DI JOHN BROWN
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In ogni particolare repubblica,
il governo propriamente detto, ossia il supremo potere temporale, apparterrà
naturalmente ai tre principale banchieri.
Auguste Comte, Catechismo positivista
1. La risposta del potere all’ondata
di resistenza contro le politiche dettate dal capitale finanziario ha
la grande virtù di non essere ipocrita. Di fronte a quelli che nelle
piazze gridavano “La chiamano democrazia e non la
è” o “Non ci rappresentano”, l’oligarchia che è
al comando del potere ha deciso di non deluderci. La riforma costituzionale
“ad alta velocità” in Spagna è stata il primo mattone che poi,
con una terribile accelerazione storica, è stata seguita dalla nomina
dell’uomo di Goldman Sachs, Mario Draghi, come presidente della Banca
Centrale Europea, una banca formalmente “indipendente”, ma che è
indipendente solo da qualsiasi organo che derivi dalla volontà popolare.
La società che ha falsificato i conti pubblici perché la Grecia potesse entrare nell’euro e che poi ha palesemente speculato sul debito greco, tirerà le fila dei destini finanziari dell’Unione Europea. In Grecia, dopo la persecuzione e la deposizione di George Papandreou favoriti dalla Troika (FMI, Commissione Europea, BCE) che ha trattato la Grecia come fosse un paese coloniale, il nuovo primo ministro sarà un altro esponente dell’oligarchia finanziaria, Lucas Papademos, ex responsabile della Banca Centrale Europea. In Italia, Mario Monti – la persona imposta “dai mercati” e dai loro rappresentanti sul globo e in Europa per prendere il posto dell’infausto Berlusconi, è anche lui, secondo i dati della Commissione Europea, oltre che ex commissario, consigliere di Goldman Sachs.
In questo momento la Banca Centrale
Europea e due paesi dell’Unione sono guidati da persone apertamente
legate al capitale finanziario e, nel caso di Draghi e di Monti, a Goldman
Sachs. Sembrano realizzarsi le affermazioni dell’istrionico operatore
di borsa Alessio Rastani che, intervistato
dalla BBC, ha affermato:
“I governi non governano il mondo;
è Goldman Sachs che governa il mondo.” Invertendo la formula
di Marx, possiamo dire, per descrivere quello che succede oggi, che
“la storia si ripete due volte: una volta come scherzo, l’altra
come tragedia … greca”.
2. Il capitalismo ha sempre avuto
una relazione
difficile con la democrazia.
Diversamente dalla storia ufficiale che ci presenta capitalismo e democrazia
come termini di un binomio inseparabile, la democrazia formale ha impiegato
molto tempo per stabilirsi nel mondo capitalista e, visti i tempi attuali,
possiamo dire che sia durata ben poco. I regimi liberali del XIX secolo
e dei primi decenni del XX non erano democratici nemmeno nel senso limitato
che diamo oggi a questo termine: in quasi tutti, il suffragio era basata
sul censo o era fortemente limitato, e votavano solo gli uomini. La
rappresentanza politica era quindi possibile solo per coloro che avevano
introiti e un patrimonio notevole e che non erano sottoposti al potere
patriarcale nella sfera familiare. Quanto al pluralismo politico è
sempre stato molto limitato, e le opzioni anticapitaliste spesso erano
ritenute fuorilegge. Le cose cambiarono nel secondo decennio del XX
secolo, nel convulso periodo compreso tra la Rivoluzione Russa e gli
anni successivi alla crisi del ’29, quando, di fronte alla minaccia
della rivoluzione e della crisi, fu indispensabile per le borghesie
europee e nordamericane creare un ampio consenso attorno al capitalismo
che includesse il proletariato e i suoi rappresentanti. Con i governi
di Roosevelt negli Stati Uniti o del Fronte Popolare in Francia – ma
anche ai margini della democrazia liberale, con il fascismo e il nazismo
-, fu possibile stabilire un accordo sociale egemonico basato sull’ordine
capitalistico fondato sullo scambio tra disciplina sociale e lavorativa
con la protezione e i diritti sociali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale
e la vittoria sul fascismo, nell’Europa in ricostruzione fino agli
anni ’70 si consolidano regimi capitalistici con una forte componente
“sociale” e una notevole influenza delle sinistre, mentre i risultati
sociali e democratici dell’era Roosevelt si mantengono nonostante
alcuni tagli negli Stati Uniti.
Il capitalismo ammette in questo modo,
al suo interno, un margine per la rivendicazione dei diritti sociali
e per un qualche gioco politico pluralista e democratico, contenuto
negli ambiti stabiliti dal sistema della rappresentanza, nella “democrazia
dei partiti” e nella preservazione delle condizioni minime per il
funzionamento dello stesso capitalismo.
