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La Redazione

 

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I LIMITI DELLO SVILUPPO: ALTRI QUARANT'ANNI?

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A cura di supervice
Il 23 Ottobre 2011
52 Views

DI HERMAN DALY
The Daly News

Tratto da “The Next Forty Years”,

Jorgen Randers.

Quarant’anni fa, quando lessi “I

Limiti dello Sviluppo”, credevo già che l’aumento dell’uso totale

delle risorse (tempi di popolazione per uso pro capite delle risorse)

si sarebbe fermato entro i successivi quarant’anni. L’analisi modellistica

del gruppo di Meadows era una forte conferma di quella convinzione comune

basata sui primi principi risalenti almeno a Malthus e ai primi economisti

classici.Beh, siamo quarant’anni dopo e la

crescita economica è ancora l’obiettivo numero uno delle politiche

di praticamente ogni nazione: questo è innegabile. Gli esperti affermano

che i “neo-malthusiani” si erano semplicemente sbagliati e che continueremo

a crescere. Ma io penso che la crescita economica sia già finita nel

senso che la crescita che continua ora è antieconomica, costa più

di quello che vale marginalmente e ci rende più poveri piuttosto che

più ricchi. Possiamo ancora chiamarla crescita economica, o semplicemente

“crescita” nell’opinione confusa che la crescita debba essere

sempre economica. Io sostengo che, specialmente nei paesi ricchi, abbiamo

raggiunto il limite economico di crescita, ma che non lo sappiamo e

disperatamente nascondiamo il fatto con difetti di contabilità nazionale,

perché la crescita è il nostro idolo e smetterlo di adorare è anatema.

Non una confutazione il chiedermi se

preferirei vivere in una caverna e congelare al buio piuttosto che accettare

tutti i vantaggi storici della crescita. Certo che no. I vantaggi della

crescita nell’insieme sono, a mio avviso, superiori ai costi totali,

sebbene alcuni storici ne dibattano. In ogni caso non possiamo annullare

il passato e dovremmo essere grati a coloro che hanno sostenuto i costi

della creazione della ricchezza di cui godiamo ora. Ma, come gli economisti

dovrebbero sapere, sono i costi e benefici marginali (non totali) che

sono rilevanti per determinare quando la crescita diventa antieconomica.

I vantaggi marginali diminuiscono perché soddisfiamo inizialmente i

nostri bisogni più urgenti; i costi marginali aumentano perché per

prime usiamo le risorse più facilmente accessibili e sacrifichiamo

gli ecosistemi meno vitali mentre cresciamo, convertendo la natura in

manufatti. I benefici marginali di una terza auto valgono i costi marginali

degli sconvolgimenti climatici e dell’innalzamento del livello dei

mari? La diminuzione dei vantaggi marginali tenderà a essere pari all’aumento

dei costi marginali, fino a che i benefici netti saranno positivi, proprio

quando i vantaggi netti cumulativi di crescita del passato sono al massimo!

Nessuno è contro l’essere più ricco, almeno fino ad un qualche sufficiente

livello di ricchezza. Che ricco sia meglio di povero è lapalissiano.

Che la crescita ci faccia diventare più ricchi è un errore elementare

persino all’interno della logica di base dell’economia standard.

Come suggerito sopra, non vogliamo

davvero sapere quando la crescita diventa antieconomica, perché

allora dovremo smettere di crescere e non sappiamo come gestire un’economia

stazionaria mentre siamo religiosamente impegnati in un’ideologia

del “senza limite”. Vogliamo credere che la crescita possa “curare

la povertà” senza condivisione e senza limitare la dimensione

della specie umana nel creato. Per mantenere questo stato di illusione

confondiamo i due distinti significati del termine “crescita economica”.

A volte ci si riferisce alla crescita di ciò che chiamiamo economia

(il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle scorte di

popolazione e di ricchezza e dal flusso di produzione e consumo). Quando

l’economia diventa fisicamente più grande, la chiamiamo “crescita

economica”. Ma il termine ha anche un secondo significato, molto

diverso: se la crescita di qualcosa causa benefici che aumentano più

dei costi, allora chiamiamo anche questo “crescita economica”,

crescita che è economica nel senso che produce un vantaggio o un profitto

netto. Ora, la “crescita economica” nel primo senso del termine

comporta una “crescita economica” nel secondo senso del termine?

No, assolutamente no. L’idea che un’economia più grande debba sempre

farci diventare più ricchi è pura confusione.

Che gli economisti debbano contribuire

a questa confusione è sconcertante, perché tutta la microeconomia

è dedita a cercare la dimensione ottimale di una determinata attività,

il punto oltre il quale i costi marginali superano i benefici marginali

e una crescita ulteriore diventerebbe antieconomica. Ricavo marginale=Costo

marginale è anche chiamato “regola del quando fermarsi” per la

crescita di un’azienda. Perché questa semplice logica dell’ottimizzazione

scompare nella macroeconomia? Perché la crescita della macroeconomia

non è soggetta a una regola analoga?

Ci rendiamo conto che tutte le attività

microeconomiche sono parte di un più grande sistema macroeconomico

e che la loro crescita causa lo spostamento e il sacrificio di altre

parti del sistema. Ma la stessa macroeconomia è pensata per essere

omnicomprensiva e quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non

sposta nulla e quindi non comporta alcun costo di opportunità. Ma questo

è ovviamente falso. Anche la macroeconomia è una parte, un sottosistema

della biosfera, una parte della Grande Economia dell’ecosistema naturale.

Anche la crescita della macroeconomia impone maggiori costi opportunità

di un ridotto capitale naturale, che ad un certo punto limiterà un’ulteriore

crescita.

Ma alcuni dicono che se il nostro metro

empirico di crescita è il PIL, basato sull’acquisto e vendita

volontari di beni e servizi sui mercati liberi, allora ciò garantisce

che la crescita consiste sempre in beni, non “mali”. Questo perché

le persone comprano volontariamente solo beni. Se comprassero dei “mali”

dovremmo ridefinirli come beni! Abbastanza lontano dal vero, che però

non è così lontano. Il mercato libero non prezza i mali, ma non di

meno essi vengono inevitabilmente prodotti insieme ai beni. Dato che

i mali non hanno prezzo, la contabilità del PIL non può sottrarli,

mentre registra la produzione aggiuntiva di anti-mali (che hanno un

prezzo) e li conta come beni. Per esempio, non sottraiamo il costo dell’inquinamento

come un male, ma aggiungiamo il costo della pulizia dall’inquinamento

come un bene. Questo è un conteggio asimmetrico. Inoltre conteggiamo

il consumo del capitale naturale (esaurimento delle miniere, pozzi,

falde, foreste, pesca, suolo, eccetera) come se si trattasse di reddito

invece che di prelievo di capitale: un colossale errore di contabilità.

Paradossalmente quindi il PIL, qualsiasi cosa misuri, è anche il migliore

indice statistico che abbiamo del totale dell’inquinamento, dell’esaurimento

delle risorse, della congestione e della perdita di biodiversità. L’economista

Kenneth Boulding ha suggerito, in modo solo in parte ironico, di ridefinire

il PIL come Costo Interno Lordo. Almeno metteremmo costi e benefici

in una contabilità separata per il confronto. Gli economisti e gli

psicologi scoprono ora che, al di là di una soglia sufficiente, la

correlazione positiva tra il PIL e la propria percezione della felicità

scompare. Questo non sorprende perché il PIL non è mai stato inteso

come misura della felicità o del benessere, solo come attività; alcune

sono piacevoli, alcune salutari, alcune purtroppo necessarie, alcune

correttive, alcune banali, alcune dannose e alcune stupide.

In sintesi, crescita economica in senso

1 (dimensioni) può essere, e negli USA è diventata, crescita

antieconomica in senso 2 (benefici netti). Ed è il senso 2 che

conta maggiormente. Penso che i Limiti alla Crescita nel senso

2 siano stati raggiunti negli ultimi quarant’anni, ma che noi li abbiamo

sempre volontariamente negati, con gran danno per la maggior parte di

noi ma a beneficio di un’élite minoritaria che continua a spingere

l’ideologia della crescita perché ha trovato modi per privatizzare

tali benefici di crescita socializzando i persino maggiori costi. La

domanda principale nella mia testa è: “Possono la negazione, l’illusione,

l’offuscamento durare altri quarant’anni?” E se continuiamo

a negare i limiti economici della crescita, quanto ci rimane prima di

schiantarci contro i più discontinui e catastrofici limiti biofisici?

Spero che nei prossimi quarant’anni potremmo finalmente riconoscere

e adattarci a un limite economico più plausibile.

Adattarsi significherà passare

dalla crescita a uno stato stazionario dell’economia, uno quasi certamente

su scala più piccola dell’attuale. Per scala intendo una misura fisica

dell’economia rispetto all’ecosistema, probabilmente misurata meglio

attraverso la produttività delle risorse. E, ironicamente, il migliore

indice esistente che abbiamo per misurare questo è il PIL reale!

Devo confessare che sono sorpreso che

tale negazione abbia resistito per quarant’anni. Credo che per svegliarsi

ci sia bisogno di qualcosa come un pentimento e una conversione, per

metterla in termini religiosi. È inutile “prevedere” se avremo

la forza spirituale e la chiarezza razionale per una tale conversione.

La previsione della direzione della storia si fonda su un determinismo

che nega scopo e sforzi come indipendentemente causali. Nessuno vince

un premio per predire il suo comportamento. La previsione del comportamento

degli altri è problematica perché sono così simili a noi. E se siamo

veramente deterministi allora non importa cosa prediciamo, anche se

le nostre predizioni sono determinate. Come non-determinista spero e

lavoro per porre fine alla mania della crescita entro i prossimi quarant’anni.

Questa è la mia scommessa personale nel futuro a medio termine. Quanta

fiducia ho di vincere la scommessa? Circa il 30%, forse. È del tutto

plausibile che esauriremo totalmente le risorse della terra e i sistemi

di supporto vitale nei tentativi rovinosi di crescere continuamente:

forse attraverso conquiste militari delle risorse di altri paesi e dei

rimanenti beni comuni, forse con tentativi di conquista delle “alte

frontiere” dello spazio. Molti pensano, solo perché abbiamo gestito

un paio di acrobazie nello spazio con spese enormi, che la fantascienza

della colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente,

politicamente ed eticamente praticabile. E queste sono le stesse persone

che ci dicono che sulla Terra un’economia di stato stazionaria è

un compito troppo difficile per essere realizzato.

**********************************************

Fonte: Limits to Growth – Forty More Years?

17.10.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRA BALDELLI

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