DI TAFATAONA MAHOSO
Information Clearing House
Le “grandi democrazie” dell’Occidente sono state i nemici più costanti e persistenti degli
africani: nell’epoca dello schiavismo, nella contea
dell’Africa dopo la Conferenza di Berlino, nel colonialismo, nell’apartheid
e ora nell’attuale sforzo di ricolonizzazione dell’Africa, a cui assistiamo
in Libia e in Costa d’Avorio e nelle attuali sanzioni che sono state
imposte allo Zimbabwe.
– Gli statunitensi, i britannici
e gli alleati europei hanno scoraggiato e perfino definito pericolose
per le proprie popolazioni le stesse qualità e abitudini che cercano
di imporre, di promuovere, di finanziare e alla fine di premiare tra
i nostri bambini e dentro le nostre società in Africa.
– Tendiamo a considerare (quelli
che crediamo essere) gli esperti, i giornalisti occidentali ben istruiti
e ben forniti di risorse, una guida. Quando questi rigettano la
leadership africana con i soliti consunti cliché, noi li imitiamo.
Facendo questo restringiamo la nostra politica, l’economia e la prospettiva
storica a un gergo giovanile da tabloid (occidentale).”
– Parallelamente alla rete o alla
sovrastruttura della “società civile”, esiste tutta un gamma di programmi di cooperazione militare
e di intelligence che l’AFRICOM vuole riuscire a consolidare. Quando
l’AFRICOM sarà approntato, il processo di ricolonizzazione sarà giunto a completamento.
I pensatori pan-africani vorrebbero
forse porsi questa domanda: “Se il Sudafrica fosse in guerra col
Canada e stesse bombardando le città canadesi per farle tornare all’Età
della Pietra, il Presidente Barack Obama permetterebbe alla signora Zuma,
la moglie del presidente sudafricano, di andare a prendere il tè e
parlare di carità con Bill Clinton o Jimmy Carter, ex presidenti degli
Stati Uniti, a Washington?
Per chiunque sia a conoscenza di quello
che gli statunitensi chiamano il “credo americano” o la Dottrina
Monroe che si trasformò nella Dottrina Reagan negli anni ‘80,
tanto i cittadini degli Stati Uniti che i politici non permetterebbero
mai un tale affronto. La “first lady” di un paese in guerra
col Canada non sarebbe mai la benvenuta nel District of Columbia a prendere
il tè con un ex degli USA mentre avvengono i bombardamenti
E quindi, come mai due settimane fa,
mentre Stati Uniti e NATO stavano bombardando la Libia e ridicolizzando
le risoluzioni dell’Unione Africana sulla stessa guerra, Barack Obama
ha avuto l’ardire di inviare sua moglie in Sudafrica e questa sperava
di riunirsi con il Presidente e la sua moglie, e si sentì sminuita
quando fu ricevuta dalla moglie del presidente Jacob Zuma e dall’ex
presidente del Sudafrica, Nelson Mandela?
Istruiti sui temi di governo
dai nostri nemici
I lettori non dovrebbero fraintendermi.
Il problema non è negli statunitensi o nella NATO in quanto tali.
Il problema è in noi africani
che abbiamo permesso che ci vengano impartite lezioni su temi di governo
da persone che sono i nostri nemici dichiarati e da organizzazioni e
individui che sono finanziati e diretti da queste stesse persone.
Bene: e come hanno risposto gli africani
quando Michelle Obama è stata ricevuta dalla terza moglie del
Presidente Zuma e le fu permesso di riunirsi con Nelson Mandela?
Troppi africani hanno pensato che l’Africa
e il Sudafrica in particolare avessero disprezzato e insultato gli
Stati Uniti. Troppi articoli in Sudafrica e nel nostro continente si
sono schierato dalla parte degli stessi imperialisti che bombardano
la Libia e ricolonizzano la Costa d’Avorio.
Tutta questa disponibilità per scusarci
della nostra propria dignità e dei nostri interessi, mentre difendiamo
l’arroganza del nemico, non è un qualcosa di naturale. È stata coltivata
nel corso di vari secoli.
Nel 1957 un cittadino degli Stati Uniti,
Russell Kirk, pubblicò un libro chiamato “The American Cause”
per analizzare le conseguenze della Guerra dalla Corea e come il resto
della società statunitense aveva risposto alla guerra.
Il libro identificava debolezze sia
generiche che specifiche tra i soldati e i cittadini degli USA al confronto
dei “nemici” che erano i “comunisti” cinesi.
Infatti, anche se la guerra era contro
la Corea, il nemico veniva identificato nei “comunisti” cinesi.