Questo idillio del capitalismo con
la democrazia non dura più di trent’anni (i trenta “anni gloriosi”
della crescita successivi alla Seconda Guerra Mondiale) e entra in crisi
quando le conquiste popolari nei paesi del centro capitalista e il raggiungimento
dell’indipendenza dei paesi del Terzo Mondo riducono fortemente il
margine di profitto del capitale per dover aumentare i salari e anche
i prezzi delle materie prime. Il capitalismo democratico si trova di
fronte a un limite. Siamo davanti a quello che la Commissione Trilaterale
definirà come “la
crisi della democrazia”
e che si caratterizzerà come una crisi di “governabilità”. La
soluzione a questa crisi sarà, come si sa, la controrivoluzione liberale
con i suoi diversi capisaldi: Pinochet, Reagan, Thatcher, Felipe Gonzalez-Solchaga,
eccetera. I suoi strumenti saranno la deregolamentazione finanziaria,
il monetarismo, la sostituzione del contratto lavorativo e della contrattazione
collettiva con il contratto mercantile e la contrattazione individuale,
e la liquidazione progressiva dei diritti sociali.
3. Nel regime neoliberista iniziale
si mantengono le forme democratiche: i governi vengono eletti dalla
maggioranza parlamentare e gli interessi privati si differenziano dall’interesse
pubblico, anche se quest’ultimo tende a tradursi ogni volta di più
nei termini di efficacia e di redditività commerciale. La democrazia
perde, alla fine, i suoi contenuti una volta introdotta la dottrina
di Margaret Thatcher “TINA” (There Is No Alternative
– Non c’è alternativa), visto che sono oramai praticamente impossibili
le politiche socialdemocratiche. Tuttavia, quando all’inizio del 2008
e della crisi dei titoli spazzatura, il capitale finanziario si trasforma
in un creditore spietato degli stessi poteri che hanno salvato le banche
dalla propria sparizione, il margine di trattativa dei diritti e degli
interessi delle categorie sociali maggioritarie sparisce completamente.
L’unica priorità degli Stati è il pagamento del debito e la salvaguardia
della credibilità davanti ai mercati. A partire da questo momento,
i rappresentanti politici non possono mantenere la finzione dell’
“interesse generale” e diventano apertamente pupazzi nelle mani
del capitale finanziario. Le immagini patetiche e le dichiarazioni di
Papandreu, Zapatero e, in diversa misura, degli altri dirigenti delle
nostre democrazie in questi ultimi mesi danno un buon esempio di questa
totale sottomissione del potere politico formale al potere privato.
In un certo modo il capitalismo, dopo aver conosciuto una fase democratica
abbastanza breve, sta tornando alla sua iniziale costituzione liberale
e oligarchica. I governi di diversi regimi capitalistici si trovano
oggi sempre più nelle mani di coloro che amministrano il capitale.
I sogni della sovranità popolare, della rappresentatività, della mediazione
degli interessi svaniscono e resta la realtà di un regime che mai ha
avuto molto a che vedere con la democrazia, se non fosse per la diretta
emanazione delle dinamiche di mercato di cui sognavano Hayek e Friedman.
4. Il capitalismo sta trasformando
in realtà la propria utopia. Non quella di una democrazia di mercato
– anarchico – dove, come sosteneva Hayek, il mio denaro è la mia
scheda elettorale, ma quella di un capitalismo del debito, dove chi
governa è il capitale finanziario tramite i propri agenti. Alla fine
del secolo XIX, questo sogno che oggi si fa realtà venne descritto
da Auguste
Comte in vari suoi testi.
Per il fondatore del positivismo, ogni costituzione politica deve rispondere
allo stato della civilizzazione che le corrisponde. Secondo la legge
dei tre Stati, l’umanità avrebbe conosciuto prima uno stadio teologico (coi
suoi tre momenti: feticismo, politeismo e monoteismo), un secondo stadio
dominato dalle rappresentazioni astratte della metafisica e un
terzo stadio di maturità dominato dalla scienza e dall’industria,
lo stadio positivo. In questo ultimo stadio della civiltà, l’osservazione
dei fenomeni naturali e, in particolare, di quelli sociali deve essere
la base di ogni organizzazione politica. La base dell’ordine politico
è la “”sociocrazia”, il potere delle leggi della società enunciate
dalla sociologia. In questo Comte è un erede diretto dei fisiocratici, che già avevano appoggiato un governo basato
sulla natura (fisiocrazia o governo naturale). La democrazia, per Comte,
rimane relegata all’ordine delle anticaglie dello stadio metafisico,
dato che si basa su astrazioni come la sovranità popolare o l’eguaglianza
dei diritti che non coincidono con le conclusioni dell’osservazione
scientifica e delle leggi che da esse derivano: “In politica tutto
è fissato in conformità a una legge realmente sovrana, riconosciuta
come superiore a tutte le forze umane, visto che in ultima analisi deriva
dalla nostra organizzazione, sulla quale non si potrebbe esercitare
alcuna azione. In una parola, questa legge esclude, con la
stessa efficacia, l’arbitrarietà
teologica, ossia il diritto divino dei re, e la arbitrarietà
metafisica, la sovranità dei popoli” (“Piano di lavori
scientifici necessari per riorganizzare la società”, 1822). Per Comte,
lo stato positivo è la fine dell’arbitrarietà rappresentata dal
pensiero teologico e da quello astratto-metafisico. Il principio unico
di governo è il rispetto delle leggi scientifiche, naturali e inviolabili
scoperte dalla sociologia. La politica diventa completamente naturale
e assoggettata, come la natura stessa, a un sapere scientifico e a un
intervento tecnico. Per questo motivo, non ha senso mettere in discussione
l’ordine positivo, dato che si impone non con l’arbitrarietà della
volontà umana, ma per la forza dei fatti che corrisponde a un dispotismo
non arbitrario: “Se qualcuno volesse vedere nell’imperio supremo
di questa legge una trasformazione dell’arbitrarietà
esistente, bisognerebbe chiedere loro che si lamentino anche del dispotismo
inflessibile esercitato su tutta la natura dalla forza di gravità”
(Ibid.)
