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La Redazione

 

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I MOVIMENTI CONTRO LA GUERRA HANNO FALLITO DEL TUTTO

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A cura di Olimpia
Il 18 Marzo 2006
80 Views

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La polemica Chomsky/Blankfort

Tel-Aviv e Washington vengono associate al Medio Oriente: questo è un dato di fatto. Tuttavia, l’importanza di questo legame nella politica coloniale di Washington fa discutere all’interno del movimento antimperialista. Il giornalista statunitense ebreo antisionista Jeffrey Blankfort sostiene che l’influenza israeliana sia centrale nella politica statunitense e i movimenti contro la guerra falliscono perché non comprendono l’importanza di questa lobby. Con un approccio radicale sull’argomento, che arriverà a negare la dimensione energetica della guerra dell’Iraq, Blankfort apre comunque delle piste interessanti sull’influenza sionista negli Stati Uniti. Riportiamo l’intervista che ha concesso alla giornalista Silvia Cattori.

Jeffrey Blankfort è un giornalista statunitense e produttore di trasmissioni radiofoniche sui canali KPOO di San Francisco, KZYX di Mendocino e KPFT/Pacifica di Houston. Impegnato nella lotta politica a favore dei palestinesi e per la creazione di uno stato unico con doppia nazionalità in Palestina fin dagli anni ‘70, è diventato uno delle bestie nere dei movimenti sionisti americani, ma contemporaneamente si è attirato le antipatie di una parte della sinistra statunitense, che si rifa a Noam Chomsky, che gli rimprovera la sua «ossessione della lobby». E’ stato redattore al Middle East Labor Bulletin e co-fondatore del Labor Committee of the Middle East. E’ stato anche un membro fondatore della Nov. 29 Coalition on Palestine.

Silvia Cattori: Washington e Tel Aviv intensificano le minacce contro l’Iran. Lei crede che Israele abbia un interesse preciso nell’indebolire – leggasi distruggere – molti paesi arabi vicini e in che misura riesce ad orientare la politica degli Stati Uniti verso nuovi attacchi al Medio Oriente?

Jeffrey Blankfort: La mia posizione, che ho del resto esposto in un articolo, è la seguente: la guerra in Iraq non era una guerra per il petrolio, ma una guerra concepita per i neoconservatori e per la lobby proisraeliana presente negli Stati Uniti, a vantaggio di Israele. L’obiettivo era di collocare Israele in una posizione molto importante in Medio Oriente, all’interno di un piano che mirava a perfezionare il controllo del mondo da parte degli Stati Uniti. Questo è quello a cui faceva riferimento il documento intitolato «Progetto per un nuovo secolo americano» (Project for a New American Century), o PNAC [1]. Sebbene un certo numero di personalità di spicco, sia del mondo politico che degli ambienti della difesa, abbia affermato che si trattava di una guerra dichiarata e condotta al sevizio di Israele, il movimento contro la guerra si è del tutto rifiutato di prendere in considerazione questa possibilità. In questo esatto momento, l’unica componente della società statunitense che sta spingendo l’amministrazione degli Stati Uniti a confrontarsi militarmente con l’Iran è proprio l’establishment sionista, o la lobby, se si preferisce – si tratta di una organizzazione come l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) [2], ma anche di altre organizzazioni ebraiche – il cui obiettivo principale, da molti mesi, è impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari. La sinistra e il movimento contro la guerra sono talmente ottenebrati dall’imputazione all’imperialismo statunitense di tutti i mali della terra e dal timore di provocare ciò che potrebbe essere una forma di «antisemitismo», che hanno esonerato Israele da qualsiasi implicazione (e continuano a farlo); mentre altri, pur consensuali, continuano a coinvolgerlo. Così, non avendo dovuto saldare alcun debito per aver spinto gli Stati Uniti nella guerra contro l’Iraq – e non mi riferisco soltanto alla guerra attuale, ma anche alla guerra del Golfo nel 1991 – si preparano a rifare la stessa cosa contro l’Iran. Ci troviamo davanti ad un comportamento assolutamente unico, senza precedenti, anche per una lobby!

In altre parole, gli Stati Uniti sarebbero un satellite di Israele e avrebbero agito in funzione dei suoi interessi? Ma questa tesi non va contro la tesi di Chomsky e della sinistra in generale, secondo cui sono gli Stati Uniti ad usare Israele, e che ci sarebbe una convergenza di interessi tra Israele e gli Stati Uniti, essendo Israele semplicemente «il poliziotto di servizio», in cambio dei servizi resi dagli Stati Uniti in Medio Oriente?