La prima debolezza che il libro identificava
fu elaborata per John Dos Passos che scrisse il prologo del libro:
Disinteressarsi della
storia è stato spesso un errore degli Stati Uniti. Quando questa
mancanza di visuale si unisce all’ignoranza peculiare delle nostre proprie
istituzioni il risultato è una specie di vuoto nella parte politica
del cervello.
“Ogni affermazione
altisonante che va di moda in un dato momento è accettata senza discussioni. La vittima
è pronta per essere spinta verso un qualunque sentiero di inganno
che gli opinionisti hanno tracciato.
Questa osservazione è molto interessante
visto che gli Stati Uniti hanno rielaborato completamente i propri problemi.
Gli USA favoriscono i partiti politici, le ONG e le organizzazioni religiose
per creare nelle società che vogliono destabilizzare gli stessi problemi,
le stesse debolezze che Russell Kirk e John Dos Passos hanno identificato
e hanno cercato di superare sia nelle forze armate che nella società del proprio paese.
Quasi tutti i partiti politici e le
ONG sostenute in Zimbabwe da USA, Gran Bretagna, Unione Europea, Australia,
Canada e Nuova Zelanda sono compromessi con attività e insegnamenti
che cercano cancellare o confondere la lotta degli africani per la libertà,
l’indipendenza, l’autodeterminazione e l’autonomia.
Tutta la dottrina di diritti umani
e democrazia è progettata in modo tale da far sentire e credere
agli africani che sono dei semplici esseri riconoscenti della libertà
e dei diritti umani concepiti, programmati, insegnati e finanziati dall’Occidente.
La nostra storia, un pericolo
per gli imperialisti
Perché la nostra storia è pericolosa
per i rhodies (ndt: termine con cui vengono indicati i bianchi), per i britannici, gli statunitensi e per tutti gli europei?
Questa storia individua il nemico perenne
dell’Africa e degli africani.
Le “grandi democrazie” dell’Occidente
sono state nemici più costanti e decisi degli africani: dell’epoca
dello schiavismo, nella contesa dell’Africa dopo la Conferenza di Berlino,
nel corso del colonialismo, durante l’apartheid
e ora negli odierni sforzi di ricolonizzazione dell’Africa, a cui stiamo
assistendo in Libia, in Costa d’Avorio e nelle sanzioni illegittime contro lo Zimbabwe.
I seguenti libri, per esempio, rivelano
che le democrazie occidentali sono state nemici più persistenti degli africani:
“Race and the construction of the
disposable other” del professor Bernard Magubane; “The United States
and the war against Zimbabwe, 1965-1980” del professor Gerald Horne;
“Automating Apartheid: US Computer Exports to South Africa and the
Arms Embargo” dell’American Friends Service Committee; “Apartheid
Terrorism” di Phylis Johnson e David Martin; “Destructive Engagement”
di David Martin e Phylis Johnson, e infine “Red Rubber” di E. D. Morel.
Questi libri rappresentano solo un
piccolo esempio delle prove che dimostrano come i governi occidentali
siano i nemici degli africani.
Ma quali sono quei valori e quelle
qualità che i governi occidentali disprezzano se vengono esibite
dai propri cittadini, ma che insegnano, promuovono, auspicano e finanziano
tra gli africani attraverso il sostegno a partiti politici, ONG, chiese
e ad altre agenzie?
Secondo “The American Cause”, queste
sono le qualità e le caratteristiche che il governo degli Stati Uniti
avrebbe dovuto scoraggiare specialmente tra quei cittadini che sono
entrati a far parte delle forze armate per proteggere gli “interessi statunitensi”:
– scarsa lealtà verso la famiglia e la propria comunità;
– scarsa lealtà verso il paese,
la religione e i colleghi;
– una vaga concezione del bene e del male;
– l’opportunismo;
– il disprezzo o la svalutazione del
valore di ogni individuo.
Kirk citò un informativa dell’intelligence
militare cinese che riportava come “anche tra i laureati degli Stati
Uniti” c’era una scarsa conoscenza o comprensione “della storia
politica o della filosofia degli Stati Uniti”.
Il laureato nelle universirà
“ha vedute limitate e provinciali, con pochissima o nessuna idea
dei problemi e degli obiettivi di quelli che etichetta sdegnosamente
come stranieri o i loro paesi.”
Soprattutto, Russel Kirk sentiva che
la generazione della fine degli anni ’50 degli USA si era allontanata
da quello che egli riteneva essere la cosa migliore del “pragmatismo”
statunitense, ossia con l’abilità di integrare concetti astratti con
applicazioni pratiche e di risolvere le della vita reale. Kirk voleva
evitare di allevare una generazione che si sarebbe facilmente potuta
perdere del mondo e scomparire:
“Nei campi di prigionia (della guerra di Corea), i nostri uomini morivano
a migliaia, non per problemi fisici, se non nella minoranza dei casi,
ma per disperazione, sconcerto e per perdita di fiducia.”
Dopo di che ha parlato di quelle che
considerava le migliori caratteristiche dei fondatori del suo paese
che auspicava si applicassero all’educazione e al miglioramento delle
nuove generazioni.
“Perfino i più
radicali tra i fondatori […] consideravano il passato come guida.
[…] Non erano filosofi da salotto, cercando di proseguire la visione
di una società perfetta indipendente dall’esperienza umana.”
“Molti tra loro avevano
letto Platone e Aristotele, Cicerone e Seneca, Sant’Agostino
e Dante, Sir Edward Coke e Richard Hooker, John Locke e Edmund Burke.
[…]Ma non erano topi di biblioteca. […] Non separavano la teoria
dalla pratica. Nelle proprie carriere avevano unito l’autorità
dei costumi sociali a quella dei grandi testi. Rispettavano la saggezza
dei propri antenati.”
Le “riforme democratiche”
per poter reinsediare i bianchi rhodesiani nelle posizioni privilegiate
Ma questi sono le qualità di
cui l’Occidente e i suoi burattini si lamentano con noi tutti i giorni.
Quelle che hanno favorito come “riforme democratiche” implicano
invece di reinsediare i bianchi rhodesiani nelle posizioni privilegiate
e nelle istituzioni col proposito di buttare al macero i nostri eroi
della liberazione e dei nostri popoli per poter riprendersi i profitti
venuti a mancare con la nostra indipendenza.
Il 24 settembre di 2009 la domanda
più importante che venne rivolta da Christiane Amanpor della CNN al Presidente Mugabe fu perché il Presidente non aveva
nominato Roy Leslie Bennett viceministro dell’Agricoltura come pretendeva
la lobby rhodesiana.
E, dopo che il portavoce del MDC-T
Nelson Chamisa descrisse Bennett come l’angelo del suo partito, il Primo
Ministro Morgan Tsvangirai fece un’importante dichiarazione per conto
del signor Bennett:
“Il signor Mugabe
ha mancato alla sua promessa (di nominare Bennett). Lunedì
ha confermato a me e al vice-Primo Ministro Arthur Mutambara che non
aveva nessuna intenzione di nominare Roy. La questione di Roy Bennett
si è quindi trasformata in una vendetta personale e fa parte di
un’agenda razzista.”
Questo significhi che l’imperialismo
anglo-statunitense ha proposto a un rhodesiano dei suoi di tornare a
impadronirsi dell’economia dello Zimbabwe e le formazioni politiche
del MDC si sono schierate con convinzione a favore delle loro riforme
democratiche!
Possiamo aggiungere anche che i fondatori
degli Stati Uniti non si sono mai affidati ai donatori o alle ONG finanziate
dai donatori per essere guidati nel loro percorso.
Quello che gli statunitensi, britannici
e i loro alleati europei hanno scoraggiato e perfino considerato come
pericoloso per le proprie popolazioni sono le stesse qualità e abitudini
che cercano di imporre, di promuovere, di finanziare e, dopo tutto,
di premiare tra i nostri bambini e nelle nostre società africane.
Se si guardano le pubblicità
finanziate dai donatori che hanno preceduto il lancio del Piano a Medio
Termine (MTP) del 7 luglio del 2011, gli argomenti erano totalmente
distanti dalle condizioni economiche delle persone e persino più astratti
dei Programmi di Aggiustamento Strutturale imposti dal FMI e dalla Banca
Mondiale.
Il gergo, i cliché e gli appuntamenti
imperdibili sono tutti selezionati dai brillanti opuscoli finanziati dai donatori e dalle proposte dei progetti, il cui unico proposito è quello di nascondere la realtà della devastazione della vita dei popoli a causa delle sanzioni illegali imposte da governi bianchi. Sono gli stessi governi a finanziare le pubblicità. Come segnalò il numero di febbraio di 1998 dell’African Business, i professori africani e gli opinionisti devono tornare ad esser genuini e smettere di vendersi.
“I dirigenti che sono cresciuti nella propria terra non possono infilarsi nella stessa categoria (dei pupazzi finanziati dall’estero). Molti di loro hanno avuto grossi problemi e hanno fatto enormi sacrifici per (e con) la propria gente. […] Le sfide che hanno affrontato (e che continuano ad affrontare) sono state molto più impressionanti di quelle che qualsiasi leader occidentale ha incontrato dalla fine della Guerra Mondiale. […] Il tema della leadership africana è complesso e richiede un studio notevole.”
