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La Redazione

 

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IL CASO DEL SOLDATO A

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A cura di Davide
Il 10 Aprile 2016
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DI URY AVNERY

original.antiwar.com

Nota dell’Editore: divulgare l’identità del “soldato A” costituisce violazione del divieto militare di pubblicazione ed è un crimine in Israele. Se l’autore (cittadino israeliano, n.d.t.) l’avesse nominato avrebbe rischiato l’arresto. La maggior parte delle testate occidentali ha ottemperato a tale divieto. Tuttavia alcune testate, incluso lo Intercept (come pure alcuni dei sostenitori del “soldato A”, che lo hanno festeggiato) lo hanno citato quale caporale Elor Azaria.

Su quest’incidente che sta scuotendo Israele sembra sia stato già detto, scritto, proclamato, affermato e negato tutto il possibile; tutto, salvo il punto principale.

L’incidente riguarda “il soldato di Hebron”. La censura militare non consente che sia citato per nome, ma può essere chiamato “soldato A”.

Il fatto si è verificato nel settore Tel Rumaida della città occupata di Hebron, nella Sponda Sud-occidentale, dove un gruppo di coloni ultra-estremisti di destra vive in mezzo a 160.000 palestinesi ed è pesantemente protetto dall’esercito di Israele (il c.d. “glorioso Tsahal”, n.d.t.). Ovviamente, abbondano le violenze.

Nel giorno in questione, due palestinesi locali, armati di coltelli, hanno attaccato alcuni soldati: entrambi gli assalitori sono stati immediatamente colpiti con armi da fuoco. Uno dei due è stato immediatamente ucciso, l’altro è rimasto al suolo, gravemente ferito.

Il posto era pieno di gente. Mentre i medici prestavano le cure ad un soldato ferito (ma non al palestinese), alcuni ufficiali e soldati stazionavano all’intorno assieme ad alcuni coloni.

Dopo sei minuti è comparso sulla scena il “soldato A”. Ha osservato la scena per 4 minuti, poi si è avvicinato all’assalitore ferito e, a sangue freddo, lo ha ucciso sparandogli un colpo alla testa a bruciapelo. L’autopsia ha confermato che questo colpo ha causato la morte del palestinese.

Nella parte finale il filmato mostra il “soldato A” che scambia strette di mano con uno dei coloni, il famigerato Baruch Marzel, un leader del partito fuorilegge fondato dal fu Meir Kahane, definito come fascista dalla Suprema Corte.

Fino a questo punto i fatti non sono in discussione, per un motivo molto semplice:

l’intero episodio è stato ripreso, da vicino, da un palestinese, che si trovava sul posto. B’Tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, ha fornito a molti palestinesi cineprese, proprio per questi casi

(B’Tselem è un nome biblico che significa “A (Sua) immagine”; stando alla Genesi, 2, Dio creò l’essere umano “a Sua immagine”. È uno dei versetti più umani della Bibbia, dato che significa che tutti gli esseri umani, senza distinzione, sono creati ad immagine di Dio).

In questo incidente, la cinepresa gioca un ruolo chiave; durante l’attuale intifada, molti assalitori arabi sono stati uccisi in incidenti simili. Vi è un forte sospetto che molti di essi siano stati “giustiziati” dopo essere già stati “neutralizzati”, termine dell’esercito per indicare assalitori arabi che non rappresentano più un pericolo in quanto sono morti, gravemente feriti o catturati.

Le regole di ingaggio dell’esercito israeliano non consentono ai soldati di uccidere attaccanti nemici che non costituiscano più un pericolo. D’altro canto, però, molti politici ed ufficiali dell’esercito ritengono che “ai terroristi non deve essere consentito restare vivi” dopo un attacco. Questo appunto l’ordine informale dell’ex primo ministro Yitzhak Shamir (egli stesso, in precedenza, famoso terrorista).

Tuttavia, il comando dell’esercito non ha mai accettato questa regola. Quando Shamir era in carica come primo ministro, lo Shin Bet uccise due dirottatori di un autobus prigionieri; Shamir rischiò l’incriminazione, ma fu graziato dal presidente di Israele. Fu costretto a dimettersi.

In un altro recente incidente, un’adolescente palestinese è stata ripresa mentre correva per la strada agitando un paio di forbici: un poliziotto le ha sparato a distanza ravvicinata, uccidendola.

In tutti questi casi, la telecamera ha fatto la differenza (forse bisognerebbe modificare il comandamento divino in questo senso: “Non uccidere, in presenza di una telecamera!”).

Il comandante del “soldato A” gli ha chiesto, a caldo, perché aveva sparato al palestinese ferito. Il “soldato A” ha risposto istintivamente: “Aveva ferito il mio camerata e per questo meritava di morire.”

Immediatamente dopo ha capito di aver dato la risposta sbagliata, e così si è corretto: “Si stava muovendo e c’era un coltello accanto a lui, così mi sono sentito minacciato.” Tuttavia sembra che un altro soldato avesse già allontanato il coltello con un calcio.

Successivamente ha espresso un’altra motivazione, alla quale da allora ha continuato ad attenersi: “Ho visto una protuberanza sotto la sua giacca ed ho pensato che avesse una cintura esplosiva, così gli ho sparato per impedirgli di uccidere tutti i presenti.” Anche questo è altamente improbabile, dato che il filmato mostra chiaramente che tutte le persone intorno erano tranquille: il ferito era già stato perquisito. Conseguentemente, la Polizia Militare ha comunicato che il “soldato A”era indagato per omicidio volontario.

E qui si è scatenato il pandemonio: in tutto il paese esponenti di destra, coloni, politici ed altri hanno attaccato i comandi dell’esercito con una veemenza mai udita prima.

Il ministro dell’Istruzione, Naftali Bennett, leader del partito di estrema destra “Jewish Home”, ha attaccato selvaggiamente il ministro della Difesa, un ex Capo di Stato Maggiore della destra moderata del Likud.

L’attuale Capo di Stato Maggiore, Gadi Eizenkot, è rimasto imperturbabile: ha reiterato gli ordini dell’esercito ed ha sostenuto con forza le indagini della polizia militare, contro l’orda vociante che inondava i social media con migliaia di messaggi che inveivano contro il comando dell’esercito. Binyamin Netanyahu ha dapprima sostenuto, debolmente in verità, il suo ministro della Difesa ed ha poi telefonato al padre del “soldato A” per esprimergli il proprio sostegno.

E questo è stato soltanto l’inizio. I genitori del “soldato A” hanno apertamente attaccato, nei media, il comando dell’esercito per aver “abbandonato” il loro amato figliolo; membri dell’unità di appartenenza dell’omicida hanno apertamente imprecato contro i propri comandanti e contro la polizia militare; in tutto il paese si è gridato forte che il “soldato A” era “un eroe”.

Di fronte al tribunale militare, all’interno di una base dell’esercito, si sono avute manifestazioni di militari e civili. Ministri del governo e membri della Knesset (il parlamento, n.d.t.) si sono presentati in tribunale per dimostrare la propria solidarietà con “l’eroe”. La canea di militari e civili ha chiesto a gran voce le dimissioni del Capo di Stato Maggiore dell’esercito e del ministro della Difesa.

A questo punto vorrei aggiungere alcuni commenti personali.

Nella guerra del 1948 ero soldato in una unità di commandos (che ottenne poi il titolo onorario di “Volpi di Sansone”) ed ho preso parte a circa 50 combattimenti. Da questa mia esperienza sono nati due miei libri. Il primo, “Nei campi dei Filistei”, scritto durante la guerra, descrive le battaglie. Tutto quanto vi ho scritto era la verità e soltanto la verità, ma non tutta la verità. Nel secondo libro, “L’altra faccia della medaglia”, pubblicato immediatamente dopo la guerra, ho descritto i lati oscuri, inclusi i crimini di guerra.

Sulla base di questa esperienza oso affermare: che chiunque chiami il “soldato A” un “eroe”, insulta le centinaia di migliaia di soldati veri che hanno servito nell’esercito israeliano da allora ad oggi, alcuni tra i quali realmente eroi (come i quattro camerati di origine marocchina che rischiarono la propria vita sotto il fuoco per portarmi in salvo quando fui ferito).

Eroe è un soldato che rischia la propria vita per salvare un camerata o per portare a termine qualsiasi altro incarico essenziale. Chi spara ad un nemico ferito ed inerme non è un eroe, e chiamarlo così è un insulto a tutti i soldati veri che tentano di conservare la propria umanità in circostanze dure, a volte impossibili.

Un soldato vero non ha bisogno di ordini dai propri superiori per distinguere tra consentito e proibito, tra corretto e criminale, tra un eroe ed un immondo vigliacco. Un soldato vero, semplicemente, sa.

Qualcuno potrà domandarsi quale sia il mio atteggiamento verso l’esercito.

Io sono un pacifista, detesto la guerra e la violenza, ma non sono un ingenuo. Io so che ogni paese ha bisogno di un esercito, non soltanto in tempo di guerra ma anche in tempo di pace.

Un esercito è una macchina per uccidere, ma dopo l’atroce “guerra dei 30 anni” nel 17° secolo, il genere umano civile ha fissato dei limiti (*). In breve, la violenza è consentita se serve agli scopi della guerra, ma è assolutamente vietata se utilizzata contro esseri umani inermi, quali prigionieri e feriti (aggiungerei i civili, specialmente minori, n.d.t.).

Come alcuni di noi avevano a suo tempo previsto, un’occupazione che dura da quasi 50 anni ha di fatto corrotto il nostro esercito in molti modi. Non è questo l’esercito in cui ho servito. Non posso essere fiero di un esercito così. Rassomiglia più ad una forza di polizia coloniale che ad un esercito che abbia il compito di difendere il proprio stato in una regione ostile (**).

Gli stranieri possono meravigliarsi del fatto che in Israele i comandi militari siano generalmente più moderati del governo e dei politici. Per ragioni storiche è sempre stato così. Io biasimo fortemente le molte colpe e misfatti dei comandi militari ma, in questo caso, ne lodo la forza di carattere.

Il punto chiave di questo episodio, punto che nessuno ha il coraggio di dichiarare apertamente, è che per la prima volta nello storia di Israele stiamo assistendo ad un vero e proprio ammutinamento.

Non può essere definito diversamente.

Un gruppo di soldati, supportato dalla maggior parte della scena politica, si è ammutinato contro i propri comandanti. Questa è una minaccia gravissima per la struttura dello stato, una sfida a quanto poco rimane della nostra democrazia.

Il marciume che ha cominciato a manifestarsi nei territori occupati, si sta adesso diffondendo attraverso il paese e si è manifestato adesso in quell’unica istituzione sinora amata da tutti gli israeliani (ebrei): l’esercito.

Uri Avnery è un attivista pacifista, giornalista, scrittore ed ex-membro della Knesset. Potete leggere altri articoli di Uri, o visitare il suo sito Web.

Fonte: http://original.antiwar.com/

Link: http://original.antiwar.com/avnery/2016/04/08/the-case-of-soldier-a/

8. 04.2016

Traduzione “pro-bono atque pro veritate causa” di Arrigo de Angeli per come donchisciotte.org

(*) N.d.T. : a mio parere una delle manifestazioni più idiote dell’ipocrisia dell’essere umano: darsi delle regole per scannarsi.

(**) N.d.T. : direi che l’ostilità non dovrebbe sorprendere. Vero però è che anche in Italia, se ti trovi un estraneo che ti aggredisce in casa, non hai diritto a mostrargli ostilità.

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