Jeffrey Blankfort: Certo, Chomsky tende a semplificare la politica statunitense facendo ricadere tutti i torti sulle élite e chiunque possa trovarsi alla Casa Bianca, occultando accuratamente il ruolo del Congresso. Oggi undici membri del Senato sono ebrei, cioè l’11% di cento in tutto, mentre gli ebrei rappresentano soltanto il 2% della popolazione statunitense. [3] Chomsky e i suoi amici brandiscono direttamente, e indirettamente, lo spettro dell’antisemitismo o della provocazione all’antisemitismo, e il risultato è che tutti smettono di parlare. Bene, bisogna sapere che Chomsky, che era sionista in gioventù – ha vissuto in Israele, ha lì degli amici, ha anche pensato di stabilirsi lì definitivamente – nel 1974 ha riconosciuto che tutto ciò poteva influenzare in qualche modo le sue analisi e le sue prese di posizione e ci teneva che i suoi lettori lo sapessero. Lo ha scritto nel 1974. Eppure, ben pochi tra coloro che leggono Chomsky ne sono oggi a conoscenza. Non sanno che Chomsky era sionista e che aveva anche pensato alla possibilità di andare a vivere in Israele. Di fatto, durante gli anni, non ha speso una parola su Israele, concentrandosi sul ruolo degli Stati Uniti in America centrale e in Vietnam. E’ stato un amico comune, Israël Shahak, a convincere Chomsky ad esprimersi pubblicamente in merito alla sorte riservata ai palestinesi da Israele. E’ interessante notare che l’opera principale scritta da Chomsky sulla questione israelo-palestinese, The Fateful Triangle [Il Triangolo Fatale] inizia, di fatto, con la difesa di Israele. In pratica, pur riconoscendo tutti i crimini israeliani contro i palestinesi, egli accusa soprattutto gli Stati Uniti per aver lasciato fare! Ora, permettetemi di dirvi che questa difesa potrebbe essere usata da Pinochet in Cile, o da qualsiasi altro dittatore sostenuto apertamente dagli Stati Uniti in qualsiasi parte del mondo, per esonerarsi dalla primaria responsabilità delle proprie violenze e farla ricadere sugli Stati Uniti… Ora, a me, lì dentro, non la danno a bere… E non la danno più a bere alla maggior parte delle persone che capiscono la situazione, nel momento in cui sono indotti ad esaminare questa manipolazione. Alcuni miei amici, che sono anche amici di Chomsky, ne convengono; sono d’accordo con me. Il problema sta, direi, nel fatto che, in qualità di colleghi universitari, si sentono in imbarazzo a criticare Chomsky, tanto che viene spesso attaccato da gente di destra.
Chomsky ha difeso molte persone che erano attaccate, guadagnandosi così la loro lealtà. E’ stato pure la guida di un certo numero di ricercatori e, ironicamente, è stato Chomsky che ha ispirato a molte persone l’impegno politico… Hanno letto Chomsky, e si sono entusiasmati per l’azione politica. Solo più tardi – se hanno questa fortuna – scoprono che Chomsky non si accontenta di aprire delle porte: le richiude, e anche bene!

Significherebbe che Chomsky dà alla lobby proisraeliena meno importanza di quella che ne ha in realtà? Chomsky avrebbe sostenuto delle scelte ingiuste verso i palestinesi per preservare Israele, al quale è affettivamente legato? Sarebbe l’unico caso in cui Chomsky avrebbe difeso l’indifendibile?

Jeffrey Blankfort: Sì, in linea generale. Per quanto riguarda la maggior parte degli altri argomenti è più aperto. Ma su questo argomento particolare, rifiuta con fermezza la discussione. Nel 1991 abbiamo avuto uno scambio che è stato pubblicato da un giornale di sinistra newyorkese, The National Guardian, e un amico di New York ha voluto organizzare un dibattito tra Chomsky e me sulla questione della lobby israeliana alla Conferenza dei Ricercatori Socialisti (Socialist Scholars Conference). Chomsky si è rifiutato di partecipare, scrivendo che «Non sarebbe servito a niente». Dopo il suo rifiuto, ho chiesto ad un professore in California, Joel Benin, che conosco bene e che la pensa come Chomsky, se avrebbe accettato di avere un dibattito con me. Ha rifiutato anche lui, dandomi esattamente la stessa risposta: «Non servirebbe a niente!»

Per quanto riguarda all’Iran, che è nel mirino, secondo lei Chomsky minimizza il ruolo della lobby che agisce negli Stati Uniti nell’interesse di Israele?

Jeffrey Blankfort: Riguardo all’Iran, sembra che Chomsky e gli altri non vogliano vedere la campagna che la lobby sta conducendo per trascinarci in una nuova guerra – una guerra che sarebbe molto più catastrofica del disastro attuale in Iraq.
Negli Stati Uniti esiste una coalizione formata da dodici organizzazioni femminili comunitarie ebraiche che si chiama «Una Voce per Israele» (One Voice for Israel), che è stata creata nel 2002 per rispondere alla pubblicità negativa che la distruzione di Jenin ha procurato ad Israele. Ogni anno durante un raduno chiamato «Take-5», questa federazione fa in modo che un milione di donne ebree telefonino alla Casa Bianca nello stesso momento; poi, un altro giorno, chiamano il Congresso. Fanno saltare il centralino del Campidoglio tutte le volte. E’ uno dei modi per mostrare il loro potere…
Il 22 febbraio [intervista dell’11 feb., ndr.] vogliono telefonare al presidente Bush per rivelargli la loro opinione sulle mosse da fare a proposito dell’Iran e del suo sviluppo nucleare, sia civile che militare. Questo genere di azioni viene utilizzata continuamente, ma per il movimento contro la guerra, o per la sinistra, non costituisce un problema. È ancora necessario metterli al corrente! Il professor Chomsky ha scritto (a me e ad altri) che si tratta di una questione che non lo riguarda.
Due anni fa la stessa persona che lo aveva invitato ad un confronto con me (nel 1991), gli ha nuovamente chiesto se era interessato, Chomsky ha rifiutato invocando la mia «ossessione per la lobby». Ha anche scritto che si rifiuta di leggere l’articolo che ho scritto su di lui. Questa non è la risposta che ci si aspetterebbe da un intellettuale. Trovo curioso che accetti volentieri di avere un confronto con Alan Dershowitz, perchè è veramente facile, ma che in compenso rifiuti di avere un dibattito con chiunque, a sinistra. Se non altro su questo argomento… E invece è proprio di questo che bisognerebbe parlare, e non di altro!