Sfortunatamente la maggioranza di noi africani, in particolare i giornalisti poco qualificati e mal pagati, non abbiamo semplicemente gli strumenti di analisi per occuparci dei temi di leadership.
Tendiamo a considerare (quelli che crediamo essere) gli esperti, i giornalisti occidentali ben istruiti e ben forniti di risorse, una guida. Quando questi rigettano la leadership africana con i soliti consunti cliché, noi li imitiamo.
Facendo questo restringiamo la nostra politica, l’economia e la prospettiva storica a un gergo giovanile da tabloid (occidentale).”
Il problema al quale si riferisce qui l’editore di African Business è l’eliminazione della storia e del contesto dai racconti dei mezzi di comunicazione.
Non è una coincidenza che la Lettera Pastorale della Conferenza dei Vescovi Cattolici dello Zimbabwe pubblicata nel gennaio del 2011 si incentrasse sull’idea di possesso della storia di liberazione dello Zimbabwe.
La conferenza dei vescovi fa parte
di un lungo lignaggio di intercessori, di revisori dei conti e di mediatori
tra dirigenti africani e comunità africane, tra nazioni africane e l’imperialismo bianco.
Questo lungo lignaggio al quale appartiene la Chiesa Cattolica è responsabile della persistenza del modello “bianco” con il quale persino i media posseduti dagli africani continuano a distorcere l’operatore dei dirigenti africani.
Come gli Stati Uniti controllano la “società civile” in tutta l’Africa
A causa dei disastrosi effetti degli aggiustamenti strutturali neoliberisti e, nello Zimbabwe, anche per gli effetti delle sanzioni illegali, il numero di ONG finanziate dall’estero è incrementato più di dieci 10 volte dalla fine degli anni ’80.
Per di più, questi aiuti non si limitano al settore delle ONG civili. Sono anche militari e strategici.
L’Africa sta aprendo le porte a manipolazioni ancora peggiori se si permette che il progetto AFRICOM degli Stati Uniti cresca e si estenda sul suolo africano.
Le potenze anglosassoni, guidate dagli USA, controllano già una rete continentale e una sovrastruttura
della “società civile” nell’intera Africa. Va dagli attivisti individuali e alle ONG presenti nei villaggi ai quartier generali delle stesse ONG che operano su scala nazionale; si estende dalle commissioni per i diritti umani – finanziate dai donatori- con poteri giurisdizionali fino agli organismi regionali come il tribunale della SADC (Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe), per giungere alla African Commission on Human and People’s Rights (ACHPR).
Parallelamente alla rete o alla sovrastruttura della “società civile”, esiste tutta un gamma di programmi di cooperazione militare e di intelligence che l’AFRICOM vuole riuscire a consolidare. Quando l’AFRICOM sarà approntato, il processo di ricolonizzazione sarà giunto a completamento. Newman Chiadzwa e Farai Muguwu avrebbero a quel punto i loro omologhi militari proprio in mezzo a noi.
E non ci sarebbe fine alle manipolazioni coordinate, come quelle tentate recentemente contro lo Zimbabwe a Tel Aviv, durante la quarta settimana di giugno del 2010, nel corso della riunione del Kimberley Process Certification .
In un recente articolo, il professor
Issa Shivji della Facoltà di Diritto dell’Università Dar el Salaam ha citato Amilcar Cabral, Archie Mafeje e Frantz Fanon per dimostrare che i dirigenti africani devono uscire da un mondo e da un contesto dove il terreno è stato delimitato e pavimentato dall’imperialismo.
Pertanto devono riprendersi il suolo africano togliendo l’asfalto da Città del Capo al Cairo che è stato lasciato da Cecil Rhodes e dai suoi discendenti.
Secondo il professor Shivji:
Come evidenziato da Cabral, “fino a che esisterà l’imperialismo, uno stato africano indipendente dovrà essere un movimento di liberazione o non sarà
indipendente.
Questi sono aspetti fondamentali. “Intanto, il nazionalismo (africano) è formato dalla lotta del paese contro l’imperialismo, e di conseguenza l’antimperialismo definisce il nazionalismo africano.
In secondo luogo, il nazionalismo, come espressione della lotta (africana), continuerà finché sarà presente l’imperialismo.
In terzo luogo, la Questione Nazionale (africana), la cui espressione è il nazionalismo (e che rende necessaria una dirigenza africana), rimarrà irrisolta fino a che esisterà la dominazione imperialista.
Questo nazionalismo e questo pan-africanismo è proprio quello che viene attaccato tutti i giorni dall’impero bianco, dai burattini e dai megafoni che sono al loro servizio.
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info/article28614.htm
17.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE