DI AUDREY MANTEY
Feral Scholar
La scorsa settimana, ho ricevuto una e-mail dalla madre di uno dei miei alunni, circa un fatto di cronaca riguardante suo figlio. Lui e due ragazzi, tutti abitanti nella zona, hanno creato una composizione artistica, nel centro città di Mount Clemens, nello spazio pubblico presso una fontana. Avevano usato dei gessetti – quelli divisi in pezzi, del tipo che si comprerebbe per la festa di un bambino; del tipo che viene subito via con della semplice acqua. Durante la realizzazione, i passanti si scambiavano commenti sull’opera. Gli studenti allora, li incoraggiarono a prender parte all’operazione. Coloro i quali parteciparono provenivano dai più disparati ambiti sociali, persino, ad un certo punto, un membro del Mount Clemens Downtown Development Authority [comitato per lo sviluppo cittadino di Mount Clemens, ndt]. Questo avvenimento improvvisato e non pubblicizzato è stato uno dei rari momenti in cui, per breve tempo, i membri della comunità si sono riuniti per creare qualcosa e per il semplice fatto che potevano farlo. Ho partecipato a qualcosa di simile, coi miei studenti. Una volta, di primo mattino abbiamo imbiancato le strade di Ann Arbor di strisce di gesso nel contesto dello Shadow Project [Progetto Ombra, ndt] in memoria di Hiroshima. L’anno seguente abbiamo organizzato un progetto simile a Detroit, utilizzando farina di grano ed acqua. Perfetti sconosciuti presero i pennelli e si unirono a noi. Lo scorso anno abbiamo contribuito ad un “Chalk and Talk” [imbrattare di gesso e parlare, ndt], presso la Wayne State University, dove abbiamo invitato persone a scrivere qualcosa o a prendere il nostro altoparlante, salire sul nostro palco improvvisato e parlare. Tale palco è una gabbia di legno riciclata e pitturata grossolanamente che appartiene ad una delle mie studentesse; lei la trascina con sé a vari eventi pubblici a Detroit. Non è davvero niente di particolare –quando non funge da tribuna contiene la sua collezione di musica. Lei non vuole che le persone concordino con lei le parole che useranno. Lei intende mettere le persone nella posizione di esprimersi apertamente, e dire agli altri ciò che pensano. Vuole costruire un dialogo.
In una strada di Detroit, Heilderberg Street, un artista locale si è impadronito dei marciapiedi, dei lotti vacanti ed un piccolo parco per bambini. Tyree Guyton intraprese il Progetto Heilderberg più di 20 anni fa, disegnando pois attraverso il paesaggio, allestendo sculture con materiali riciclati. Il Progetto accoglie più di un quarto di milione di visitatori l’anno. Non si paga un biglietto, è semplicemente uno spazio pubblico rimodellato dal suo punto di vista in un punto d’incontro. Laggiù sconosciuti si parlano.
Per due volte, la città di Detroit ha abbattuto parte del progetto, definendolo una calamità. Per due volte, Tyree ha ricominciato, e a tutt’oggi continua ad espandere il progetto con l’aiuto della scuola materna del luogo e di alcuni adulti volontari. Lungo la strada sono situati edifici inutilizzati che dovrebbero essere abbattuti, ma non sono mai stati toccati dalle autorità cittadine. I partecipanti al progetto occasionalmente li segnano con grandi cerchi di pittura, i pois, ormai icona che tanti pruriti ha causato ai pubblici ufficiali.
Guidando attraverso la città, vedrete tali punti –sorta di abbreviazione culturale che sta per “Questo deve essere abbattuto, perché non mandate i bulldozer?”. Personalmente ritengo che pubblici ufficiali non siano interessati alla rovina della città quanto al tanto radicale concetto che i luoghi pubblici vadano utilizzati. Non passarci attraverso senza mai occuparli veramente, ma utilizzati per davvero.