Crede che negli altri paesi esista l’equivalente dell’AIPAC?

Jeffrey Blankfort: L’AIPAC è qualcosa di veramente particolare. Nonostante sia una lobby dichiarata e registrata, a favore di Israele, non è tenuta a registrarsi come lobby straniera. Questo la pone in una situazione assolutamente unica negli Stati Uniti. Ad ogni audizione al Congresso che riguardi le questioni medioorientali, vedrete dipendenti dell’AIPAC parteciparvi. Nessuna altra lobby – soprattutto nessuna lobby straniera – ha un privilegio simile. E sono loro che redigono le leggi che il Congresso in seguito adotta. Così, per esempio, il recente decreto «Syrian Accountability and Lebanese Sovereignty Restoration Act» (Atto sulla resa dei conti della Siria e la sovranità del Libano) [4], adottato due o tre anni fa, e che doveva portare alla situazione che constatiamo oggi in Libano e in Siria, è stato redatto dall’AIPAC, che ha anche trovato il modo di vantarsene, poco dopo. Gli unici ambienti che fanno finta di non saperne nulla sono gli ambienti di sinistra. È tutto scritto sul sito web dell’AIPAC, così come nelle pubblicazioni cartacee. L’AIPAC sforna anche stagisti – giovani e brillanti studenti ebrei – che lavorano negli uffici dei parlamentari del Congresso. Si chiede ad un membro del Congresso di essere ricevuti e gli si dice: «C’è questo ragazzo che vorrebbe fare uno stage a Capitol Hill; i nostri stagisti possono fare uno stage di un anno e svolgeranno un lavoro utile nei vostri uffici…» Ne conoscete molti di membri del Congresso che rifiuterebbero un segretario gratuito?
Questa organizzazione AIPAC ha anche una fondazione speciale che organizza viaggi gratuiti in Israele per alcuni membri del Congresso. L’anno scorso più di cento membri del Congresso sono stati in Israele, a spese dello Stato e della fondazione. Bisogna sapere che c’è un gran parlare attorno a questi viaggi gratuiti pagati da varie lobby, ma non penso che tutto ciò provocherà problemi per gli intrighi dell’AIPAC. Se si prendono dei provvedimenti drastici, il Congresso farà un’eccezione quando si tratterà di Israele…
La cosa curiosa è che noi americani abbiamo un paese vicino, a sud, che si chiama Messico. Il Messico è importantissimo per gli Stati Uniti, per la nostra economia e, inoltre, negli Stati Uniti ci sono più persone di origine messicana che ebrei… Ci sono migliaia di messicani e di messicano-statunitensi che lavorano qui e che hanno la responsabilità della coltivazione e dei raccolti dei prodotti agricoli degli Stati Uniti. Non esistono, tuttavia, delegazioni del Congresso che si recano in visita in Messico, e il Congresso non parla mai dell’importanza fondamentale del Messico… E quando alcuni parlamentari vanno in Messico, ci vanno solo in vacanza. Per cui, qui, negli Stati Uniti, i riflettori sono sempre puntati su Israele.
Esistono due cause molto semplici: il denaro e l’intimidazione. Sono anni che il Partito democratico fa affidamento su ricchi sponsor ebrei per ottenere la maggior parte dei contributi finanziari che riceve. La stessa organizzazione AIPAC non elargisce denaro. No, coordina il tutto e indica a chi bisogna elargire. Ora, supponiamo che lei sia un donatore ebreo e che voglia fare qualcosa per aiutare la causa di Israele: l’AIPAC le dirà a chi versare il denaro. E’ così che negli Stati Uniti abbiamo oggi quasi una quarantina di Comitati di Azione Politica, i PAC (Political Action Committee), la cui unica ragione di esistere sta nel versare denaro ai candidati alle elezioni statunitensi (a tutti i livelli) che sostengono Israele. Nessuno di questo comitati è identificato da un nome che abbia un qualche rapporto con Israele. Anzi, qui in California abbiamo un «Comitato dei Californiani del Nord per il Buon Governo». A St-Louis, nel Missouri, hanno il comitato degli «Abitanti di St-Louis per il Buon Governo». Il più importante è il PAC Nazionale o NPAC. C’è anche l’«Hudson Valley Political Action Committee», il «Desert Caucus», ecc.
Se lei si attiene alla ragione sociale di questi comitati non può capire assolutamente a cosa servono, mentre le altre lobby annunciano chiaramente le loro finalità. Perché non esiste alcun «Comitato degli ebrei sostenitori di Israele», sarebbe più chiaro, no? Ma ancora più grave per i democratici e per una parte di repubblicani è il denaro che ricevono da parte di personalità ebraiche sioniste. Nel 2002, per esempio, un israeliano di origine egiziana, Haim Saban, che è venuto negli Stati Uniti e ha guadagnato miliardi di dollari grazie ad un programma televisivo per bambini trasmesso il sabato mattina, ha donato 12,3 milioni di dollari al partito democratico, praticamente un milione e mezzo in meno di quanto abbiano versato i comitati di azione politica dei fabbricanti di armi, ma ai due grandi partiti americani…
Si tratta solo di un benefattore tra i tanti. Per di più, lo stesso Haim Saban ha fondato il Saban Institute, accanto al Brookings Institute [5], che si occupa di affari israeliani. E’ anche uno dei grandi finanziatori dell’AIPAC, e sponsorizza delle feste, a Washington, in cui l’AIPAC prepara liceali e studenti alla propaganda proisraeliana. I campus universitari americani sono i principali campi di battaglia dei movimenti ebraici che fanno lobbying per Israele, che si sono federati nell’Israel Campus Coalition, forte di ventotto associazioni, tra cui l’AIPAC, e che hanno Israele come prima e unica preoccupazione.
Uno dei principali obiettivi della lobby oggi è di fare in modo che i campus universitari fermino le loro campagne di disinvestimento che riguardano Israele. I lobbysti proisraeliani cercano anche di influenzare la nuova generazione di leader della comunità ebraica, che attualmente stanno facendo l’università, per far sì che contribuiscano alla propaganda in favore di Israele.

