DI JOHN LE CARRÉ
Democracy Now!
L’America è entrata in uno dei suoi periodi di follia storica, ma questo è il peggiore che riesco a ricordare: peggiore del Maccartismo, peggiore della Baia dei Porci e a lungo termine forse anche più disastroso della Guerra del Vietnam.
TRASCRIZIONE
AMY GOODMAN: John Le Carré, romanziere inglese. L’ho incontrato a Londra, una domenica. Oltre a essere famoso per i suoi romanzi di spionaggio, ha scritto, nel 2003, un saggio molto noto contro la guerra, proprio alle soglie dell’invasione americana dell’Iraq. Il suo titolo è “The United States of America Has Gone Mad” (L’America è impazzita, ndt.) Quello che segue è un estratto.
JOHN LE CARRÉ: L’America è entrata in uno dei suoi periodi di follia storica, ma questo è il peggiore che riesco a ricordare: peggiore del Maccartismo, peggiore della Baia dei Porci e a lungo termine forse anche più disastroso della Guerra del Vietnam. La reazione all’11 settembre ha superato ogni aspettativa che Osama Bin Laden possa aver nutrito nei suoi sogni più terribili. Come ai tempi di McCarthy, le libertà che hanno reso l’America lo stato più invidiato del mondo si stanno sistematicamente erodendo. La combinazione di media americani compiacenti e poteri economici acquisiti è ancora una volta garante del fatto che un dibattito che dovrebbe risuonare nella piazza di ogni città è relegato alle colonne più alte della stampa dell’East Coast.
La guerra imminente è stata progettata anni prima dell’attacco di Bin Laden, ma è stato lui a renderla possibile. Senza Bin Laden, la giunta di Bush starebbe ancora cercando di spiegare questioni piuttosto complicate e prima di tutto la questione di come ha fatto a essere eletto; la Enron; la sua sfacciata predilezione per chi è già troppo ricco; la sua sconsiderata indifferenza nei confronti della povertà nel mondo, dell’ecologia e di un sacco di accordi internazionali unilateralmente abrogati. Dovrebbero inoltre spiegarci perché appoggiano Israele nel suo continuo venir meno agli accordi con le Nazioni Unite.
Ma Bin Laden, al momento opportuno, ha spazzato tutto questo sotto il tappeto. I sostenitori di Bush stanno avendo la meglio. Ad oggi l’88% degli americani vuole la guerra. Il bilancio degli Stati Uniti per la difesa è stato aumentato da 60 bilioni di dollari a 360. Una nuova, splendida generazione di armi nucleari è in corso, così tutti noi possiamo tirare il fiato. Che cosa quell’88% di americani a favore della guerra sta appoggiando è decisamente molto meno chiaro. Una guerra lunga quanto? Con quali costi per le vite degli americani? Con quale costo per le tasche dei contribuenti? Con quale costo – perché la maggior parte di quell’88% è gente assolutamente onesta e umana – per le vite degli iracheni?
Come hanno fatto Bush e la sua giunta a convogliare la rabbia dell’America da Bin Laden a Saddam Hussein è uno dei grandi giochi di prestigio della storia in ambito di pubbliche relazioni. A ogni modo ci sono riusciti. Un recente sondaggio ci dice che un americano su due ora crede che sia Saddam il responsabile dell’attacco alle Torri Gemelle. Ma il pubblico americano non è semplicemente ingannato. Viene intimorito e tenuto in una condizione di ignoranza e di paura. Questa nevrosi orchestrata fin nei minimi particolari dovrebbe portare Bush e i suoi compagni di cospirazione dritti dritti alle prossime elezioni.
Quelli che non sono con Mister Bush sono contro di lui. Peggio ancora, essi sono con il nemico. Il che è piuttosto strano, dal momento che io sono assolutamente contro Bush, ma allo stesso tempo mi piacerebbe assistere alla caduta di Saddam – ma non secondo i termini di Bush e non con i suoi metodi. E non nel nome di un’ipocrisia così immorale.
