretutto vera nell’ambito di precisi limiti che hanno sempre

coinciso con quelli del capitalismo stesso. In un capitalismo democratico,

tutto si può cambiare a parte il capitalismo stesso. Ma l’evoluzione

del sistema ci ha portato, in prima battuta, a un completo svuotamento

dei contenuti della politica nella prima fase (monetarista, de-regolamentatrice)

della controrivoluzione neoliberista e, nella sua seconda fase dominata

da quella che Maurizio

Lazzarato chiama “l’economia

del debito”, a una aperta sparizione delle forme democratiche, a uno

stato di eccezione permanente. Le battute peggiori e i sogni più assurdi

diventano realtà di fronte ai nostri occhi. La crisi della rappresentanza

politica nel capitalismo non è mai stata così prosciugata, e mai è

stata più urgente e più sentita la necessità di rifondare la democrazia

su una base diversa dal capitalismo.

**********************************************

Fonte: El gobierno de los banqueros: la utopía capitalista realizada

13.11.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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