DI GIULIETTO CHIESA
megachip.globalist.it
È
uscito un film molto speciale, che dura quanto vuole chi l’ha comprato. Nel quale gli attori li muove lo spettatore, che diventa quindi protagonista.
Guarda un po’ che progressi verso la “partecipazione” e la
rottura dello schema della tv, così “autoritario” e
unidirezionale. Evviva!
In
verità, per diradare l’entusiasmo si dovrà dire subito che lo
spettatore/attore di questo film è protagonista solo in un certo
senso, molto speciale. La sceneggiatura è infatti già scritta o,
per meglio dire, disegnata. E chi guarda e pigia i bottoni della
PlayStation può certamente influire sugli eventi, ma è come se si
muovesse sui binari tracciati da qualcun altro.
Diciamo,
prima di tutto, quanto è costato farlo, questo film, perché i
numeri sono quelli che contano. Soprattutto per chi lo ha ideato e
prodotto. È costato più di ogni altro film mai realizzato nella
storia del cinema, salvo uno di Walt Disney, cioè 266 milioni di
dollari. Non si sa quanta gente ci ha lavorato, ma sono alcune
migliaia di persone, ciascuna delle quali – come tra poco vedremo –
ha dato il suo contributo a una operazione culturale devastante per
il tenore intellettuale e morale di chi vive, e vivrà, su questo
pianeta. Contributo molto differenziato, a seconda del posto che
costoro hanno occupato nella produzione. Più o meno come hanno fatto
e fanno i produttori di armi, per esempio di cacciabombardieri F-35.
Perché, come vedremo tra poco, anche questo film è
un’arma. E non (solo) un’arma di “distrazione di massa”,
ma di vera e propria distruzione di massa. Solo che in questo caso la
distruzione è intellettuale e morale, e riguarda coloro che lo
comprano e se ne servono. È come se qualcuno andasse in un negozio e
si comprasse una bomba a esplosione ritardata, e poi se la mettesse
addosso per farsene maciullare. Ricordate quell’altro film, di
Woody Allen?
L’unica
differenza consiste nel fatto che la bomba è indolore. Non ti uccide
fisicamente. Ti penetra, invece, intellettualmente, magari
procurandoti uno spasimo di piacere. Ma questa è materia, come
vedremo tra poco, altamente controversa. Una cosa certa è che chi
l’ha pensata ci sta guadagnando cifre astronomiche. Il prodotto
interno lordo ringrazia.
Quanto
guadagno? Dal 17 settembre scorso, data in cui il prodotto è finito
sugli scaffali dei negozi, ha incassato, in poche settimane, oltre un
miliardo e mezzo di dollari, con 14 milioni di copie vendute, a
quanto pare, solo nei primi tre giorni. Ottocento milioni di dollari
di incassi solo nel primo giorno di vendite. Boom! Nessun film aveva
mai realizzato un tale exploit. Quanto sia entrato in cassa da
allora, in questi mesi, non sappiamo, ma il lancio della vendita
ancora continua. A Natale impazzerà tra i regali. Genitori zombi
lo regaleranno ai figli, affinché lo diventino anche loro.
Comunque,
per prendere bene le misure di questo fenomeno, si dovrà finalmente
dire che questo “film”, che ha mosso la mano di chi scrive, è
l’ultimo rampollo di una serie: il quinto. I quattro predecessori
circolano per il pianeta dal 1995, e sono stati comprati già in 150 milioni di copie. Che non vuole dire soltanto, come ben cominciate a
capire, altrettanti milioni di spettatori. Moltiplicate invece
tranquillamente per cinque, o per dieci: questo film lo si può
vedere in solitudine, ma anche in compagnia, e nei fatti è questo
che si verifica più spesso. Inoltre questo film può essere tirato
fuori dal cassetto quante volte si vuole, vive, prolifera, raccoglie
adepti, fans, come si dice oggi, dilaga. Perché è molto divertente.
Con
il quinto rampollo si raggiungerà e supererà il miliardo di
spettatori-attori. Un settimo della popolazione del pianeta.
Ma – tenuto conto che qualche miliardo di abitanti della Terra non
ha l’elettricità, e neanche un computer – la densità media dei
kamikaze che applicheranno su se stessi quest’arma sarà molto più
alta in Occidente che, per esempio, in Africa. Il che equivale a
dire che la densità media del cretino è più alta in Occidente che
nel resto del mondo. Ma non vorrei divagare troppo: meglio entrare
nel merito e soddisfare subito la curiosità di chi legge.
Risulta
– vistosamente scritto sulla copertina – che questo film è vietato
ai minori di 18 anni, ma la dicitura è un favore per i
produttori. Anche gli altri quattro predecessori erano
“sconsigliati” ai minori. Ottimo sistema per farli comprare
proprio ai minori. È come un’incoronazione, una Palma d’Oro, il
vertice della carriera, un Premio Oscar. Quest’ultimo se la merita
più dei quattro precedenti messi insieme. E un salto di qualità, è
il Progresso. Solo i selvaggi possono rifiutarlo.
