DI THOMAS VENDRYES
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Quali somme sono nascoste nei paradisi
fiscali? Da chi? E come? Con l’aiuto di un metodo originale e di dati
finora poco sfruttati, Gabriel Zucman fa piena luce su questi problemi,
sperando che ciò possa aiutare a migliorare la lotta contro i
paradisi fiscali.
Avete svolto un importante lavoro su quello che lei chiama la “ricchezza mancante delle nazioni”, ossia il patrimonio delle famiglie che non appare nelle statistiche nazionali e mondiali, perché nascosto nei paradisi fiscali. Vorremmo chiederle di fornirci un ordine di grandezza: quale sarebbe l’importo di questa ricchezza? La sua struttura? Quali i principali detentori? Quali sono i principali paradisi fiscali?
Gabriele Zucman: Lo studio che ho realizzato suggerisce che circa il 8% del patrimonio finanziario è detenuto nei paradisi fiscali di tutto il mondo. Alla fine del 2008, il patrimonio finanziario delle famiglie – ossia i depositi bancari, i portafogli azionari, le quote dei fondi di investimenti e i contratti di assicurazione sulla vita detenuti dalle famiglie di tutto il mondo – arrivavano a 75 trilioni di dollari. Quindi le famiglie detenevano circa 6 trilioni di dollari nei paradisi fiscali.
Si immagina spesso che avere un conto in Svizzera corrisponda a detenere del denaro che rimane fermo, in una cassaforte o su un conto corrente. In realtà, le famiglie agiate
non vanno in Svizzera per mettere dei milioni su conti che fruttano l’1% l’anno. Dai propri conti svizzeri, fanno investimenti relativamente sofisticati. La grande parte delle fortune offshore viene investita
in titoli finanziari: azioni, quote di fondi di investimento, obbligazioni. Tra questi titoli finanziari, le quote dei fondi di investimento giocano un ruolo preponderante. Non c’è niente di cui sorprendersi: investire in un fondo, che investe a sua volta in obbligazioni americane, in azioni brasiliane, eccetera, può portare a un risultato ben maggiore dell’accumulo di liquidità su un conto corrente.
È assai più difficile sapere a chi
appartengono le fortune nei paradisi fiscali, conoscere l’importo totale
dei capitali fortune offshore e la loro composizione. In effetti,
abbiamo a disposizione solamente i dati che vengono dalla Svizzera. Le banche svizzere gestiscono circa un terzo delle fortune offshore,
dunque circa 2 trilioni alla fine del 2008. Ciò fa della Svizzera il più importante paradiso fiscale per la gestione di capitali transfrontalieri.
Di questi 2 trilioni, più del 60% appartiene agli europei, particolarmente a italiani, tedeschi, francesi,
spagnoli, portoghesi e greci. In seconda battuta vengono i paesi del
Golfo – le ricche famiglie del Golfo sono fin dagli anni ’70 clienti
molto importanti delle banche svizzere e londinesi – e non c’è da stupirsi, visto il debole sviluppo del sistema finanziario dei paesi
del Golfo.
Diversamente dall’opinione comune,
le fortune dei dittatori africani o degli oligarchi russi costituiscono solo una piccola frazione delle fortune gestite dalle banche svizzere. La gran parte del denaro in Svizzera appartiene ancora agli europei, in genere ai residenti dei paesi ricchi, Giappone escluso. Ultimamente sembra che la parte relativa ai paesi emergenti sia in crescita, mentre quella degli europei e degli americani stia declinando.
Non si sa ciò avviene negli altri
paradisi fiscali. Alcuni resoconti realizzati sulla base di interviste avute con i gestori dei capitali suggeriscono che la maggioranza delle fortune gestite nei paradisi fiscali europei (Svizzera, Lussemburgo, Jersey, Guernsey, Lichtenstein, ecc.) appartengano agli europei, la gran parte di quelle presente nei Caraibi (isole Cayman, Bahamas, Bermuda, ecc.) agli americani (del Nord e del Sud) e di quelle gestite nei paradisi fiscali asiatici (Singapore e Hong Kong) agli asiatici. Ma non ci sono dati certi come per la Svizzera.
È comunque chiaro che una parte sostanziale dei capitali offshore appartenga necessariamemte agli europei, poiché possiedono la maggioranza delle ricchezze gestite dal maggiore paradiso fiscale, la Svizzera.
Perché il Giappone viene distinto dagli altri paesi ricchi, forse perché, contrariamente agli europei e agli americani, i giapponesi benestanti non rifugiano il proprio patrimonio nei paradisi fiscali?
Gabriele Zucman: Bisogna essere prudenti,
perché non si dispongono di dati eccetto che per la Svizzera. Ma è
vero che i giapponesi non sembrano essere grossi clienti delle banche
svizzere. Le ricerche che cercano di stabilire ciò che spinge le persone
a convogliare il denaro nei paradisi fiscali non hanno conclusione univoca.
Sembra molto plausibile, tuttavia, che i livelli di tassazione rivestano
un ruolo importante: in Giappone, i dividendi percepiti sono tassati
solo al 10%, contro il 21% degli Stati Uniti, il 24% della Germania
e più del 30% in Francia [1].
Come vengono mascherati patrimonio
e redditi
Ci potrebbe dare un’idea delle iniziative tipiche, ad esempio di una famiglia europea, per mascherare il patrimonio e i redditi alle autorità fiscali? Come funziona la cosa?
Gabriele Zucman: Bisogna distinguere
due fasi: l’invio del denaro in Svizzera, per esempio, e la gestione
del denaro che è stato mandato in Svizzera. Cominciamo dalla seconda
fase. Se disponete di un milione di euro su un conto svizzero, il fisco
francese non ha nessun modo per venirlo a sapere, perché le banche
svizzere non scambiano informazioni col fisco francese, è il principio
basilare del segreto bancario. Questo milione genera dei redditi (interessi,
dividendi) di cui il fisco francese non viene a conoscenza; quindi,
avere un conto in Svizzera permette di evitare al tempo stesso l’imposta
sui redditi, la tassa di solidarietà sui capitali e la tassa sulle
successioni.
In genere, le persone che trasferiscono
il denaro in Svizzera prendono alcune precauzioni supplementari. Ad
esempio, sono pochi i conti intestati direttamente alle famiglie; la
maggior parte delle fortune offshore sono detenute tramite società
di comodo, trust o fondazioni, in modo da rendere più opaco
il legame tra un conto e i beneficiari effettivi.
Nello schema-tipo, una famiglia francese
possiede un conto in Svizzera attraverso una società di comodo domiciliata
in Panama (tutto ciò è puramente formale, non accade niente a Panama:
la società di comodo viene creata direttamente in Svizzera). Il denaro
viene investito, per una larga fetta, nei fondi di investimento che
operano nel Lussemburgo (che sono, alla fine, solo filiali delle banche
svizzere). Il Lussemburgo non tassa i versamenti transfrontalieri: la
nostra famiglia riceve sul suo conto svizzero il 100% dei dividendi
ottenuti dai fondi. Il fisco francese non ha modo per venire a conoscenza
dei redditi generati offshore, dunque se la nostra famiglia non
dichiara i propri introiti nella denuncia dei redditi, non paga tasse
in Francia. Se anche il fisco avesse dei sospetti, può opinare il fatto
che il conto appartiene a una società panamense, e non a una famiglia
francese con un indirizzo di Parigi. Quando si riesce a interpretare
– ossia quando si comprende come vengono costruiti – i dati ufficiali
della Banca centrale Svizzera, accessibili a tutti, apparire molto chiaramente
questo schema-tipo, Francia-(Panama)-Svizzera-Lussemburgo. Non si tratta
di un brutto poliziesco.
Veniamo ne alla prima tappa: come arriva
il denaro in Svizzera? Nell’immaginario collettivo ogni passaggio avviene
con le valigie piene di banconote; ma così è difficile trasportare
molto denaro, ed è molto rischioso. In realtà, la gran parte dei trasferimenti
avviene con versamenti elettronici assolutamente banali. Per esempio,
una società controllata da una famiglia francese accredita un conto
svizzero per l’acquisto di un servizio fittizio. Altro meccanismo:
già oggi molti impiegati del settore finanziario londinese ricevono
direttamente lo stipendio su un conto in Jersey. È anche usuale che
gli impiegati delle multinazionali ricevano il loro stipendio su un
conto collocato a Cipro, ad esempio. Una volta che il denaro è in un
paradiso fiscale, può circolare facilmente verso un altro paradiso
fiscale.
Perché alcune società pagano
i propri dipendenti su conti offshore? Perché realizzano una
gran parte dei propri profitti nei paradisi fiscali. I profitti realizzati
da una società americana in un paradiso fiscale non sono tassati negli
Stati Uniti finché non vengono rimpatriati. Invece di rimpatriare i
profitti negli Stati Uniti, le multinazionali hanno tutto l’interesse
a pagare direttamente i loro impiegati a partire dalle posizioni che
accumulano nei paradisi fiscali.
Come si misura il denaro presente
nei paradisi fiscali?
