DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
Telegraph.co.uk
E allora siamo entrati nell’Anno IV della Lunga Crisi, la più crudele anche se non la più acuta.
Non ci sarà un’esplosione del credito in Cina, nessun aiuto reale dall’India post-bolla o dal Brasile troppo in tensione.
Ci sarà una flessione su tutti i fronti, che farà abortire quello che rimane della ripresa quando il prodotto industriale del blocco OCSE non è ancora riuscito a riguadagnare il picco pre-Lehman.
La seconda ondata colpirà duro con la disoccupazione giovanile che è già al 45% in Grecia e al 49% in Spagna, e con il tasso di partecipazione al lavoro negli USA già al livello di depressione del 64%.
Sentiremo parlare delle Brigate Rosse in Italia, della Setta dei Rivoluzionari in Grecia, dei gruppi di miliziani in America e del modo in cui rispondono le democrazie. Il proto-fascismo in Ungheria ci sta già avvisando.
L’atterraggio morbido chirurgico della Cina andrà fuori controllo, come nella stretta della Fed nel 1929 e nel 2007, o nella contrazione giapponese del 1990. Quando la struttura
va in malora, i ribassisti hanno vita facile.
Dato che lo scopo delle previsioni
per il Nuovo Anno è quello di esporsi alle critiche, lasciatemi dire che la Cina svaluterà lo yuan nel 2012. Esporterà ancora più capacità di risparmio in un mondo deflazionario, fino a che l’Occidente non si vendicherà e volterà le spalle alla globalizzazione. I flussi di capitale in uscita si velocizzeranno. L’idea che la Cina possa salvare tutti sembrerà pittoresca.
Lo yen forte ha già spinto il Giappone verso la deflazione e una nuova recessione. Il debito pubblico
ha raggiunto una quadrilione di yen, come ha notato corrosivamente dall’agenzia di rating di Tokyo R&I quando lo scorso mese ha tolto al Giappone la tripla A dal suo rating. Si parla di 12,8 trilioni
di dollari, o quattro volte Italia e Spagna messe insieme.
C’è un cimitero ricolmo di commentatori Gaijin che hanno dato per morto il Giappone troppo in anticipo. La diga crollerà quest’anno, con le entrate fiscali che coprono meno della spesa, il debito pubblico al 237% del PIL, sempre meno lavoratori, e un fondo pensione statale che ora vende i titoli governativi? Forse. E mentre R&I ci avverte, le sventure in Europa hanno portato il debito sovrano sotto gli occhi di tutti.
L’America riuscirà a resistere per
pochi mesi. L’accordo sulle tasse ha evitato un shock fiscale, ma è tutto qui. La massa monetaria M3 sta balbettando e la velocità è in calo.
I politici al Campidoglio impediranno a Ben Bernanke il lancio di un QE3 fino a che il Tea Party non riuscirà a vedere il muro della deflazione. L’inflazione PCE a sei mesi era del 2,9% ad agosto, del 2,4 a settembre, dell’1,6 a ottobre e dell’1,2 a novembre. E ancora non è finita. Preparatevi prima per un grido di dolore da Wall Street.
Se lo spavento per l’inizio del 2012
si trasformerà in orrore, dipende dalla faccia tosta dei legislatori. Gli ammortizzatori sono meno efficienti, ma non sono esausti.
Le banche centrali hanno i mezzi per impedire un esito stile anni ‘30, anche con i tassi a zero, se volessero introdurre uno stimolo monetario Fisher-Friedman con convinzione, comprando asset dal settore non bancario e fissando come obbiettivo la crescita del PIL nominale al 5%. Ma la sconfitta della politica è nell’aria e gli Austro-liquidazionisti stanno vincendo nel dibattito pubblico.
La seconda fase del nostro inverno
di Kondratieff arriva in un pessimo momento per l’Eurolandia, quando la forbice Nord-Sud diventa davvero terribile.
La Banca Centrale Europea si è
messa nei guai permettendo la contrazione dell’aggregato M3. L’irrigidimento fiscale in un periodo di flessione renderà tutto ancora peggiore. La stretta creditizia, mentre le banche restringono i prestiti in bilancio di un trilione di euro per soddisfare i requisiti di capitale, farà il resto. Tutte le leve politiche sono in forte recessione, e la forte recessione è quello che l’Europa dovrà subire.
L’unione monetaria è troppo danneggiata per riuscire a schivare questi colpi. Mario Draghi della BCE taglierà i tassi di interesse dell’0,5% a febbraio, solo per tenere il ritmo
dell’inasprimento. Gli acquisti di obbligazioni italiane e spagnole rimarranno incerti, facendo più male che bene. Retrocedendo gli attuali
detentori alla condizione junior, la BCE si garantirà un lento esodo. Draghi lo sa. Ha le mani legate.
La Bundesbank scatenerà una guerra guerreggiata contro la stampa di moneta dalle pagine del Die Welt e dall’Handelsblatt, paralizzando il Consiglio della BCE se Angela Merkel non ordinerà a Jens Weidmann di desistere.
Ma allora sarà troppo tardi, volutamente. La contrazione sarà devastante per i bilanci di Italia, Spagna, Portogallo e Francia. La sola austerità sembrerà un compito di Sisifo. I dirigenti del Club Med non saranno in grado di aver la meglio sul consenso popolare con simili incerottate strategie stile anni ’30.
La politica si fratturerà ancor di più, dipanandosi verso una sinistra e una destra radicali. Quelli del Fronte Nazionale di Marie Le Pen batteranno il Maréchal Sarkozy in uno spareggio francese in cui si invocherà il “terroir” e il vecchio franco. Ci sarà un bisogno di un sempre maggiore livello di coercizione per tenere il Progetto in vita, con i commissari dell’UE rimasti da soli a tavola nei territori amministrati di Grecia e Italia.
Ben distanti dalla protezione dei
rating creditizi, le politiche autopunitive dell’Europa provocheranno una tempesta di downgrade. La tripla A della Francia volerà via, ovviamente. E lo stesso farà l’Austria quando il sistema bancario sarà ben inguaiato per Ungheria, Ucraina e Croazia. I vigilantes osserveranno più da vicino il debito delle famiglie olandesi, non mostrato
nei grafici, al 270% del reddito disponibile.
Il cuore sempre più ridotto della tripla A lascerà la sola Germania a sorreggere il fondo di salvataggio EFSF, fino a che il peso delle passività non metterà in pericolo la Germania stessa. Qualcuno comincerà a pensarci su.
Il presidente francese Hollande farà
una “triangolazione”, giocandosi la carta pan-latina per sconfiggere Berlino e forzare un cambio di approccio. I sacrifici portoghesi dettati dalla Troika si dimostreranno futili come gli sforzi fatti prima dalla Grecia. Arriverà un secondo salvataggio per Lisbona mentre in Grecia si passerà dalle rivolte all’insurrezione, e l’italiano Silvio Berlusconi cercherà di riassumere il potere scatenando la furia contro i “teteschi”. Il Bundestag finirà la pazienza per tutti questi disordini.
La Germania non potrà più eludere l’UEM. Dovrà immolare sé stessa, accettando un’unione del debito e un’inflazione interna per salvare una moneta che non ha mai voluto e che non ama; o scegliere di difendere la sovranità fiscale e l’essenza della sua democrazia, e lasciare morire il Progetto.
La scaltra, equivoca, glaciale Cancelliera soppianterà in silenzio l’arci-eurofilo Wolfgang Schauble e
lascerà morire il Progetto, facendo sempre credere il contrario.
È solo un’idea oziosa. Guten
Rutsch.
Fonte: Ambrose Evans-Pritchard: 2012 could be the year Germany lets the euro die
02.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE