DI HERMAN DALY
The Daly News
Tratto da “The Next Forty Years”,
Jorgen Randers.
Quarant’anni fa, quando lessi “I
Limiti dello Sviluppo”, credevo già che l’aumento dell’uso totale
delle risorse (tempi di popolazione per uso pro capite delle risorse)
si sarebbe fermato entro i successivi quarant’anni. L’analisi modellistica
del gruppo di Meadows era una forte conferma di quella convinzione comune
basata sui primi principi risalenti almeno a Malthus e ai primi economisti
classici.Beh, siamo quarant’anni dopo e la
crescita economica è ancora l’obiettivo numero uno delle politiche
di praticamente ogni nazione: questo è innegabile. Gli esperti affermano
che i “neo-malthusiani” si erano semplicemente sbagliati e che continueremo
a crescere. Ma io penso che la crescita economica sia già finita nel
senso che la crescita che continua ora è antieconomica, costa più
di quello che vale marginalmente e ci rende più poveri piuttosto che
più ricchi. Possiamo ancora chiamarla crescita economica, o semplicemente
“crescita” nell’opinione confusa che la crescita debba essere
sempre economica. Io sostengo che, specialmente nei paesi ricchi, abbiamo
raggiunto il limite economico di crescita, ma che non lo sappiamo e
disperatamente nascondiamo il fatto con difetti di contabilità nazionale,
perché la crescita è il nostro idolo e smetterlo di adorare è anatema.
Non una confutazione il chiedermi se
preferirei vivere in una caverna e congelare al buio piuttosto che accettare
tutti i vantaggi storici della crescita. Certo che no. I vantaggi della
crescita nell’insieme sono, a mio avviso, superiori ai costi totali,
sebbene alcuni storici ne dibattano. In ogni caso non possiamo annullare
il passato e dovremmo essere grati a coloro che hanno sostenuto i costi
della creazione della ricchezza di cui godiamo ora. Ma, come gli economisti
dovrebbero sapere, sono i costi e benefici marginali (non totali) che
sono rilevanti per determinare quando la crescita diventa antieconomica.
I vantaggi marginali diminuiscono perché soddisfiamo inizialmente i
nostri bisogni più urgenti; i costi marginali aumentano perché per
prime usiamo le risorse più facilmente accessibili e sacrifichiamo
gli ecosistemi meno vitali mentre cresciamo, convertendo la natura in
manufatti. I benefici marginali di una terza auto valgono i costi marginali
degli sconvolgimenti climatici e dell’innalzamento del livello dei
mari? La diminuzione dei vantaggi marginali tenderà a essere pari all’aumento
dei costi marginali, fino a che i benefici netti saranno positivi, proprio
quando i vantaggi netti cumulativi di crescita del passato sono al massimo!
Nessuno è contro l’essere più ricco, almeno fino ad un qualche sufficiente
livello di ricchezza. Che ricco sia meglio di povero è lapalissiano.
Che la crescita ci faccia diventare più ricchi è un errore elementare
persino all’interno della logica di base dell’economia standard.
Come suggerito sopra, non vogliamo
davvero sapere quando la crescita diventa antieconomica, perché
allora dovremo smettere di crescere e non sappiamo come gestire un’economia
stazionaria mentre siamo religiosamente impegnati in un’ideologia
del “senza limite”. Vogliamo credere che la crescita possa “curare
la povertà” senza condivisione e senza limitare la dimensione
della specie umana nel creato. Per mantenere questo stato di illusione
confondiamo i due distinti significati del termine “crescita economica”.
A volte ci si riferisce alla crescita di ciò che chiamiamo economia
(il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle scorte di
popolazione e di ricchezza e dal flusso di produzione e consumo). Quando
l’economia diventa fisicamente più grande, la chiamiamo “crescita
economica”. Ma il termine ha anche un secondo significato, molto
diverso: se la crescita di qualcosa causa benefici che aumentano più
dei costi, allora chiamiamo anche questo “crescita economica”,
crescita che è economica nel senso che produce un vantaggio o un profitto
netto. Ora, la “crescita economica” nel primo senso del termine
comporta una “crescita economica” nel secondo senso del termine?
No, assolutamente no. L’idea che un’economia più grande debba sempre
farci diventare più ricchi è pura confusione.
Che gli economisti debbano contribuire
a questa confusione è sconcertante, perché tutta la microeconomia
è dedita a cercare la dimensione ottimale di una determinata attività,
il punto oltre il quale i costi marginali superano i benefici marginali
e una crescita ulteriore diventerebbe antieconomica. Ricavo marginale=Costo
marginale è anche chiamato “regola del quando fermarsi” per la
crescita di un’azienda. Perché questa semplice logica dell’ottimizzazione
scompare nella macroeconomia? Perché la crescita della macroeconomia
non è soggetta a una regola analoga?
Ci rendiamo conto che tutte le attività
microeconomiche sono parte di un più grande sistema macroeconomico
e che la loro crescita causa lo spostamento e il sacrificio di altre
parti del sistema. Ma la stessa macroeconomia è pensata per essere
omnicomprensiva e quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non
sposta nulla e quindi non comporta alcun costo di opportunità. Ma questo
è ovviamente falso. Anche la macroeconomia è una parte, un sottosistema
della biosfera, una parte della Grande Economia dell’ecosistema naturale.
Anche la crescita della macroeconomia impone maggiori costi opportunità
di un ridotto capitale naturale, che ad un certo punto limiterà un’ulteriore
crescita.
Ma alcuni dicono che se il nostro metro
empirico di crescita è il PIL, basato sull’acquisto e vendita
volontari di beni e servizi sui mercati liberi, allora ciò garantisce
che la crescita consiste sempre in beni, non “mali”. Questo perché
le persone comprano volontariamente solo beni. Se comprassero dei “mali”
dovremmo ridefinirli come beni! Abbastanza lontano dal vero, che però
non è così lontano. Il mercato libero non prezza i mali, ma non di
meno essi vengono inevitabilmente prodotti insieme ai beni. Dato che
i mali non hanno prezzo, la contabilità del PIL non può sottrarli,
mentre registra la produzione aggiuntiva di anti-mali (che hanno un
prezzo) e li conta come beni. Per esempio, non sottraiamo il costo dell’inquinamento
come un male, ma aggiungiamo il costo della pulizia dall’inquinamento
come un bene. Questo è un conteggio asimmetrico. Inoltre conteggiamo
il consumo del capitale naturale (esaurimento delle miniere, pozzi,
falde, foreste, pesca, suolo, eccetera) come se si trattasse di reddito
invece che di prelievo di capitale: un colossale errore di contabilità.
Paradossalmente quindi il PIL, qualsiasi cosa misuri, è anche il migliore
indice statistico che abbiamo del totale dell’inquinamento, dell’esaurimento
delle risorse, della congestione e della perdita di biodiversità. L’economista
Kenneth Boulding ha suggerito, in modo solo in parte ironico, di ridefinire
il PIL come Costo Interno Lordo. Almeno metteremmo costi e benefici
in una contabilità separata per il confronto. Gli economisti e gli
psicologi scoprono ora che, al di là di una soglia sufficiente, la
correlazione positiva tra il PIL e la propria percezione della felicità
scompare. Questo non sorprende perché il PIL non è mai stato inteso
come misura della felicità o del benessere, solo come attività; alcune
sono piacevoli, alcune salutari, alcune purtroppo necessarie, alcune
correttive, alcune banali, alcune dannose e alcune stupide.
In sintesi, crescita economica in senso
1 (dimensioni) può essere, e negli USA è diventata, crescita
antieconomica in senso 2 (benefici netti). Ed è il senso 2 che
conta maggiormente. Penso che i Limiti alla Crescita nel senso
2 siano stati raggiunti negli ultimi quarant’anni, ma che noi li abbiamo
sempre volontariamente negati, con gran danno per la maggior parte di
noi ma a beneficio di un’élite minoritaria che continua a spingere
l’ideologia della crescita perché ha trovato modi per privatizzare
tali benefici di crescita socializzando i persino maggiori costi. La
domanda principale nella mia testa è: “Possono la negazione, l’illusione,
l’offuscamento durare altri quarant’anni?” E se continuiamo
a negare i limiti economici della crescita, quanto ci rimane prima di
schiantarci contro i più discontinui e catastrofici limiti biofisici?
Spero che nei prossimi quarant’anni potremmo finalmente riconoscere
e adattarci a un limite economico più plausibile.
Adattarsi significherà passare
dalla crescita a uno stato stazionario dell’economia, uno quasi certamente
su scala più piccola dell’attuale. Per scala intendo una misura fisica
dell’economia rispetto all’ecosistema, probabilmente misurata meglio
attraverso la produttività delle risorse. E, ironicamente, il migliore
indice esistente che abbiamo per misurare questo è il PIL reale!
Devo confessare che sono sorpreso che
tale negazione abbia resistito per quarant’anni. Credo che per svegliarsi
ci sia bisogno di qualcosa come un pentimento e una conversione, per
metterla in termini religiosi. È inutile “prevedere” se avremo
la forza spirituale e la chiarezza razionale per una tale conversione.
La previsione della direzione della storia si fonda su un determinismo
che nega scopo e sforzi come indipendentemente causali. Nessuno vince
un premio per predire il suo comportamento. La previsione del comportamento
degli altri è problematica perché sono così simili a noi. E se siamo
veramente deterministi allora non importa cosa prediciamo, anche se
le nostre predizioni sono determinate. Come non-determinista spero e
lavoro per porre fine alla mania della crescita entro i prossimi quarant’anni.
Questa è la mia scommessa personale nel futuro a medio termine. Quanta
fiducia ho di vincere la scommessa? Circa il 30%, forse. È del tutto
plausibile che esauriremo totalmente le risorse della terra e i sistemi
di supporto vitale nei tentativi rovinosi di crescere continuamente:
forse attraverso conquiste militari delle risorse di altri paesi e dei
rimanenti beni comuni, forse con tentativi di conquista delle “alte
frontiere” dello spazio. Molti pensano, solo perché abbiamo gestito
un paio di acrobazie nello spazio con spese enormi, che la fantascienza
della colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente,
politicamente ed eticamente praticabile. E queste sono le stesse persone
che ci dicono che sulla Terra un’economia di stato stazionaria è
un compito troppo difficile per essere realizzato.
Fonte: Limits to Growth – Forty More Years?
17.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRA BALDELLI