Vista la complessità e l’anonimato di questi strumenti, che vengono scelti proprio per sfuggire
alla sorveglianza degli Stati, come fate per misurarli e studiarli, e quale fiducia accordate ai risultati?
Gabriele Zucman: Quando una famiglia
francese detiene su un conto in Svizzera una quota di fondi di investimento
del Lussemburgo, la Francia non registra nessun attivo (i contabili
francesi non hanno modo di determinarlo). La Svizzera non registra né
attività né passività, perché tutto questo, dal punto di vista della
contabilità internazionale, non riguarda la Svizzera: si tratta di
un investimento realizzato da un francese in Lussemburgo. Ma il Lussemburgo
registra invece una passività: più precisamente, i contabili del Lussemburgo
osservano che ci sono stranieri che possiedono delle quote dei fondi
di investimento lussemburghesi, e ciò costituisce un passivo del Lussemburgo
verso il resto del mondo. Fatalmente, sono registrati più passivi che
attivi su scala mondiale; i passivi registrati dal Lussemburgo sono,
in particolare, molto più alti del totale delle attività contabilizzate
da tutti i paesi del mondo verso il Lussemburgo (in questo caso, la
differenza nel 2008 era pari a un trilione di dollari).
Per mettere in evidenza queste anomalie
ho utilizzato una ricerca, realizzata sotto la direzione del FMI dal
2001, il Coordinated Portfolio Investment Survey (CPIS). Questa
inchiesta, di una qualità eccezionale, è stata realizzata per risolvere
le anomalie, che da decenni vengono osservate dagli statistici del FMI,
presenti nella bilancia dei pagamenti mondiale, e in modo particolare
lo squilibrio aberrante tra attivi e passivi. Questa inchiesta ha permesso
di armonizzare i dati tra le varie nazioni, di diffondere nel mondo
le migliori pratiche, ha fatto risolvere quasi tutti i problemi dei
conti internazionali, tranne uno: i contabili francesi, malgrado la
loro buona volontà, non possono registrare, come dovrebbero, gli averi
detenuti dai francesi in Svizzera. Quindi, le anomalie che ancora persistono
nel CPIS, dopo il notevole lavoro di armonizzazione eseguito
dal FMI e dai periti del mondo intero, riflettono largamente l’utilizzo
dei paradisi fiscali da parte delle famiglie.
Certamente, il metodo che utilizzo
è indiretto. È impossibile quantificare al miliardo il denaro
presente nei paradisi fiscali. È impossibile sapere esattamente
chi sono i detentori dei conti offshore. Il mio studio fornisce
solamente degli ordini di grandezza. Penso che l’8% del patrimonio finanziario
mondiale sia un livello ragionevole. Tutti gli studi esistenti, che
siano state realizzati da commissioni a partire dalle interviste o da
ONG specializzate nei paradisi fiscali, danno delle cifre più alte,
talvolta molto più alte. Non voglio esagerare il problema. Mi interesso
poi solo a un aspetto delle attività dei paradisi fiscali, la gestione
dei capitali transfrontalieri per conto di persone fisiche. Succedono
molte altre cose nei paradisi fiscali, su cui abbiamo molto da imparare.
Lo studio che ho realizzato si appoggia
su dati che esistono solamente da poco, ma che sono totalmente pubblici
e facilmente accessibili. Tutti quelli che lo desiderano possono rifare
i calcoli che ho realizzato, potendo partire dall’allegato del mio lavoro
che descrive punto per punto il modo che ho adottato, le fonti utilizzate,
sperando che questo possa migliorare le mie valutazioni. È certo che
la comparsa di nuove informazioni potrà migliorare il calcolo.
Le somme che lei ha riscontrato per questa ricchezza nascosta sembrano notevoli. Come potrebbero modificare l’apprensione che si prova per i grandi equilibri economici e finanziari mondiali?
Gabriele Zucman: La valutazione dei
capitali offshore detenuti dai privati ha un forte impatto sugli
squilibri finanziari internazionali. In base ai dati ufficiali, la zona
euro ha una posizione negativa nei confronti il resto del mondo: sembra
che il resto del mondo possieda più di attivi sulla zona euro di quanto
la zona euro non ne possieda sul resto del mondo. È abbastanza stupefacente
per la teoria economica, perché l’Europa, come il Giappone, è una
regione che ha una debole crescita, è in fase di invecchiamento e ha
un tasso di risparmio elevato; la teoria economica suggerisce invece
che dovrebbe essere una creditrice netta nei confronti del resto del
mondo.
Il prendere in considerazioni i patrimoni
non registrati nei paesi europei permette di risolvere questo paradosso:
è probabile che, una volta sommati i capitali offshore detenuti
dagli europei, la posizione con l’estero dell’eurozona passi in
terreno positivo.