Le ipocrisie religiose che vogliono mandare le truppe americane in guerra sono forse l’aspetto più disgustoso di questa surreale guerra che “s’ha da fare”. Bush ha una certa presa su Dio. E Dio ha opinioni politiche molto particolari. Dio ha ordinato all’America di salvare il mondo usando ogni mezzo si confaccia all’America. Dio ha ordinato a Israele di essere il legame con la politica mediorientale dell’America e chiunque intende farsi coinvolgere in quell’idea è a) antisemita, b) anti-americano, c) dalla parte del nemico, e d) un terrorista. […]
Quel che è in gioco non è un’imminente minaccia militare o terroristica, ma la necessità economica della crescita americana. Quel che è in gioco è il bisogno dell’America di dimostrare il suo potere militare a tutti noi – all’Europa, alla Russia e alla Cina, e alla povera, folle, piccola Corea del Nord, così come al Medio Oriente; di mostrare chi comanda l’America in patria e chi è comandato dall’America all’estero.
L’interpretazione più comprensiva del ruolo di Tony Blair in tutto ciò è che credesse che, cavalcando la tigre, potesse guidarla e dirigerla. Non può farlo. Al contrario, gli ha dato una falsa legittimità, e una voce gradevole. Ora come ora ho paura che quella stessa tigre lo abbia rinchiuso in un angolo e che egli non riesca a uscirne.
È assolutamente ridicolo che, nel momento in cui Blair ha dichiarato di essere alle corde, neppure i leader inglesi dell’opposizione hanno potuto colpirlo e abbatterlo. Ma questa è la tragedia inglese, così come quella americana: quando i nostri governi mentono e perdono la loro credibilità, gli elettori fanno spallucce e si girano da un’altra parte. […]
Io mi faccio piccolo piccolo quando sento il mio Primo Ministro prestare le sue sofisticherie da prefetto a questa avventura colonialista. Le sue preoccupazioni molto reali riguardanti il terrorismo sono condivise da ogni persona che sia sana di mente. Ciò che lui non può spiegare è come riesce a conciliare un attacco globale ad Al-Qaeda con un attacco territoriale in Iraq. Noi siamo in questa guerra, se si verifica, per difendere la foglia di fico dei nostri rapporti speciali, per accaparrarci la nostra quota nel mercato petrolifero, e perché, dopo tutto il sostegno pubblico nei confronti di Washington e di Camp David, Blair deve presentarsi all’altare.
“Ma vinceremo, Papà?”
“Certo, figlio mio. Sarà tutto finito mentre sei ancora a letto.”
“Perché?”
“Perché sennò gli elettori di Mister Bush cominceranno a essere molto impazienti e potrebbero decidere di non votarlo più.”
“Ma verranno uccise delle persone, Papà?”
“Nessuno di tua conoscenza, tesoro. Solo persone straniere.”
“Posso guardarlo in TV?”
“Solo se Mister Bush dice che puoi farlo.”
“E dopo, tornerà tutto normale? Nessuno farà più niente di brutto?”
“Fa’ silenzio, figlio mio, e vai a dormire.”
Lo scorso venerdì, in California, un mio amico guidava in direzione del supermercato della zona con un adesivo sull’auto che diceva: “La Pace è anche Patriottica”. Non c’era più quando aveva finito di fare la spesa.
AMY GOODMAN: Il romanziere inglese John Le Carré legge un frammento dal suo saggio del 2003 “America Has Gone Mad.” John Le Carré è lo pseudonimo per David Cornwell. Il suo nuovo libro, Our Kind of Traitor, sta per uscire. Scaricheremo l’intera intervista con Le Carré nei prossimi giorni.
Titolo originale: “The United States of America Has Gone Mad”
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
Link
20.09.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STELLA SACCHINI