Simile è il caso di Mount Clemens, dove questi tre artisti sono stati sanzionati con multe degne di reati veri e propri per deturpazione di arredo pubblico. Sebbene dai gessetti non sia stato degradato l’arredo urbano ma il mito che solo gli artisti affermati possano esporre in luogo pubblico e solo dopo attenta critica e dopo che l’autorizzazione sia stata messa nero su bianco, ecco cosa essi hanno infranto. Matthew Abel, dell’Ordine Nazionale degli Avvocati si è offerto di difenderli pro bono.
Come professore e come genitore, ho assimilato particolari nozioni riguardo il temine “ben educato”. A volte rima con il non essere additato –in altre parole, col non infrangere mai la norma. Si pensa all’essere maleducati come all’aggirarsi attorno ai limiti concepiti dalla campana di vetro della nostra comunità. Ci offendiamo se gli immigranti non si esprimono “correttamente” nella nostra lingua. Le Homehowner’s Associations [Associazioni dei cittadini, ndt] ci assicurano che le nostre case sono identiche a quelle dei vicini, ed una porta colorata di arancione o una piantagione di zucchine nel giardino di fronte sono allarmanti, perché non comuni. Nelle scuole si adottano testi standardizzati per esser sicuri che si imparino le medesime nozioni ed al medesimo passo, o si rigettino alla stessa maniera.
A volte l’esser maleducati significa travalicare le regole, senza chiedersi se le regole abbiano valore o meno. Un bambino ligio alle regole è buono; quello che agisce di testa propria è cattivo, è importante allevarli bene: solo chi segue le regole attentamente sarà un buon impiegato. Un buon padre o insegnante è colui che sa imporsi sui bambini con le proprie regole. È la televisione che ci insegna cosa fare e cosa no. Lo scrittore ed educatore Alfie Kohn scrive: “La superficialità di Super Balia non è casuale; ma ideologica. Cosa questi spettacoli contrabbandino è il culto delle regole. Il punto non è crescere un bambino; ma rinforzare o estinguere delle regole distinte –cosa buona e giusta se credete, assieme a B.F. Skinner ed ai suoi leccapiedi che ancora sopravvivono, che non ci serva altro che quelle regole.”
Per lo più i genitori che conosco non permettono ai figli di scrivere sui muri. Molti bambini che conosco si sono trovati nei guai per aver infranto tale regola, ci sono incappato anch’io quando, mentre avrei dovuto dormire, disegnai un capolavoro di scarabocchio, intelligentemente posto dietro la porta della mia camera da letto, così al momento che mia madre avesse aperto la porta per controllarmi, l’opera sarebbe stata al sicuro. La trovò subito. Mia figlia è stata una grande imbratta-muri. Le regalammo dei pennarelli cancellabili. Il bambino che viveva dove io vivo adesso disegnava sui muri. Dentro al nostro soggiorno c’è un bottone per la salita e la discesa disegnato a matita, proprio all’altezza delle ginocchia. Lo scrivere su grandi spazi è un bisogno basilare dell’umanità. Io sono assolutamente sicuro che sia in lista con: mangiare, bere e proteggersi. Non mi stupirei se quei piani bianchi che delineano i cubicoli dell’America funzionino, ad un qualche livello, come pitture rupestri.
Questo è il motivo per cui permetto ai miei studenti di scrivere con pennarelli indelebili delle poesie sui muri della classe. Uso che ho accettato l’anno scorso quando una mia studentessa mi chiese se poteva dipingere il mio muro. Dovremmo utilizzare più tempo dipingendo mura che usare testi standard. Personalmente, non mi piace vivere in comunità dove le persone possano utilizzare gli spazi pubblici a patto di non aver nessun tipo d’impatto sul vicinato ed i vicini. Sono ancor meno interessato ad istruire alunni che non possono lasciare la propria traccia nel mondo.
Titolo originale: ” The Chalk Bandits”
Fonte: http://stangoff.com/
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04.08.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GUGLIELMO MENICHETTI