GRILLO. COME SI RISCHIA DI PERDERE CONSENSO

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DI DAVIDE STASI
ilribelle.com

Va detto, la performance di Benigni alla festa del PD è stata quanto meno imbarazzante. L’esempio più bieco di embedding, di arruolamento ideologico, cui un artista potesse prestarsi.

Le tiritere con cui ha captato la benevolenza del pubblico intervenuto e del partito politico ospitante fingono di ignorare che è a questa sinistra, come ha notato recentemente Travaglio, che si devono 20 anni di fascismo, 40 di democrazia cristiana e altri 20 di berlusconismo, oltre alle recenti infamie neoliberiste del montismo. Ma soprattutto lordano l’immagine e la sostanza di un artista che non ha mancato, seppur in modo discontinuo, di produrre vera poesia. Con i suoi salamelecchi acritici, per quanto convinti, Benigni si è ridotto in un colpo al rango di guitto che distribuisce piaggerie alla fanghiglia della politica, specie quella della sinistra italiana.

Chiarito questo, va detto con altrettanta chiarezza che la polemica in cui Grillo si è impantanato, prima con Bersani e ora con lo stesso Benigni è peggio che incresciosa. Non che siano sbagliati gli argomenti utilizzati per sottolineare le contraddizioni della sinistra, e il conservatorismo retrivo dei suoi leader. Anzi. Ma scendere al livello della polemica personale con il segretario di un partito dove la retorica sinistroide ha ancora un qualche appeal, è un’ingenuità imperdonabile.

Una vera e propria caduta di stile, poi, il battibecco con Benigni. Vedere due comici, o ex comici, forse i migliori degli ultimi trent’anni in Italia, stuzzicarsi in modo velenoso per motivi di fazione è uno spettacolo sgradevolissimo di per sé. Sotto il profilo della strategia politica, poi, è una totale idiozia. Benigni, comunque la si veda, è un’icona della sinistra. È l’artista che rafforza la presunta superiorità culturale dei compagni, è colui che si permette di decantare Dante o scherzare sull’Olocausto, pur restando popolare nel linguaggio, fino al più esilarante turpiloquio. Per di più dichiarandosi apertamente “di sinistra”, fin dai tempi in cui cullava Enrico Berlinguer davanti alla folla.

Il tutto in un contesto dove a dominare è il vil denaro. Grillo che cerca di colpire un collega (o ex collega) parlando di soldi, e supportando l’attacco con il riferimento, del tutto fuori misura, al finanziamento pubblico ai partiti, viene immediatamente disarmato dal manager del comico toscano: il cachet di Benigni viene tratto dai biglietti venduti. E allo stesso modo veniva pagato Grillo in passato, alle Feste de l’Unità dove interveniva con i suoi show. Un bel diretto in faccia. E il KO arriva dalla perfida testimonianza di Guerisoli, segretario CISL fino al 2002: «nel 1999, per uno spettacolo, Grillo ci chiese 10 milioni di lire, in nero. Li pagammo e fu durissima giustificare quell’uscita».

Quello che ci si attenderebbe da Grillo e dal suo movimento, specie dopo il botto delle ultime Amministrative, non è l’ingenua accettazione delle provocazioni provenienti da destra o sinistra, in special modo da sinistra. Non ha senso, dopo l’impatto dirompente con cui le tematiche veicolate dal suo blog e dalla sua armata sgangherata ma determinata sono state imposte all’agenda politica, perdersi in scaramucce di basso livello con controparti cui non dovrebbe essere riconosciuta nemmeno la dignità di “avversario”. Quello che, dalle ultime elezioni a oggi, ci si attendeva da Grillo, erano sostanzialmente due cose: un programma realmente alternativo e chiaro, nei suoi tratti fondanti e nei dettagli propositivi, e uno schema chiaro di selezione del personale politico che traguardasse le prossime elezioni nazionali, se non addirittura iniziasse a individuare un candidato Presidente del Consiglio autorevole e credibile.

Da molti, troppi mesi questi due elementi latitano pericolosamente, nel campo grillista. Con il successo elettorale, la base ha continuato l’attività magmatica di microscopici conflitti e minuscole alleanze, fughe di delusi e corse in avanti di ambiziosi. Tutta una serie di incrinature in uno schieramento che dovrebbe invece essere solidissimo e unito, facilitate dalla mancanza assoluta di criteri, o meglio dalla presenza di “non-regole”. Da parte sua, l’ispiratore si è inizialmente crogiolato nel successo, perdendosi poi in un atteggiamento astioso, acido quasi, lontano anni luce dalla propositività che l’elettorato convinto e quello transitorio di protesta si attendevano, dopo la fiducia concessa alle amministrative.

Questi mesi andavano spesi a consolidare il fronte, mostrando il meglio degli aspetti alternativi del movimento rispetto al sistema. Grillo invece si perde in scaramucce senza senso, cadendo nelle trappole tese da volponi e vecchie bagasce della politica. Eppure sembrava scaltro. E dunque perché tutta questa ingenuità?

Le ipotesi sono tre, una peggo dell’altra: o è mal consigliato, il che può essere, dato che si appoggia a una società di marketing; o l’esperimento socio-politico è diventato più grande di lui, e la paura conseguente lo rende ingenuo; o, cosa più probabile, non sa come risolvere i due dilemmi di cui sopra: programma convincente e candidati credibili. E così dissipa il patrimonio di consenso che aveva raccolto, e che aveva un enorme potenziale. Si tratta di capire se lo fa con colpa o dolo. In ogni caso, di questo passo il Movimento 5 Stelle ha nel suo futuro lo stesso destino del Popolo Viola o dei “girotondi”, che dopo aver giro-girato per un po’, sono cascati tutti giù per terra.

Davide Stasi
www.ilribelle.com
30.08.2012

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