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IL FINANCIAL TIMES E LA MENTE DELL'11 SETTEMBRE

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A cura di Das schloss
Il 7 Settembre 2008
94 Views

DEL PROF. JAMES PETRAS
Global Research

Al giorno d’oggi c’è una crescente manifestazione dell’avanzamento dei totalitarismi in politica e nei media convenzionali. L’intero mondo occidentale, capeggiato dagli Stati Uniti d’America, ha abbracciato la causa del regime georgiano, il quale, invasa l’Ossezia del Sud, ha demolito interamente la sua capitale abitata da 50.000 persone , assassinando 1500 persone tra uomini, donne e bambini, oltre a dozzine tra i peacekeepers russi.

Gli Stati Uniti hanno mobilitato un’armata area e navale al largo delle coste iraniane, preparandosi a distruggere un Paese di 70 milioni di abitanti. Il New York Times pubblica un saggio di un eminente storico israeliano, sostenitore dell’incenerimento nucleare dell’Iran. Tutti i più importanti mezzi di comunicazione montano una campagna propagandistica sistematica contro la Cina, supportando ogni sorta di gruppo terrorista e separatista, aizzando l’opinione pubblica a favore del lancio di una nuova Guerra Fredda. Sorge un piccolo dubbio sul fatto che questa nuova ondata di aggressività imperialistica e di retorica bellicosa sia stata creata per distogliere l’attenzione dal malcontento domestico e sviare l’opinione pubblica dalla profonda crisi economica.Il Financial Times, un tempo quotidiano liberale, voce illuminata dell’elite finanziaria ( sul fronte opposto rispetto all’aggressivo e neo-conservatore Wall Street Journal) ha finito per piegarsi alle tentazioni totalitarie-militariste. Il pezzo forte del supplemento settimanale del 16/17 agosto 2008 – “The Face of 9/11” [“Il vero volto dell’11 settembre”, ndt] – abbraccia la confessione forzata di uno dei sospettati degli attentati, estorte dopo 5 anni di orribili torture nel confinamento di una prigione segreta. Per confezionare la sua storia, il quotidiano ha pubblicato una foto ingrandita su mezza pagina, inizialmente fatta circolare dall’ex direttore della CIA, George Tenet, che mostra un prigioniero confinato, arruffato, confuso, con i capelli in aria come una scimmia. Il testo dello scrittore, un certo Demetri Sevastopulo, ci dice molto al riguardo: il giornale dà adito d’essere diventato un veicolo di propaganda per il programma di discredito della CIA nei confronti del sospettato, mentre questi si trovava sotto processo sulla base di confessioni estorte con la tortura.

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Dall’inizio alla fine, l’articolo sostiene categoricamente che il principale imputato, il reo-confesso Khaled Sheikh Mohammed, è la “mente principale degli attacchi dell’11 settembre” . La prima metà dell’articolo è colma di elementi secondari, inseriti per diffondere un sentimento umano di interesse verso la Corte e verso il procedimento legale – un mix bizzarro di disamine che vanno dal naso di Khaled alle misure dell’aula di tribunale.

Il punto centrale da cui muove il convincimento di colpevolezza del Financial Times è la confessione di Khaled, il suo “desiderio di martirio”, la sua assunzione d’autodifesa e il suo declamare il Corano. La prova principale su cui si basa la causa del Governo è l’ammissione di Khaled. Tutte le altre “prove” sono circostanziali, dicerie, basate su illazioni derivate dalla presenza di Khaled in incontri oltremare.

La principale fonte d’informazione del Financial Times, un informatore anonimo “che ha molta familiarità con i programmi d’interrogatorio della CIA” precisa due punti cruciali:

quanto poche informazioni aveva la CIA prima dell’arresto dell’imputato, e che

Khaled è stato trattenuto più a lungo rispetto agli altri.

In altre parole, l’unica prova reale in mano alla CIA è stata estorta con la tortura (l’Agenzia ha ammesso di aver fatto ricorso al “water boarding” – una infame tecnica di tortura che simula la morte per annegamento). Il fatto che Khaled abbia ripetutamente negato le accuse e che abbia confessato solamente dopo 5 anni di sevizie in carceri segrete, rende l’intero processo un caso-studio nella giurisprudenza dei totalitarismi. Essendo stato sottoposto a indicibili tormenti da parte degli investigatori statunitensi, di fronte ad accuse basate su confessioni forzate, non c’è da stupirsi che abbia rifiutato un avvocato militare nominato dalla Corte – avvocato che fa parte di questo sistema di carceri segrete, violenze e processi mediatici. Piuttosto che dipingere Khaled come un fanatico desideroso di martirizzarsi per aver rifiutato un difensore, dobbiamo riconoscere che è completamente sano di mente per esser riuscito a conservare lo spazio ed il tempo limitato concessogli, per affermare le sue convinzioni, e per riferire la sua propensione a poter morire per quegli ideali. Le confessioni estorte con la tortura non hanno valore in nessuna Corte, in particolar modo dopo 5 anni di detenzione in isolamento. Colui il quale il Financial Times apostrofa come “il super terrorista” basandosi sul suo affermato “desiderio di martirio” è il riconoscimento di come un individuo abbia sofferto oltre il limite della sopportazione umana, cercando rifugio nella morte per porre fine ad una esistenza orribile e sub-umana.

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[Il Waterboarding. In alto: la versione medievale dell’annegamento simulato. In mezzo: una rappresentazione ad una manifestazione di protesta. In basso: un cartello esplicativo: si premono degli indumenti (o il cellophane come fa la CIA) sulla faccia di una persona stesa con i piedi leggermente all’insù e si versa acqua sino a creare una sensazione di soffocamento. Si percepisce mancanza di aria e incominciano movimenti e reazioni di riflesso. La sensazione di stare per morire porta a implorare la fine della tortura. Se si confessa i torturatori non ripeteranno più l’operazione.]

L’appoggio del Financial Times alla raccolta coercitiva di prove da parte della CIA e dei militari, e di conseguenza al loro ricorso alla tortura, li proietta direttamente nel campo degli stati totalitari. La svolta a destra del Financial Times rispecchia l’orientamento europeo a favore del confronto militare statunitense con la Russia, e le installazioni militari in Polonia, Repubblica Ceca, Kosovo, Iraq e Georgia. Il Financial Times, legittimando l’uso della tortura, ha aperto le porte alla creazione di pratiche giudiziarie totalitarie, arresti arbitrari, carceri segrete, detenzioni in isolamento prolungate, sevizie, processi spettacolo e occultamento dei fatti della vita politica quotidiana dell’occidente. Il fascismo snob britannico non è meno peggio dell’imperversante versione statunitense

Titolo originale: “The Financial Times and the “Self-Confessed Mastermind of 9/11””

Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link
29.08.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di IVAN TALLORU

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