GLI AIUTI DEL NEOCOLONIALISMO CHE STRANGOLANO L'AFRICA

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DI MASSIMO FINI
Il gazzettino

Benedetto XVI parlando delle “nuvole nere” che si addensano sull’Africa ha citato “il flagello delle guerre, i frutti feroci del tribalismo”.
Per la verità finché l’Africa è rimasta tribale non ci sono stati nè “flagelli” nè “frutti feroci”. Nel 1970 assistetti a Nairobi a una Convention sulla guerra in Africa cui partecipavano i rappresentanti di moltissime etnie. Ciò che ne veniva fuori è che la guerra in Africa, fino ad allora, era stata una cosa ridicola, non solo rispetto a quanto abbiamo combinato noi occidentali, ma in senso assoluto. L’antropologia conferma che i neri africani sono stati maestri nel creare istituti per innocuizzare e canalizzare l’aggressività di gruppo, con la festa orgiastica, la guerra ritualizzata, cioè finta, la guerra fatta togliendo le alette alle frecce. Tutta la storia dell’Africa e delle sue mille etnie è stata una storia in cui si ricercavano gli accordi più che i conflitti. Salvo le eccezioni ovvie in una vicenda bimillenaria vale per l’intera Africa nera ciò che l’antropologo John Reader ha scritto per le popolazioni del delta del Niger: “Il rischio di conflitti era altissimo, in termini antropologici il delta del Niger avrebbe dovuto essere un focolaio di ostilità interetniche. Eppure ciò che distingue la regione durante i 1600 anni di storia documentata, non è la frequenza dei conflitti quanto la stabilità di pacifiche relazioni reciproche. Il modello prevalente è quello dell’accordo interetnico… che a sua volta definisce l’identità etnica in termini di obblighi verso gli altri. La gente è consapevole delle differenze e del dovere del rispetto reciproco”. (J. Reader, Africa).

Il nero, di suo, non è un violento, è un istintivo, che è cosa diversa. E allora perchè il Ruanda? Perché il Darfur? Sono state le intromissioni esterne a disgregare l’Africa. Non intendo tanto il colonialismo classico quanto quello recente, economico. Il primo si limitava a conquistare territori, ma poichè le comunità dei colonizzatori e dei colonizzati rimanevano separate, questi ultimi continuavano a vivere come avevano sempre vissuto, con le proprie tradizioni, valori, socialità, economia. Il colonialismo economico ha bisogno di conquistare mercati e quindi di stravolgere i valori, gli usi, i costumi, le istituzioni, la “way of life” degli indigeni per piegarli ai nostri consumi. Le popolazioni africane sono state costrette ad abbandonare le economie di autoproduzione e di autoconsumo, su cui avevano vissuto e spesso prosperato per secoli e millenni, per integrarsi nel mercato globale. Ora esportano qualcosa ma le esportazioni non sono nemmeno lontanamente sufficienti e colmare il deficit alimentare che si è così venuto a creare. E quindi la fame (l’Africa era alimentarmente autosufficiente, al 98%, fino al 1970) ma l’intrusione del nostro modello è stata ancor più devastante sul piano culturale e esistenziale frantumando gli antichi equilibri di quelle popolazioni. Da qui la violenza “feroce”. Nè ha giovato all’Africa il passaggio dalle comunità tribali agli Stati, ad imitazione occidentale. Un capo tribù, strettissimamente, fisicamente legato alla propria gente, deve essere attentissimo alle sue esigenze. Il capo di uno Stato, protetto da polizia ed esercito, può fregarsene.

Anche l’influenza del Cristianesimo e dell’Islam è stata negativa. I neri africani non solo non sono monoteisti, ma spesso non hanno neppure dei, sono animisti. E quando si crede che il proprio dio sia l’unico che si perde il rispetto dell’identità degli altri. E mi piacerebbe sapere cosa sono andati ad insegnare i nostri bravi missionari a gente che spiritualizza persino la materia, mentre noi, proprio nel solco del pensiero giudaico-cristiano declinato in senso economico, abbiamo finito per mercificare anche l’uomo.
E i nostri penosi “aiuti”, inglobando ulteriormente l’Africa nel modello occidentale, non fanno altro che strangolarla definitivamente.

L’Africa stava molto meglio quando si aiutava da sola. Anni fa durante un G7, i sette paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin, organizzarono un controsummit al grido: “Per favore, non aiutateci più!”. Non furono ascoltati.

Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 27/03/2009

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