Insomma
l’oggetto in questione sarà maneggiato sicuramente molto di più
dagli adolescenti maschi di ogni parte del mondo che dagli adulti, e
dalle donne. Saranno i giovani di ogni età, quelli con i
polpastrelli ipersviluppati della net-generation,
a godersi i pregi di una “pellicola” che resterà nella storia.
Viste le cifre di cui sopra (magari esagerate dai venditori, ma non
di troppo) si può già dire che l’evento
“segnerà” un’intera generazione.
La segnerà proprio nel senso di un marchio a fuoco, come quello cui
venivano sottoposti i capi di bestiame nei grandi pascoli del Far
West. Solo che questo
marchio non verrà impresso sul corpo, ma nella mente
di ciascuno di loro.
Certo,
certo, scrivono i commentatori ebeti delle pagine dello spettacolo di
giornali e televisioni, questa è “roba per adulti”. Lo è,
di sicuro. Anche.
Il
che ci costringe a chiederci quale sia il tipo medio dell’adulto
maschio plasmato dalla società dello spettacolo.
Ho
letto una recensione di questo “film” dove il giornalista si
ingegnava a spiegare che, in fondo, il livello di criminalità
(stiamo parlando infatti di cultura di massa) che dispiega è
talmente incredibile da
disinnescare il meccanismo di assorbimento dei contenuti, e da
far sorridere ironicamente chi vi si affaccia. Ecco: questa è la
prima e la più semplice giustificazione: il contenuto del film è
talmente, indicibilmente obbrobrioso, che chi ne fruisce “non può
crederci”, non può rimanerne influenzato, perché è “esagerato”.
Il problema è, però, che nessuno ride mentre guarda e partecipa.
Non ridono gli adulti mentre sventrano il nemico, mentre violentano
una prostituta. Non ridono i bambini e gli adolescenti mentre
dirigono l’auto di lusso – che hanno appena scelto, gratis,
nell’ipermercato che il film mette a disposizione, con grande
varietà di marche, colori, cilindrate da Gran Prix – sui marciapiedi
con il sadico intento di uccidere i pedoni. Di cui si sente anche il
molto realistico rantolo di dolore mentre muoiono.
Forse
qualche pedagogo, qualche psicologo, dovrebbe spiegare a questi
“critici d’arte” che un ragazzino di dieci anni, ma anche di
quindici o venti, ma anche un adulto plasmato da “Italia Uno”,
non ha mai avuto tempo e modo di dotarsi di un bagaglio intellettuale
tale da permettergli di “straniarsi” ironicamente da un tale tipo
di attività “sociale”. Il fatto è che gl’intellettuali
tendono a proiettare se stessi sugli altri, e si aspettano che gli
altri reagiscano agli eventi proprio come farebbero loro. Il che,
naturalmente, non accade mai. Non gli viene in mente che i
milioni di spettatori-attori-giocatori di questo film vivono in case
dove non c’è nemmeno un libro, che del resto non hanno mai letto,
né loro né i loro genitori, parenti e amici. Non prendono in
considerazione che non c’è filtro difensivo nelle menti della
stragrande maggioranza degli spettatori, da tempo già trasformati in
“homines videntes” e in consumatori compulsivi.
Mi
chiedo: a quale mutazione antropologica noi stiamo andando? Ma mi
scuso con il lettore: sto anticipando cose che “voi umani” ancora
non potete immaginare, visto che non siete ancora passati attraverso
le Porte di Tannhäuser
di questo film. Mi soffermo su queste cifre perché sia chiaro che
siamo di fronte a una “merce” speciale. Guy
Debord
è morto prima di vederla, ma l’aveva immaginata bene. Oggi essa è
la regina, il paradigma della società dello spettacolo. Neil
Postman
è anche lui passato a miglior vita, ma fu profeta quando scrisse
“ Divertirsi
da morire“:
là si trova la più perfetta descrizione di “GTA
V”
– questo è il titolo del film in questione, che sta per “Grand
Theft Auto V”,
il nome in inglese del reato di furto d’auto, che potrebbe persino
suonare in italiano così: Gigantesco
Furto di Automobili.
Innocente, vero? Perfino banale. Chi non ha rubato un’auto? Non
l’avete mai rubata? Che sciocchini che siete! Peggio per voi,
perché giocherete male. In ogni caso: chi non ha desiderato una
bella macchina sportiva? Il breve passaggio tra desiderio e furto
reale è qui saltato di slancio. E fosse solo il furto di un’auto!
Avevano cominciato con prudenza, i creatori, con ruberie di
terz’ordine. Ma ora le cose sono maturate. Il “nuovo mondo” di
Huxley sta arrivando: si può fare di più, molto di più. I
giocatori sono già stati preparati a ben altre imprese! Il
luogo dell’azione è Los Santos, che somiglia molto a Los
Angeles. Disegno e sceneggiatura straordinariamente realistici. I
personaggi da maneggiare sono tre, Michael De Santa, Franklin
Clinton, Trevor Philips. Cioè un gangster afro-americano,
un “pensionato” precoce disposto a tutto e un “fuori di testa”
con la faccia che pare ispirata al Jack Nicholson di “Shining”.
Le loro “missioni” le guidate voi che giocate, e sono nient’altro
che una serie di nefandezze perfino difficili da raccontare.