Allo stesso modo, il mondo ricco nel
suo insieme è, secondo le statistiche ufficiali, indebitato con il
mondo in via di sviluppo. La teoria economica ci suggerisce che il mondo
ricco dovrebbe essere invece un creditore, o almeno in equilibrio. Sommare
anche i capitali non registrati presenti nei paradisi fiscali consente
in parte di riconciliare la teoria con i fatti.
Lottare contro i paradisi fiscali
Questi dati suggeriscono che le famiglie ricche sono ancora più ricche di quanto non appaia nelle statistiche nazionali, e dunque le disuguaglianze, almeno in termini di patrimonio, sono più elevate? Ciò significa anche che questi privati riescono a ben dissimulare il proprio patrimonio, e che ogni tentativo di tassare questi capitali sia quanto meno inutile, se non controproducente?
Gabriele Zucman: I capitali offshore,
per la gran parte, sfuggono a tutte le fonti di dati a disposizione,
sia per la contabilità nazionale, per i dati fiscali, le indagini.
Siccome i capitali presenti nei paradisi fiscali appartengono probabilmente
a persone molto ricche, è probabile che le disuguaglianze di ricchezza
siano ancora più marcate di quello che viene di solito misurato. Ma
i paradisi fiscali non modificano di molto la conoscenza che abbiamo
sulla ripartizione della ricchezza all’interno dei paesi. I dati disponibili
dimostrano che i patrimoni sono estremamente concentrati: in Francia,
i 10% più ricchi possiedono più del 60% del patrimonio nazionale.
Potrebbero forse possedere il 65% o il 70%, ma in ogni caso le ricchezze
sono comunque fortemente concentrate.
Per le conseguenze che i paradisi fiscali
hanno sulla tassazione dei patrimoni, bisogna essere chiari. È
perfettamente legale, in Francia almeno, avere un conto in Svizzera
o alle Bahamas. Ma è perfettamente illegale non dichiarare gli
introiti accreditati su un conto offshore. I paradisi fiscali
permettono alle persone che li aprono di infrangere la legge. Gli Stati
Uniti e l’Europa devono impadronirsi del problema in modo coordinato.
Se ne avessero la volontà, le grandi nazioni potrebbero porre fine
con facilità alla frode fiscale dei privati nei paradisi fiscali. Basta
costringere i paradisi fiscali a scambiare in automaticamente le notizie
in loro possesso. Ogni volta che una famiglia francese percepisce un
dividendo su un conto in Svizzera posseduto grazie a una società di
comodo panamense, la Svizzera dovrebbe inviare l’informazione alla
Francia. L’Unione Europea, se parlasse con una sola voce, avrebbe la
capacità di costringere tutti i paradisi fiscali a concedere questo
scambio automatico di notizie. È lo scopo definitivo della direttiva
sul risparmio emessa dall’Unione Europea nel 2005. È quindi
plausibile che la frode fiscale nei paradisi fiscali venga sradicata
nel giro di alcuni anni. Tutto dipenderà dall’unità dei paesi europei
e della volontà degli Stati Uniti.
Se la cosa non è così difficile, perché le nazioni europee o gli Stati Uniti hanno tardato tanto a lottare contro i paradisi fiscali? E da dove provengono le forze che resistono alle richieste della comunità internazionale?
Gabriele Zucman: Malgrado gli sforzi
lodevoli di parecchie ONG e di alcuni ricercatori che hanno affrontato
l’argomento, c’è una forte carenza di notizie sui paradisi fiscali.
Questa mancanza di notizie lascia campo libero ai gruppi di pressione
che vogliono che niente cambia in concreto. Ed è difficile realizzare
buone politiche quando non si comprende esattamente quello che accade
e la sua dimensione. Si tratta di un argomento molto tecnico, dove i
dettagli contano enormemente. Ad esempio, nella sua formulazione attuale,
la direttiva sul risparmio dell’Unione Europea non colpisce i conti
offshore che appartengono agli europei tramite società di comodo
non europee. Fino a poco tempo fa, a Bruxelles nessuno era a conoscenza
del fatto che la gran parte dei conti offshore era sostenuto
su questo sistema. Di colpo, la direttiva sul risparmio non andava più
bene. Gli economisti hanno la loro parte di responsabilità: il loro
interesse per i paradisi fiscali è sempre stato molto scarso. Ma le
cose si stanno muovendo, e questo può aiutare i decisori a realizzare
strumenti più adeguati.
Fonte: Les paradis fiscaux : visite guidée
15.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
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