Per aiutare i palestinesi ad ottenere giustizia bisognerebbe che quelli che li sostengono – o afferma di farlo – dicessero la verità. Ma sembra proprio che anche in questo campo la verità venga soffocata. Secondo lei, negli Stati Uniti, come in Europa, la solidarietà è fallita perchè la dirigono persone che sono là per mettere dei freni alla critica di Israele? Lei crede che l’influenza di Chomsky si sia esercitata in quel senso?

Jeffrey Blankfort: Qui, negli Stati Uniti, il movimento propalestinese è totalmente inefficace da parecchio tempo. E questo per molte ragioni. Una di queste è dovuta al fatto che il movimento rifiuta di riconoscere il ruolo giocato dalla lobby proisraeliana. E’ come se lei si accingesse a giocare una partita di calcio. Indossa i suoi tacchetti ma, invece di dirigersi verso lo stadio, se ne va al centro commerciale! Se lei non è sul campo di calcio per il fischio di inizio, allora non è pronta per vincere questa partita!
Così, lei ha da un lato la lobby più potente negli Stati Uniti e, dall’altro, il movimento di solidarietà con i palestinesi che la ignorano completamente, fatta eccezione per occasionali picchetti di protesta davanti all’AIPAC… Uno dei motivi è che il movimento di solidarietà è stato influenzato da gruppi marxisti che vivono sempre in combutta: vivono in un’altra epoca, in un passato in cui le lobby non giocavano alcun ruolo. Alcuni militanti politici molto spesso mi dicono che parlare della lobby «non è marxista» o, ancora, che parlare della lobby «non è socialista»! Io rispondo loro che la lobby esiste, è un dato di fatto e questo è l’importante. Peraltro esiste un gran numero di antisionisti ebrei, dallo stile inimitabile, che occupano posizioni di dirigenti nel movimento pro-palestinese, che affermano che chiamare in causa la lobby significa provocare l’antisemitismo. Sono ciò che personalmente definisco degli «ebrei eccezionalisti», che respingono qualsiasi critica indirizzata a degli atti compiuti collettivamente da ebrei, come quello di fare della lobby per Israele – ciò che li rende nella pratica difficilmente distinguibili dai sionisti patentati!
Voglio dirle quello che succede: sento tutte quelle persone negare l’esistenza della lobby, e citare parola per parola l’ortodossia chomskyana, senza nemmeno menzionarne il nome!
Chomsky ha su di loro un’influenza talmente critica, talmente potente che si sono ridotti ad identificarsi con lui! Il risultato è che il movimento propalestinese si rifiuta di riconoscere il maggior oppositore dei palestinesi negli Stati Uniti.

Chomsky si è pubblicamente pronunciato contro il disinvestimento del Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove insegna e dove è riuscito ad abbattere una risoluzione di disinvestimento a forza di stemperarla. Due settimane dopo è ritornato per attaccare stavolta il principio stesso del disinvestimento. E’ contrario qualsiasi sanzione contro Israele; è contro il disinvestimento; non ha mai proposto alcuna azione in grado di cambiare l’aspetto del mondo che vada un pò più lontano dello «scrivere al caporedattore»!
Non menziona mai il Congresso; non menziona mai le commissioni di bilancio. Se menziona al Congresso l’aiuto a Israele non dirà mai: «Bisogna fermarlo!» Ne parlerà come se si trattasse di prendere o lasciare, di un fatto naturale come: «oggi piove» o «oggi c’è il sole». Gli ho scritto in merito, e la sua risposta non è stata particolarmente amichevole…
Dal 1988 al 1995, ho pubblicato una rivista, il Middle East Labor Bulletin, alla quale Chomsky si era abbonato. In questa rivista tenevo una rubrica speciale che consacravo alla lobby israeliana al Congresso e nella quale rivelavo i nomi dei membri del Congresso che erano con la lobby, e pubblicavo le fonti che appartenevano in maggioranza alla stampa sionista. In questo modo, ogni lettore della rivista disponeva di prove ampiamente sufficienti del controllo del Congresso degli Stati Uniti da parte della lobby israeliana. Ho riletto recentemente alcuni numeri della rivista pubblicati venti anni fa: avrebbero potuto essere scritti oggi! Chomsky non può far finta di non sapere. Credo semplicemente che le lezioni precoci di catechismo sionista e i suoi timori per il futuro degli ebrei fossero così presenti in lui da renderlo in qualche modo come un bambino che rifiuta di ammettere la verità. Questo è pietoso.
Chomsky appartiene a quella categoria di persone che negli Stati Uniti chiamiamo «Gatekeepers» (i guardiani del serraglio)… «Gatekeeper», lo è anche riguardo ad un altro argomento fondamentale: i fatti dell’11 settembre 2001. Ha scartato le numerose questioni che sono state sollevate attorno alla versione ufficiale dell’amministrazione Bush sugli attentati contro il World Trade Center. Chomsky afferma che non esiste alcun serio motivo per mettere in discussione la versione degli attentati dell’11 settembre raccontati da Bush. Inoltre, la maggior parte delle critiche a lui indirizzate provengono da persone che hanno effettuato delle ricerche sugli attentati dell’11 settembre, invece lui si intestardisce a ripetere il mantra secondo il quale «quello che l’amministrazione Bush ci ha raccontato è la verità». Così, il ruolo che gioca oggi Chomsky sulla scena internazionale è, secondo me, un ruolo reazionario.
Dice però anche molte cose giustissime, con le quali concordo e, ancora una volta, ripeto, molte persone sostengono di essere state introdotte alla politica grazie a Chomsky. Ha saputo proprio accendere la scintilla nella gente. Ma oggi – forse per una questione dialettica – sta spegnendo la scintilla o, per lo meno, la sta orientando nella direzione sbagliata…

La sua denuncia delle tesi di Chomsky – tesi che ignorano l’influenza dell’AIPAC e di altre organizzazioni simili nelle guerre statunitensi in Medio Oriente e il loro impatto negativo sui movimenti di solidarietà – è condivisa negli Stati Uniti da molti altri intellettuali?

Jeffrey Blankfort: Io appartengo a una minoranza, ma ho una lista importante di corrispondenti di posta elettronica e animo anche una emittente radiofonica – in realtà, ne ho quasi due. I sionisti hanno cercato di farmi tacere, ma non ci sono riusciti…
Uno dei loro modi di intimorire le persone consiste nell’utilizzare le varie organizzazioni ebraiche. Ognuna di queste riveste un ruolo particolare. Tra le associazioni risulta particolarmente importante l’Anti-Defamation League (ADL), la cui missione principale è di diffamare, intimorire e spiare le persone che criticano Israele. Io faccio parte di coloro che sono stati spiati da questa associazione, so quindi di cosa parlo…
Il loro agente si era infiltrato nella nostra organizzazione, la Labor Committee on the Middle East (Commissione di lavoro sul Medio Oriente) di cui ero stato uno dei cofondatori nel 1987. In seguito abbiamo saputo che stavano spiando alcune associazioni di qualsiasi corrente politica e migliaia di singole persone. Per essere precisi: seicento associazioni e niente poco di meno che dodicimila persone private!
Sono riuscito ad ottenere il dossier che hanno messo su contro di me e ho constatato che mi avevano spiato illegalmente. Ho intentato una causa contro di loro.
Sono andato in tribunale con altri due militanti e alla fine di dieci anni i tipi dell’ADL hanno accettato un saldo amichevole che non comporta il fatto che firmi loro un impegno di riservatezza. Sarà forse per questo che non smetto di parlare di loro.
Il tipo che mi ha spiato per conto dell’ADL lavorava anche per i servizi segreti sudafricani. Negli Stati Uniti avevamo un vasto movimento antiapartheid. In pratica, la lobby israeliana e il Sudafrica erano nella stessa pagina dell’elenco telefonico; erano degli alleati estremamente vicini. Erano alleati su tutti i fronti: socialmente, culturalmente e militarmente. Cosa che, sfortunatamente, anche il movimento antiapartheid non ha voluto prendere in giusta considerazione, ancora una volta, a causa delle pressioni sioniste…
Sono portato a credere che il problema che ostacola un vero e proprio movimento politico negli Stati Uniti, è che il movimento è bloccato, fin dall’inizio, da una parte dai sionisti e dall’altra, attraverso questo rifiuto, come fa Chomsky, di parlare apertamente del sionismo e del ruolo che ha questo movimento qui negli Stati Uniti.
Faccio un passo indietro, nel 1988, nell’epoca in cui, durante i primi mesi della prima Intifada, in cui il movimento anti-interventistico rifiutava di sostenere la necessità che Israele ponesse fine alla sua occupazione del territorio palestinese: un amerindio, un leader degli indigeni statunitensi, mi disse che il problema principale del movimento statunitense era che c’erano troppi sionisti progressisti al suo interno. Ed è vero. Non faccio mai il nome di questo militante amerindio, poiché se lo rendessi pubblico sarebbe immediatamente accusato di antisemitismo…
Sono stata accusato di essere ebreo che «odia se stesso», un antisemita… che ne so? Ma me ne frego perché sostengo che l’accusa di antisemitismo sia il primo rifugio degli scellerati. Il patriottismo è il rifugio ultimo degli scellerati, ma l’antisemitismo, è il primo… In questo paese viene usato per ridurre al silenzio tante persone oneste! E’ uno dei motivi per cui sono contro qualsiasi organizzazione specificamente ebraica che si vanta di essere in prima linea nella lotta della Palestina. Le dirò quello che succede: ci sono molti ebrei antisionisti, o che affermano di esserlo, che sostengono: «Noi, in quanto ebrei antisionisti, dobbiamo assumere la leadership, affinché gli altri vedano che non tutti gli ebrei sostengono Israele»…
Io sono completamente contrario a questa cosa perchè tutti i contribuenti americani pagano le tasse e, quindi, sostengono Israele! Per cui si tratta proprio di un problema statunitense! Mettendo in risalto che è assolutamente necessario che i leader del movimento siano ebrei, che alcuni ebrei sono antisionisti, che alcuni ebrei fanno questo, che altri ebrei fanno quello… cosa dicono, in realtà ai non ebrei? «Se possiamo permetterci di farlo, è perchè noi siamo ebrei». Questa frase è stata ripetuta da così tanto tempo…ma non funziona!
Quando Jeff Blankfort parla non è un ebreo che si esprime, ma un essere umano. Questo è il motivo per cui non ho detto alla gente di essere ebreo quando, nel 1970, sono andato per la prima volta in Medio Oriente (in Libano e in Giordania). Non era Jeff Blankfort l’ebreo che andare laggiù, ma Jeff Blankfort il giornalista!
Non era necessario essere sudafricano per essere contro l’apartheid. Non era necessario essere nicaraguense per essere contro i Contras, né di essere vietnamita per essere contro la guerra in Vietnam… Cosa c’entra il fatto di essere ebreo o meno col fatto di denunciare ciò che gli israeliani fanno subire ai palestinesi? In realtà, gli ebrei dovrebbero essere estremamente prudenti nel ruolo di dirigenti. Non è quello il posto degli ebrei, di gente che si sente ebrea. Il paradosso sta nel fatto che le persone più citate, che esprimono pareri su questo argomento negli Stati Uniti, sono tutti ebrei che, in fin dei conti, vogliono proteggere Israele…
Chomsky, naturalmente, è il più importante tra loro. Vede, criticano Israele perchè è importante: è qualcosa di cui non se ne può fare a meno, ma sviano la responsabilità principale sugli Stati Uniti e, così facendo, nonostante non assolvano Israele, lo proteggono contro le ritorsioni, sotto forma di sanzioni, di boicottaggi e di disinvestimenti…

Ha appena affermato di essere stato anche lei accusato di antisemitismo. Il Presidente del Venezuela Hugo Chavez è stato, per esempio, accusato recentemente dai quotidiani francesi Libération e Le Monde di aver tenuto discorsi «antisemiti». Non crede che questa accusa sia diventata più difficile da sfruttare di fronte ad una opinione pubblica che ha scoperto che veniva manipolata a scopi politici?

Jeffrey Blankfort: Sí, se ne accorgono ma hanno paura di parlarne, perché il prezzo il prezzo che si paga per aver criticato gli ebrei, in quanto ebrei, è alto negli Stati Uniti, ma come vede anche in Francia, Germania, Canada eccetera. Si può criticare qualsiasi altra comunità nazionale, ma criticare se si criticano collettivamente gli ebrei, non gli ebrei in quanto ebrei, ma l’establishment ebraico ci si compromette la carriera.
Anche se la gente afferma qualcosa in proposito, in privato, non lo affermerà pubblicamente. Sono riuscito, occasionalmente, ad ottenere, delle interviste di palestinesi e israeliani progressisti sui media della regione della grande San Francisco. Direi che si era più aperti, più liberi, qualche anno fa nelle radio di grande ascolto rispetto ad oggi. Nel 1982 ho potuto far intervistare, attraverso il più grande talk show di San Francisco, un soldato israeliano, un riservista, che rifiutava di andare a servire il Libano. Il soldato ha detto la verità sulla guerra in Libano, e cioè che non erano i palestinesi a bombardare il paese. Nella seconda ora della trasmissione, che era stata diffusa in tutti gli Stati Uniti, un ascoltatore con un forte accento straniero ha chiamato la radio e ha chiesto: «Chi è il responsabile che lascia parlare questo comunista alla radio?»
Il presentatore del talk show ha risposto che era lui stesso ma, in realtà, era stato il produttore a fare in modo che il mio amico parlasse alla radio. Poco tempo dopo, questo presentatore, uno tra i più famosi presentatori radiofonici di San Francisco, è stato sostituito da un sionista che è ancora al suo posto e che è talmente sionista che ogni anno, per la celebrazione della festa nazionale israeliana a San Francisco, è lui il maestro delle cerimonie…
Nelle principali emittenti radiofoniche troverà, tra i proprietari, o i direttori, delle persone che sono dichiaratamente sioniste. Il presidente di CBS News, Leslie Moonves, per esempio, è pronipote di David Ben Gourion. La maggior parte della gente non può (o non vuole) credermi quando parlo dell’influenza sionista nei media. Leggo la stampa ebraica e pubblica in continuazione informazioni in proposito che non sono pubblicate nella grande stampa. Nella stampa ebraica trovo la gran parte delle mie informazioni e, dopo averla verificata, si tratta di stampa attendibile… A questo proposito, una pubblicazione è particolarmente utile: si tratta di The Forward, un settimanale ebraico che è l’equivalente del Wall Street Journal, dedicato agli ebrei in quanto contiene molte informazioni che non si trovano da nessuna parte.
La cosa particolarmente irritante è che la maggior parte delle persone che conosco, che si battono per i palestinesi negli Stati Uniti, non hanno mai letto la stampa ebraica! Secondo me, se non si legge la stampa ebraica sionista, non si è seri. Noi, in effetti, non possiamo fare niente, in questo paese, in maniera diretta, per quello che sta succedendo in Palestina. Ma ciò che possiamo negli Stati Uniti è lottare contro l’appoggio di cui beneficia Israele da noi, denunciare la lobby israeliana e minare le posizioni di Israele negli Stati Uniti. Solo indebolendo il sostegno di cui beneficia Israele da noi, negli Stati Uniti, potremo rinforzare la posizione del popolo palestinese.
Molte persone, toccate dalla disperazione dei palestinesi e degli iracheni, non sono sempre più consapevoli che i media non dicono la verità?