Per Comte, la fine dell’arbitrarietà si traduce in un nuovo tipo
di governo, basato sulla politica scientifica, in cui gli uomini smettono
di governare e sono le cose a farlo: “In questa politica la specie
umana viene considerata come soggetta a una legge naturale che può
essere determinata dall’osservazione e che prescrive, in ogni epoca
e nel modo meno equivoco, l’azione politica che si può
esercitare. Quindi l’arbitrarietà
cessa necessariamente. Il governo delle cose sostituisce quello
degli uomini.” (Ibid.) Il problema è che il governo delle
cose sugli uomini ha bisogno sempre di alcuni intermediari tra le cose
e gli uomini che possano formulare e interpretare le leggi positive
dettate dalle cose.
I banchieri occupano, nella scala dell’industria, un posto privilegiato
dato che, nella classe degli imprenditori, la loro funzione è più
astratta e generale, ed è quella che meglio gli consente di conoscere
le leggi fondamentali della società e di applicarle. La gerarchia sociale
degli imprenditori si eleva, in effetti, “dagli agricoltori ai
fabbricanti, da questi ai commercianti, per salire da ultimo fino ai
banchieri, e ogni classe si poggia sulla precedente. Quelle operazioni
più indirette, che vengono affidate ad agenti più
selezionati e poco numerosi, richiedono quindi concezioni più
generali e più astratte, così come una più
ampia responsabilità” (Catechismo positivista). Per questo motivo
un triumvirato di banchieri deve assumere il potere temporale in
ognuna delle repubbliche che configurano l’ordine mondiale positivista:
“In ogni repubblica particolare, il governo propriamente detto,
cioè il supremo potere temporale apparterrà
naturalmente ai tre principali banchieri” . Si profila così l’utopia
di un governo mondiale del capitale attraverso i suoi agenti: “Duemila
banchieri, centomila commercianti, duecentomila produttori e quattrocentocinquantamila
agricoltori mi sembrano dirigenti industriali sufficienti per centoventi
milioni di abitanti che compongono la popolazione occidentale. In questo
piccolo numero di patrizi, si concentrano tutti i capitali occidentali
la cui attiva applicazione dovranno dirigere liberamente, sotto la loro
costante responsabilità morale, a beneficio di un proletariato trenta
volte più numeroso.”
5. L’idea che
chi governa realmente il mondo non sono i governi ma Goldman Sachs è
stato considerata una barzelletta e si è anche creduto per alcuni giorni
che l’intervista di Alessio Rastani alla BBC fosse uno scherzo degli
Yes Men. La psicoanalisi ci ha insegnato, invece, che una battuta
non è solo una battuta, perché ha una forte relazione con l’inconscio.
La battuta (Witz) come manifestazione dell’inconscio ci apre,
secondo Freud, a un sapere che non conosce sé stesso, perché sarebbe
insostenibile. Nelle forme liberali e democratiche assunte fino ad oggi
dal capitalismo, affermare che viviamo sotto la dittatura del capitale
sembrava un’esagerazione che poteva essere espressa solo attraverso
una parodia. Si poteva obiettare a chi lo affermava che nei nostri paesi
ci sono le elezioni e che il popolo può cambiare la linea del governo,
cosa oltretutto vera nell’ambito di precisi limiti che hanno sempre
coinciso con quelli del capitalismo stesso. In un capitalismo democratico,
tutto si può cambiare a parte il capitalismo stesso. Ma l’evoluzione
del sistema ci ha portato, in prima battuta, a un completo svuotamento
dei contenuti della politica nella prima fase (monetarista, de-regolamentatrice)
della controrivoluzione neoliberista e, nella sua seconda fase dominata
da quella che Maurizio
Lazzarato chiama “l’economia
del debito”, a una aperta sparizione delle forme democratiche, a uno
stato di eccezione permanente. Le battute peggiori e i sogni più assurdi
diventano realtà di fronte ai nostri occhi. La crisi della rappresentanza
politica nel capitalismo non è mai stata così prosciugata, e mai è
stata più urgente e più sentita la necessità di rifondare la democrazia
su una base diversa dal capitalismo.
Fonte: El gobierno de los banqueros: la utopía capitalista realizada
13.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
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