HOTEL ROOM JOURNALISM (IL GIORNALISMO DA UNA STANZA D'ALBERGO)

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DI ROBERT FISK

L’unica frase per definirlo è “Giornalismo da Hotel”. Sempre più giornalisti occidentali a Baghdad stanno facendo la
cronaca dai loro hotel piuttosto che da strade di paesi e
città irachene. Alcuni sono accompagnati ovunque da mercenari occidentali assoldati e pesantemente armati. Alcuni vivono in uffici locali a cui è rifiutato, il permesso di uscire dal loro stesso editore. La maggior parte usa
informatori iracheni, corrispondenti part time che rischiano le
loro vite per condurre interviste per giornalisti americani
o britannici, e nessuno può contemplare un viaggio fuori
dalla capitale senza giorni di preparativi, a meno di unirsi alle
forze militari americane o britanniche.

Raramente, se mai, una guerra e’ stata coperta dai
reporter così da lontano ed in modo così ristretto. I
corrispondenti del New York Times vivono a Baghdad dietro un’immensa staccionata con quattro torri di avvistamento protette da mercenari locali, uomini provvisti di fucile, completi di NYTimes
t-shirt. I corrispondenti della tv americana NBC sono imbucati
in un hotel con una griglia di ferro a sbarrare la loro
porta, ed e’ stato loro proibito dai propri consulenti di sicurezza
di scendere in piscina o al ristorante, “per non parlare del
resto di Baghdad” per evitare eventuali attacchi. Numerosi
giornalisti occidentali non abbandonano le loro stanze durante il loro assegnamento a Baghdad.

Le minacce per i giornalisti occidentali sono così gravi che alcune stazioni televisive parlano di ritirare i
propri reporter ed equipaggi. Nel mezzo di una rivolta in cui gli Occidentali – e molti Arabi come altrettante persone
straniere vengono rapiti ed uccisi, fare la cronaca di questa
guerra sta diventando quasi impossibile. L’assassinio su
videotape di un corrispondente italiano, l’uccisione a sangue
freddo di uno dei migliori reporter polacchi ed il suo
cameraman bulgaro, e l’assalto ugualmente sanguinoso ad un
reporter giapponese sulla tristemente nota Highway 8 a sud di Baghdad lo scorso anno hanno persuaso molti giornalisti
che una larga dose di discrezione è la parte migliore del
valore.

L’Indipendent, insieme a numerosi giornali americani e
britannici, fornisce ancora un servizio di copertura delle
storie di persone, muovendosi con esitazione – per non
parlare di trepidazione – attraverso le strade di una città che a poco a poco cade preda degli insorti. Solo sei mesi fa
era ancora possibile lasciare Baghdad al mattino, guidare
fino Mosul o Najaf o altre città maggiori per scrivere una
storia, e tornare per sera. Entro Agosto, mi ci volevano due
settimane per negoziare la mia dubbia sicurezza per un
viaggio di appena 80 miglia fuori Baghdad.

Trovai i punti di sbarramento dell’esercito, sulle
autostrade, deserti, le strade affiancate da camion americani
distrutti e veicoli di pattuglia della polizia bruciati. Oggi è
quasi impossibile. Autisti e traduttori che lavorano per
giornali e compagnie televisive sono minacciati di morte. In
molti hanno domandato di essere sollevati dai loro incarichi
il 30 gennaio per non essere riconosciuti per le strade
durante le elezioni irachene. Nella brutale guerra di
Algeria del 1990 almeno 42 reporter locali furono assassinati ed un cameraman francese ucciso a colpi d’arma da fuoco
nella casbah di Algeri. Ma le forze di sicurezza algerine
ancora garantiscono un minimo di protezione ai reporter. In
Iraq non riescono nemmeno a proteggere se stesse.

La polizia e la Guardia Nazionale Irachena – tanto
proclamate dagli americani come gli uomini che assumeranno
il controllo dopo la ritirata americana – sono
pesantemente infiltrate dagli insorti. I checkpoint possono
essere regolati da uomini della polizia, ma al momento non è
più chiaro per chi stia lavorando la polizia. Truppe USA
che operano dentro e nei dintorni di Baghdad sono adesso
evitate dai giornalisti occidentali, a meno che non siano
“embedded”, altrettanto quanto degli iracheni, a causa
dell’indisciplina con cui aprono il fuoco sui civili al minimo
sospetto.

Così bisogna farsi delle domande. Quanto vale la vita
di un reporter? La storia vale il rischio? E, ancora più
seriamente da un punto di vista etico, perchè non ci sono
piu’ giornalisti che riportino le restrizioni sotto
le quali operano? Durante l’invasione Anglo-Americana del
2003, gli editori spesso insistevano nel fare una
prefazione ai dispacci dei giornalisti sull’Iraq di Saddam, che spiegava le restrizioni sotto le quali stavano operando. Ma oggi, che i nostri movimenti sono ancora più circoscritti, nessuno di questi “avvertimenti salutari” accompagna i loro reportage.
In molti casi, osservatori e lettori sono lasciati con l’impressione che il giornalista sia libero di viaggiare per l’Iraq per controllare le storie che lui o lei archiviano fiduciosi ogni giorno. Non proprio.

“L’Esercito degli Stati Uniti non potrebbe essere piu’
felice di questa situazione,” dice un corrispondente americano da lungo tempo a Baghdad.” Sanno che se bombardano una casa di persone innocenti, possono dichiarare che fosse una base di “terroristi” e farla franca. Non vogliono che girovaghiamo per l’Iraq e così la minaccia “terroristica” e’ una buona notizia per loro.”

“Possono dichiarare di aver sparato a 600 o 1.000
ribelli e noi non abbiamo modo di controllare perchè non
vogliamo essere rapiti o che ci si tagli la gola.”

Così, molti reporter sono ora ridotti a telefonare
dalle loro stanze d’albergo all’esercito americano o all’ “Interim” del governo dell’Iraq per avere informazioni, ricevendo “fatti” da uomini e donne che sono ancora più isolati dall’Iraq, nella Green Zone
di Baghdad intorno al palazzo repubblicano percedentemente di Saddam Hussein, dei giornalisti stessi. O ricevono reportage dai loro corrispondenti inseriti nelle truppe americane e che, necessariamente, otterranno solo la parte americana della storia.

Sì, è ancora possibile fare cronaca dalle strade di
Baghdad. Ma sempre meno di noi lo fanno, e può giungere il tempo in cui dovremo bilanciare il valore dei nostri reportage con il rischio delle nostre vite.

Non abbiamo ancora raggiunto quel punto. Fino ad ora,
vediamo ancora dell’Iraq un po’ di più di quelli che asseriscono di governare questo paese

Robert Fisk
http://www.counterpunch.org/fisk01172005.html
17.01.05

Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Fey

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