Jeffrey Blankfort: Oh, lei lo sa, i giornali certamente non ci dicono la verità, ma anche se si trovano più informazioni su internet non sono sempre affidabili – anche da parte nostra – e noi dobbiamo stare attenti a non prendere per oro colato tutto quello che leggiamo su internet semplicemente perchè è ciò che amiamo credere…
Nella zona della Baia di San Francisco, avevamo fino a qualche tempo fa sette o otto quotidiani. Oggi, ne restano appena due… e mezzo! Questi giornali sono diventati una specie di tabloïd nello stile della stampa britannica: la loro unica ambizione è di rimanere a galla e non affondare per colpa della televisione… Diversamente dall’Europa, negli Stati Uniti la televisione è di una qualità deplorevole e gli statunitensi sono dei veri e propri drogati del piccolo schermo. Sono anche tossicomani dei gadget elettronici portatili, come i lettori CD e MP3, e poi, da un anno o due, i celebri iPod. Non si prospetta nulla di buono. L’arena politica americana, inoltre, è totalmente irrigidita; non lascia praticamente alcuna opportunità.
Abbiamo due partiti che sono simili in tutti i punti: sono le due ali del partito capitalista! Uno anestetizza le persone, ed è il partito democratico, l’altro li massacra, ed è il partito repubblicano. Discutono (o meglio, fanno finta di discutere) di questioni interne, ma quando si tratta di Israele, si abbracciano a vicenda. Per cui si possono avere donne membri del Congresso che lottano per il diritto ad abortire. Ma queste si uniscono ad altre donne membri del Congresso, le più a destra, che si oppongono più violentemente all’aborto, quando si tratta di sostenere Israele! Questo non viene mai commentato, né tanto meno menzionato, all’interno della sinistra! E’ davvero deprimente, perché non vedo molti cambiamenti anche se ci sono state alcune proteste in occasione delle riunioni dell’AIPAC locale. Tuttavia, non viene chiaramente stabilito alcun legame tra la lobby israeliana e il Congresso, e tra ciò che accade in Israele/Palestina. E non vedo prospettive di miglioramento. Non so se il clic scatterà, né in che modo. Per il momento, non intravedo un futuro molto brillante…
Se l’orientamento dei media non cambierà e l’influenza delle lobby proisraeliane continuerà ad esercitarsi sui nostri paesi, senza essere denunciata dalla sinistra, non crede che Israele attaccherà con più facilità oggi l’Iran, e domani la Siria, la Palestina?
Jeffrey Blankfort: I neoconservatori, che sono quasi esclusivamente ebrei, e la lobby israeliana hanno trascinato gli Stati Uniti nella guerra in Iraq. Il padre dell’attuale presidente, il primo George Bush, era contro questa guerra, e anche le compagnie petrolifere. E anche se questa guerra è catastrofica, in tutti i significati del termine, non hanno dovuto pagare politicamente alcun prezzo, semplicemente perchè solo alcuni pubblicisti isolati – e tra loro, una minoranza di editorialisti di sinistra e nessun rappresentante del movimento contro la guerra, nel nostro paese – hanno scritto degli articoli che denunciavano ciò. Le stesse forze oggi stanno spingendo gli Stati Uniti al confronto con l’Iran, sebbene non credo che accadrà per il semplice motivo che gli Stati Uniti sono impelagati con l’Iraq. Inoltre, se gli Stati Uniti dovessero un giorno attaccare l’Iran, le truppe irachene, formate dagli Stati Uniti, che sono molto proiraniane e legate ai due partiti, SCIRI e al-Da’wa (tutti e due fondati in Iran nel 1982, e che hanno combattuto a fianco all’Iran, contro Saddam) replicherebbero sicuramente, e l’Iraq esploderebbe ancora più di quanto non abbia cominciato a fare fin da oggi.
Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti, secondo me, non attaccheranno l’Iran, anche se tutti, qui, sembrano pensarlo. Ma se gli Stati Uniti attaccheranno l’Iran, sarà la prova finale che la lobby sionista esercita un controllo totale della politica americana, e non credo che le cose siano arrivate a questo punto, per il momento.
Ciò che sta accadendo è interessante: Bush è debole in questo momento, i repubblicani lo abbandonano, ha perso molti sostenitori nel Congresso, otterrà la nomina del suo pupillo, Alito, alla Corte suprema, ma l’AIPAC ha criticato questo candidato giudicandolo troppo morbido con l’Iran. L’AIPAC ha criticato pubblicamente Alito, l’ha accusato di non essere riuscito a trascinare l’Iran davanti al Consiglio di sicurezza dell’ONU, sapendo molto bene che se gli Stati Uniti fossero riusciti a far comparire l’Iran davanti al Consiglio di sicurezza, non sarebbero comunque riusciti a riunire una maggioranza contro questo paese… Circolano numerose speculazioni secondo le quali Israele attaccherà l’Iran, anche se gli Stati Uniti esiteranno, perchè si tratta di un anno elettorale e Israele sa bene – così come la lobby israeliana negli Stati Uniti – che qualsiasi cosa faccia, in una simile congiuntura, sarà applaudito dal Congresso. Quindi, rischiamo di ritrovare lo stesso scenario che c’era per l’Iraq…
E’ interessante notare che i giornali, le radio e i canali televisivi sottolineano che i membri del Congresso non criticheranno mai Israele durante l’anno elettorale, ma senza mai spiegare il perchè… La sinistra, guidata da Chomsky, sostiene di non essere al corrente dell’esistenza di un qualsivoglia problema.
Se leggete la grande stampa, l’ironia sta nel fatto che si trovano molte più informazioni su quello che succede, che riguarda la lobby, rispetto alla stampa di sinistra, nello stato pietoso in cui si trova attualmente. Il quotidiano The Forward è determinante poiché spiega quello che succede al livello della lobby. Ha recentemente scoperto l’inchiesta incalzata contro l’AIPAC che la sinistra ignora, ancora una volta, deliberatamente. Alcuni hanno chiesto: «se l’AIPAC era così potente come dite, perchè sarebbe l’oggetto di un’inchiesta?» La mia risposta è che ci sono persone, a Washington, nei servizi di informazione, che, per motivi loro, sono estremamente preoccupati dalla «israelizzazione» della politica estera degli Stati Uniti. Queste persone che lavorano, o hanno lavorato, a Washington sono alle prese con la lobby pro-israeliana da molto tempo. La sinistra purtroppo, non partecipa neanche a questa lotta. Ci sono, quindi, delle persone che sanno ciò che Israele trama e ciò che la lobby israeliana architetta a Washington, e vogliono fermare tutto questo.
Per ritornare a ciò che la separa da Chomsky riguardo alla questione palestinese, potremmo dire che per lei i palestinesi devono vincere mentre per Chomsky gli israeliani non devono perdere?
Jeffrey Blankfort: Non la metterei così. Tuttavia penso che spetti ai palestinesi decidere del futuro in Israele e in Palestina, e che Chomsky sia sostanzialmente preoccupato della trasformazione di Israele e del benessere degli ebrei. E’ contrario alla soluzione di un unico Stato. Secondo me, lo Stato unico è l’unica soluzione possibile. Ma non voglio argomentare oltre, poiché non spetta a noi decidere.
Dò sicuramente la priorità ai palestinesi, e lui la dà indiscutibilmente agli israeliani.
E’ questa, in realtà, la differenza fondamentale tra noi. La ringrazio.

Intervista di Silvia Cattori a Jeffrey Blankfort
Fonte: http://www.voltairenet.org/
Link: http://www.voltairenet.org/article136002.html
17.02.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FLORIANA FIGURA

Intervista realizzata da Silvia Cattori l’11 febbraio 2006. Discorsi trascritti in inglese da Claudine Faenhdricht e tradotti dall’inglese da Marcel Charbonnier. Questa traduzione è in copyleft.

[1] Vedi a proposito «L’Institut américain de l’entreprise à la Maison-Blanche», Voltaire, 21 giugno 2004.
[2] Vedi a proposito «Les fondamentalistes pour la guerre», di Thom Saint-Pierre, Voltaire, 3 aprile 2003.
[3] Negli Stati Uniti i membri del Congresso dichiarano la religione alla quale appartengono al momento della loro elezione
[4] «Le Syria Accountability Act», Voltaire, 19 settembre 2003.
[5] Vedi a proposito «La Brookings Institution, think tank des bons sentiments», Voltaire, 30 giugno 2004

VEDI ANCHE: Damage Control: Noam Chomsky and the Israel-Palestine Conflict – by Jeffrey Blankfort
Blank vs. Chom: you decide

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